La bandiera del calcio sardo Gianfranco Zola mercoledì 6 luglio, si è presentato sul palco del TedX di Via Cavour a Sassari per parlare del concetto di adattabilità. Un soliloquio di 21 minuti quello tenuto dall’ex calciatore, tra le altre di Torres, Cagliari, e dalla nazionale italiana, nel quale ha parlato principalmente di come lui nei vari momenti della sua carriera si è dovuto adattare a determinate situazioni che gli sono capitate durante il suo percorso. Di seguito un estratto di quanto detto dall’ex attaccante di Oliena.
Adattarsi a quello che succede in campo
“L’adattabilità è un fattore fondamentale per raggiungere determinati obiettivi nello sport. Lo dico soprattutto a quei genitori che hanno dei figli che giocano a calcio, tennis o praticano qualsiasi altra disciplina. Spesso e volentieri si vede un giocatore che fa del gesto tecnico la sua forza, è vero questo è importante. Però ci sono delle qualità che sono nascoste che alla fine dei conti ti portano a eseguire quel gesto tecnico in situazioni non semplici. Se non si ha questa capacità è veramente difficile. Questo è un errore che capita spesso, parlo spesso con dei genitori che mi dicono quanto il loro figlio sia forte calciando le punizioni, un misto tra come le calciavo io e quelle che tirava Maradona. Questo per quanto possa sembrare assurdo è vero. A me è capitato di vedere ragazzi, e non solo, che in allenamento erano fenomenali, anche più bravi di quanto lo fossi io, poi li vedevi in campo e c’era qualcosa che non tornava nell’equazione. Il sapersi adattare a determinate situazioni che capitano in campo, il riuscire ad affrontare le novità che ti si presentano di fronte, sono le qualità che ti permettono di crescere e fare la differenza”.
Abbracciare le difficolta per adattarsi al cambiamento
“Quando avevo 16 anni ho iniziato a giocare con gli adulti in prima categoria con la Corrasi. Ero bravino, ma ogni volta che toccavo il pallone gli avversari mi facevano volare, per me era impossibile reggere quel confronto fisico. In quel momento avevo due opzioni: tornare nel settore giovanile oppure abbracciare le difficoltà e fare in modo di sfruttarle a mio vantaggio. Da quel momento ho capito che non potevo mai stare fermo in campo, soprattutto quando stoppavo il pallone. Non dovevo mai lasciarlo sotto ma sempre direzionarlo per evitare di essere fermato agilmente. Questo modo di pensare per me è stata la scintilla che mi ha permesso di crescere improntando la mia mentalità verso il futuro, di essere competitivo e all’altezza della situazione”.
Dal Parma al Chelsea
“In quel cambio ho dovuto affrontare due difficoltà, quella psicologica e quella pratica. Stavo lasciando la Serie A, il calcio più all’avanguardia di quegli anni. Quella scelta poteva essere interpretata come un passo indietro per la mia carriera. In primo luogo dovevo convincere me stesso che la scelta presa era quella giusta, in altre parole dovevo lasciarmi tutto alle spalle. Questo mi ha permesso di fare la differenza, non badando a quello che lasciavo ma concentrandomi solamente su quello che andavo a trovare. La seconda, come già detto è di carattere pratico. Il calcio inglese è molto fisico. In una foto del Sun venivo ritratto in un contrasto di gioco in cui ero stato capovolto dopo, il titolo dell’articolo era: Welcome Zola. Dovevo adattarmi agli allenamenti, alla fisicità e allo sforzo che quel campionato necessitava. Anche in quel momento per me fu fondamentale il modo di pensare, dovevo interessarmi di più alla loro cultura. Insieme ai miei compagni stranieri abbiamo incominciato a far conoscere i nostri metodi, andavamo anche due ore prima al campo per allenarci in palestra. Volevamo dimostrare che eravamo li per fare il salto di qualità. Questo dagli inglesi è stato fortemente apprezzato. Questa alchimia con i giocatori e il pubblico mi ha permesso di continuare a crescere, adattandomi a un calcio e a una fisicità diversa. Nel primo anno in Inghilterra sono diventato molto più bravo, sia tecnicamente che mentalmente. Non volevo soccombere alle difficoltà”
Adattarsi all’età che avanza
“A 33 anni mi facevo spesso male, dovevo adattarmi a competere sia in un campionato che diventava sempre più forte, sia con la mia fisicità che iniziava a essere meno prestante. In questa situazione dovevo trovare delle altre alternative che mi davano la possibilità di essere più competitivo. Iniziai a respirare bene, a mantenere la calma e a meditare, riuscendo così ad acquisire una maggiore consapevolezza del mio corpo e della mia mente. Queste furono fondamentali perché mi fecero cambiare rotta. A quell’età le mie prestazioni continuavano a crescere. Io ho chiuso la mia carriera a 39 anni, togliendomi una grandissima soddisfazione personale ovvero quella di ritornare in patria per dare una grossa mano al Cagliari in quegli anni. Smisi a quell’età con il contratto in mano volevo chiudere, seppur con dolore, in un determinato modo e così ho fatto”.
Ai giovani
“Per concludere, è importante saper calciare la palla però presumo che sia ancora più importante farsi trovare sempre pronti senza mai arrendersi alle difficoltà. Per i giovani e i genitori di adesso è importante che capiscano questo concetto. Insegnare a un giocatore a calciare una punizione o a risolvere il problema è importante, ma quello che lo è di più e sapersi porre ai problemi con il giusto spirito senza mai arrendersi”.
Andrea Olmeo