Una vita nel calcio italiano, dai tempi magici in cui il nostro campionato (in tutte le sue categorie professionistiche) era un punto di riferimento nel mondo fino all’attualità fatta di incertezze, fondi, difficoltà nella programmazione e appeal sempre minore a livello internazionale. Abbiamo fatto una chiacchierata con Piero Ducci, direttore tra le altre di Perugia, Ascoli, Pontedera e per anni nel Milan al fianco di Ariedo Braida, nell’era Silvio Berlusconi e poi alla Fiorentina con Daniele Pradè. Dal momento del girone B della Serie C alla situazione tra scelte e lotta salvezza per la Torres tornata nelle mani di Alfonso Greco, passando per il futuro societario rossoblù: i temi del dialogo con il direttore Ducci.
Direttore, che impressioni ha di questo girone B di Serie C, che sembra uno dei più livellati verso il basso degli ultimi anni?
“Personalmente mi sono preso dei mesi sabbatici dopo 35 anni, sto osservando da fuori tutto quello che succede in questo mondo del calcio che è sempre più folle. Le dico quello che penso, quest’anno è un campionato rispetto agli scorsi anni veramente mediocre. Quando dice lei che è livellato verso il basso non c’è niente di più vero, io sono molto perplesso su tanti aspetti della Serie C di oggi. Ormai esistono tre squadre per girone nettamente più forti, quando va bene, e poi per il resto i valori sono molto equilibrati. Questo andamento al ribasso è dovuto dalla programmazione confusionaria e dalla sempre minore possibilità economica dei club. Questo vale in generale per tutto il calcio, tranne un po’ meno la Serie B che ha il suo andamento sempre molto complicato da prevedere e con tante difficoltà impreviste. In Serie C non sempre si capisce che i valori tecnici sono importanti, ma quello che conta di più è l’area sportiva, il come e quando vengono prese determinate scelte”.
Vede un po’ troppi aspetti più del mondo amatoriale che del professionismo nella complessità di programmazione in C?
“Secondo me sì, ma tutto dipende dalle persone che compongono le società. Il calcio oggi non può prescindere da una gestione manageriale. Ci lamentiamo che il calcio italiano va male perché non ci sono i calciatori, ma la verità è che non ci sono i dirigenti. Non solo a livello di federazioni, ma già dai club. Spesso si preferisce affidarsi a situazione comode per riuscire a interferire il più possibile sul progetto tecnico. E questo è il male del calcio. In più alcune proprietà straniere non sono state un valore aggiunto. Se tu arrivi e imponi un sistema diverso, come se il calcio fosse Nba o baseball, probabilmente fallisci. Ma non lo dico io, lo dicono i numeri. Per fare calcio bisogna sapere far calcio. Le follie assolute sono le decisioni prese esclusivamente su algoritmi. E io al Milan sono stato tra quelli che hanno inserito l’informatica come servizio aggiunto nella gestione dell’area sportiva. Chi considera solo i numeri non ha capito il valore vero dei numeri. Non è detto che un numero negativo sia indice di negatività di un calciatore, per fare un esempio concreto”.
Entriamo nel caso Torres: dopo due anni ai vertici quest’anno la squadra sta attraversando una stagione molto complessa. Come si gestisce a livello di quotidianità dentro un club un contesto del genere?
