Un viaggio lungo quasi centosessanta chilometri quello che unisce Narcao a Tonara passando da San Gavino Monreale. Dal Sulcis alla Barbagia, una sosta nel Medio Campidano che racconta il destino dei tre mori rossoblù, Simone Aresti, Alessandro Deiola e Andrea Carboni.
Il senatore
Un conto è essere secondo portiere, vice per eccellenza pronto a cogliere l’occasione in caso dell’assenza del titolare. Se sei il terzo, però, il tuo compito è quello di fare gruppo perché puoi finire a guardia dei pali solo in caso di estreme coincidenze. Simone Aresti non è tornato a Cagliari dopo l’esperienza di Olbia per contendere il posto ad Alessio Cragno o a Guglielmo Vicario. Piuttosto per diventare il presidente onorario di quella che un tempo era definita la repubblica dei portieri rossoblù. “Aresti è quasi un fratello maggiore per me”, le parole di Vicario a confermare il destino dell’estremo difensore classe ’86 di Narcao. Quello dell’anima del trio, di chi in silenzio dispensa consigli e tiene alto il morale della truppa. Non è un caso che quando Nández al 94′ ha messo alle spalle di Meret il gol del pareggio contro il Napoli, proprio Aresti sia stato il primo a scattare dalla panchina verso il compagno uruguaiano. Perché quello è il destino del terzo portiere, presenza silenziosa ma importante come tanti che giocano poco o niente, ma sono tra i più considerati dagli allenatori.
Il bambino
D’altronde la salvezza non si ottiene soltanto il giorno della partita, ma anche se non soprattutto durante la settimana. Allenamenti, fare gruppo, aspettare la propria occasione senza alzare la voce, pronto a coglierla non appena arriva. Il classico treno che passa e che Andrea Carboni non ha esitato a prendere quando il suo nome è stato annunciato dal capo stazione Leonardo Semplici. Mesi difficili figli dell’errore contro l’Udinese nella gara d’andata, il Covid, e poi le tante, troppe panchine. Di fronte all’Inter campione d’Italia il rientro in grande stile, Lukaku fermato e una prestazione tutta personalità e attenzione. Poi le conferme, costanti. Parma, Udinese, Roma, Napoli, chiamarlo portafortuna sarebbe limitativo. Certo, ci sono anche le disattenzioni come quella rimessa laterale che ha fatto nascere il gol di Osimhen, ma c’è anche la sfrontatezza di chi terzino o centrale, a tre o a quattro non abbassa il capo, tiene duro contro qualunque attaccante e si prende il lusso di cercare anche la testa di Pavoletti quando riesce ad arrivare in terra nemica. Un certezza, del presente e del futuro, vent’anni compiuti a febbraio e la maglia da titolare da non lasciare più.
Il figliol prodigo
Un prestito qui, un prestito lì, sei mesi a Cagliari e sei mesi altrove, a volte i primi e altre i secondi della stagione. Ventisei anni ancora da compiere, Parma, Spezia (due volte) e Lecce le sue case di passaggio, ma la Sardegna sempre nella testa. Meritarsi una chance, i piedi non da fine costruttore, ma gamba e voglia che possono essere utili alla causa. Al Cagliari mancava il classico portatore d’acqua del centrocampo, con Nández confinato sull’esterno e tanta tecnica in mezzo. Ecco che Semplici, allora, ha pensato al classe ’96 di San Gavino Monreale. Udine il segnale, contro la Roma la conferma, a Napoli la terza prestazione di livello e si sa, tre indizi fanno una prova. Deiola ha allontanato dubbi e perplessità, lo ha fatto piazzandosi davanti alla difesa e non solo, quando c’è da equilibrare sta lì a pochi metri da Godín, ma se c’è da pressare alti non si fa pregare. E poi quei piedi non fatati che però, come per magia, sbagliano poco nonostante non faccia il cosiddetto compitino. Impreciso per pregiudizio, lineare di fatto anche a Napoli dove il 90% di precisione dei passaggi lo mette ancora una volta in testa ai centrocampisti rossoblù, senza che manchino i palloni giocati in avanti, anzi. Una sorpresa, anzi, la sorpresa e il vero nodo cruciale della rivoluzione di Leonardo Semplici verso una salvezza ancora da conquistare.
Tre simboli, tre giocatori del territorio che hanno vinto la concorrenza di compagni più titolati grazie al lavoro e a prestazioni di ottimo livello. Una fortuna per chi, un domani, vorrebbe avere la propria occasione in maglia rossoblù e sfatare il classico nemo propheta in patria. I Ladinetti, i Biancu, i giovani cresciuti in casa che, al di là della retorica del sentire la maglia, possono trovare in Carboni, Deiola e anche Aresti un esempio da seguire per poter diventare il quarto moro. Il campo non mente e non sarà il luogo di nascita a favorirne o bloccarne la crescita, basterà non perdere il treno quando si fermerà nella loro stazione.
Matteo Zizola