Nei più classici romanzi gialli l’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Nel caso del Cagliari, però, non parliamo di una squadra killer, ma di un gruppo che si uccide con le proprie mani con una costanza che ormai non fa più notizia. Dinamiche che si ripetono, mentalmente, tecnicamente e anche tatticamente. I rossoblù sono, in sostanza, sempre più vittime di se stessi, mandanti del proprio assassinio, il movente ignoto.
Prevedibilità
L’Ascoli non ha fatto nulla o quasi per vincere la partita. Eppure, come accaduto ad esempio anche per il Bari, alla fine l’ha vinta. Senza rubare nulla, approfittando dei limiti di un Cagliari sempre uguale nei difetti e nelle mancanze. Al di là delle parole di Liverani, la prestazione dei rossoblù è stata tutt’altro che positiva. I dati raccontano una cosa, i fatti un’altra. Difficile trovare segni più nella gara del Del Duca che, tolti i minuti dopo il raddoppio dei padroni di casa, ha visto Pavoletti e compagni non trovare mai la via della porta avversaria.
Cambiando i protagonisti il risultato non è cambiato, o meglio, dalla vittoria contro il Brescia si è passati alla sconfitta di Ascoli, ma con il filo rosso di una manovra offensiva sterile e senza acuti. Il 4-3-3 con Pavoletti centravanti e la coppia Falco-Luvumbo a supporto non ha prodotto nulla di più rispetto al recente passato. Così come non lo ha fatto la posizione spesso più avanzata di Makoumbou a supporto, almeno nel primo tempo. Il Cagliari è mancato, come sempre, nel momento del dunque, quando arrivati sulla trequarti avversaria il possesso palla sterile e lento ha aiutato l’Ascoli a serrare le fila senza troppi patemi.
Inerzia
Pensare che l’episodio del rigore sia stato un fulmine a ciel sereno in mezzo a un dominio di marca rossoblù è semplicemente fare torto alla realtà. Perché le avvisaglie della frittata erano già arrivate nei minuti precedenti, tra un approccio senza mordente e una squadra sfilacciata.
Basti pensare all’occasione nella quale Carboni, con una diagonale perfetta, ha evitato il peggio sulla prima ripartenza rapida dell’Ascoli. Di Pardo sbaglia il pressing alto, i bianconeri trovano la superiorità sulla corsia di destra della difesa rossoblù e, soprattutto, Dionisi gioca come il gatto con il topo con Altare. Portato fuori il centrale ex Olbia, ecco che si apre una prateria alle spalle della difesa. Solo la bravura del giovane terzino sinistro evita che si trasformi in occasione nitida per l’Ascoli.
L’anticipazione dell’episodio che porterà al rigore poi siglato da Dionisi arriva con un’azione quasi fotocopia pochi minuti prima. Palla scoperta a metà campo, verticalizzazione a cercare l’attacco dello spazio di una delle punte, difesa piazzata male con i centrali che restano nella terra di nessuno. Capradossi è altissimo e senza riferimenti, Altare guarda solo il pallone senza scivolare all’indietro, Di Pardo – come Carboni in precedenza – salva tutto con una diagonale che costringe il capitano dei marchigiani al fallo per liberarsi. Sospiro di sollievo che ritarda di poco lo svantaggio.
Nessuna sorpresa
Nonostante il dominio territoriale, nonostante percentuali di possesso palla elevate, nonostante un Ascoli tecnicamente non irresistibile, il Cagliari riesce nell’impresa di regalare il vantaggio agli uomini di Christian Bucchi. Con un’azione che, al netto degli errori individuali, è una perfetta fotocopia nella dinamica di altre azioni viste e riviste in questo primo scorcio di stagione.
Palla a centrocampo, mediana rossoblù poco aggressiva sul portatore, lancio in verticale, difensori più intenti a guardare la sfera che a prevenire i movimenti senza palla dei diritti avversari. Una situazione di facile lettura, forse fin troppo semplice così da portare alla distrazione collettiva.
Il primo errore è di Capradossi che lascia scorrere il pallone senza intervenire. Probabile che Radunovic abbia fatto sentire la propria voce, creando la confusione che ha portato al fallo da rigore. Ma, anche con un’eventuale chiamata del serbo, resta la poca copertura dello spazio da parte del centrale scuola Roma. Poca copertura che diventa sportivamente criminale se si guarda alla gestione da parte di Altare. In netto vantaggio su Lungoiy, il difensore rossoblù inspiegabilmente lascia libero lo spazio tra la sfera e l’attaccante avversario. Tagliare fuori Lungoiy mossa automatica, semplice e di facile lettura. Invece Altare decide di chiamare all’uscita Radunovic, ma senza fornirgli alcuna protezione.
Il fotogramma del momento nel quale l’attaccante dell’Ascoli raggiunge il pallone è indicativo dell’errore clamoroso della coppia difensiva. Spazio ampio tra i due centrali, nessuno schermo tra Lungoiy e il pallone, il ritardo nell’uscita di Radunovic fa il resto.
Alcuni dubbi sono stati mossi sull’effettivo contatto tra il serbo e l’attaccante dei marchigiani. Ma, a parte la dinamica che ha come conseguenza immediata la massima punizione, è evidente il cosiddetto “step on foot”, ovvero pestone, di Radunovic su Lungoiy come evidenziato dall’immagine. Inevitabile visto il ritardo dell’estremo difensore nell’intervento.
Analizzare gli ultimi dieci minuti, con un Cagliari all’arrembaggio disperato e tanti uomini nell’area avversaria, diventerebbe inutile esercizio di stile. Così come il gol del raddoppio dell’Ascoli, altro infortunio tecnico di Radunovic e di una costruzione dal basso che non funziona anche a causa di interpreti poco adatti a questo tipo di gioco. Resta una sconfitta magari immeritata, ma figlia di dinamiche già viste e riviste. Un passo falso senza miglioramenti, né mentali né tattici. E questo, senza dubbio, è l’aspetto più preoccupante.
Matteo Zizola