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Torres, senza un cambio di mentalità sarà impossibile evitare la retrocessione

Lorenzo Di Stefano durante Torres-Perugia | Foto Alessandro Sanna
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Una stanza con la luce spenta e un interruttore che al momento sembra introvabile. Questo il momento della Torres dopo il 3-1 subito in casa del Livorno. Penultimo posto in classifica, garantito solo dalla maxi squalifica rimediata dal Rimini (ultimo e prossimo avversario sempre in trasferta in campionato). Il rendimento nel girone B della Serie C fin qui racconta perfettamente il quadro del disastro rossoblù messo in scena fin qui: terzultimo posto lontano 4 punti, zona salvezza diretta lontana sette punti, peggior attacco e quartultima difesa, una sola vittoria (ad agosto alla prima giornata).

Momento
Salvare questa formazione e questo progetto 25-26, mai davvero nato, risulta impossibile. E quello che spaventa di più in questa fase è la testa dei giocatori, ormai evidentemente entrati in un loop di negatività. A loro va criticato il carattere, a parte qualcuno (vedasi Sala) in tanti sembrano troppo arrendevoli in questa stagione, nata e continuata storta. Certo reagire in determinate situazioni non è mai facile, anche perché in questo momento alla Torres vale solo la legge di Murphy: se una cosa può andare male, andrà male. Però da alcuni profili, per esperienza e caratteristiche, sarebbe logico aspettarsi un altro tipo di attaccamento alla maglia e un’altra dose di cattiveria. Non è un caso che dopo l’ennesima sconfitta in Toscana lo stesso Alfonso Greco abbia battuto quasi sempre su un unico aspetto: “Inutile giocare se regaliamo noi i gol. Per raggiungere l’obiettivo serve un’altra voglia”.

Mentalità sbagliata
Sì perché di fatto la Torres a Livorno non ha neanche giocato male, sempre in paragone con il nulla cosmico (o quasi) vissuto in queste prime 15 giornate di campionato, però i padroni di casa hanno avuto molta più fame. E l’assenza di carattere in una situazione disperata come quella rossoblù è l’aspetto che maggiormente spaventa per il continuo di questo campionato. Decidere di giocare una palla nello stretto sull’1-1 con il disperato bisogno di punti, per esempio, o le marcature costantemente leggere negli ultimi metri, confermano che questo spogliatoio, inspiegabilmente, forse non ha ancora preso coscienza della situazione al limite che sta attraversando.

Colpe
Come sempre nelle scelte di un gruppo e di un club però l’errore non può essere solo riconducibile al campo e all’atteggiamento errato dei calciatori. Le colpe di questa annata più che complessa arrivano da una decisione aziendale, societaria, confusa, fatta di una voglia di rinnovamento che ha portato all’acquisto di giovani non pronti, a un budget per il monte ingaggi ridotto da giocatori lasciati fuori rosa come Zambataro (guardando alla prestazione contro il Livorno la scelta pare oltre il masochismo) e Liviero. Quello che resta è un tentativo di colpo di spugna (necessario) che andava però programmato con maggiore anticipo e che invece è arrivato di impulso, forse esasperato dopo il 7-1 incassato nei playoff dell’anno scorso contro l’Atalanta. Lo stesso allenatore preso, Michele Pazienza, non era inizialmente la prima scelta e il mercato, sia in entrata che in uscita, a conti fatti si è rivelato più caotico e casuale che lungimirante. Chiaro che ora vedere tutto negativo è fin troppo semplice, un gioco che comunque ha poco senso fare. Quello che serve è che qualcuno trovi quell’interruttore per riaccendere anche una flebile luce che permetta a questa formazione di trovare lo spirito che serve per giocarsi la salvezza senza continuare a prendere schiaffi a destra e sinistra senza capire da dove arrivino i colpi. Impresa non facile.

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