“Bisogna partire da lontano: dal primo anno di Lega Pro. La Torres è già abituata a dover soffrire per salvarsi, questa Torres intendo. E devo dire che sono stati bravi a gestire la criticità in quell’occasione tre anni fa, ma avevano anche in quel momento secondo me l’ambiente giusto per farlo. Mi spiego: era un momento dove c’era un allenatore che conosceva l’ambiente, sapeva dove operare e soprattutto dopo un po’ la rosa ha capito bene il campionato e quindi ha saputo mettere la nave sulla rotta giusta. Successivamente si sono fatti degli investimenti importanti, il secondo e il terzo posto lo certificano. Le devo dire che questo club ha avuto la sfortuna di incontrare una corazzata come il Cesena altrimenti sarebbe salita in B sicuramente due anni fa. Ma Cesena aveva un altro tipo di dimensione sportiva come territorio, e anche come blasone. L’anno successivo diciamo che c’è stata una finta outsider come l’Entella. Che è un club dalle grandi forze economiche e che ha sempre investito tanto sulle sue squadre, di fatto sbagliando in poche occasioni. Dopo due anni così uno si aspetta qualcosa di importante, ma la Torres non ha voluto continuare su quella falsa riga, forse giustamente perché dopo due campionati da protagonista, per la dimensione del club, è anche giusto dare un nuovo assetto tecnico e tattico con cambi di giocatori e allenatore. Un lavoro di fino perché parliamo di muovere equilibri sottili. Non è stata fatta sicuramente, visti i fatti, la scelta migliore a livello di allenatore, soprattutto considerando che probabilmente voleva essere un progetto basato sui giovani. Quando tu fai questo giochino del minutaggio, e lo dico per l’esperienza diretta visto che a Pontedera era il nostro pane quotidiano, devi essere preparato. Non è che ti svegli dalla mattina alla sera e punti sui giovani. Devi muoverti da febbraio, massimo marzo per allestire la squadra dell’anno dopo. Se inizi a maggio sei in ritardo, se lo fai a giugno o luglio non puoi programmare bene. E poi devi trovare l’allenatore giusto per gestire questo progetto. Mi spiego, noi quando ci siamo accorti che stavamo sbagliando strada abbiamo preso Max Canzi che secondo me è un top per fare questo tipo di lavoro”.
La scelta di Pazienza quindi è stata uno dei principali errori?
“In determinati contesti l’errore che puoi fare nella scelta allenatore diventa letale. Dopo è difficile recuperare la situazione perché quando incomincia a esserci sfiducia, in più hai la squadra più giovane, non è facile rimettere quel vigore che serve a livello di morale per raggiungere i risultati. Dal divano è facile giudicare, ma io non avrei mai scelto un allenatore del genere per il nuovo progetto Torres, mai nella vita, non perché non possa essere bravo ma perché io sarei andato su un profilo diverso. Serviva forse un tecnico che conoscesse perfettamente il settore giovanile, o che provenisse in qualche modo da quell’ambiente. Per esempio, l’allenatore secondo me top, in questo senso, è Buscè. Non sono meravigliato di quanto stia facendo bene a Cosenza. L’ho seguito anche in Primavera ed è un allenatore che dimostrerà il suo valore secondo me anche in categorie superiori. Tornando alla Torres poi la cosa peggiore che tu possa fare quando capisci che il progetto non va e insistere. Alla sesta, massimo settima giornata, tu hai un quadro chiaro della situazione e se le cose non vanno è inutile sperare. La speranza nel calcio non porta lontano. Bisogna avere un certo cinismo e bisogna avere una determinazione forte nell’analizzare quando le cose non funzionano. Io dico sempre che il fallimento di un allenatore è il fallimento di una società. Un dirigente deve sempre avere la consapevolezza che ha sbagliato lui. E quindi in quel momento devi sapere cambiarlo repentinamente. Questo non vuol dire che la società non sia seria, anzi è serissima. Ed è molto solida, ha messo tanti soldi e ha dimostrato grandissimo amore per la Torres. E questo non è poco”.
E della scelta del ritorno di Greco cosa pensa?
“Penso che adesso, per il momento vissuto, sia stata fatta la scelta migliore possibile. In una criticità del genere, solo chi conosce già il territorio, il tessuto connettivo dei giocatori e la società può avere la chiarezza giusta per subentrare e dare una scossa. Ho visto la Torres contro il Perugia è ho visto una squadra viva di testa e messa bene in campo, perché diciamolo Greco mette bene le sue squadre in campo. Chiaro ci sono giocatori che sono andati via che mancano e mancheranno. Faccio un esempio, nei miei anni al Milan il mio maestro Braida mi diceva sempre che le vittorie le fanno in gran parte gli attaccanti. Quando tu hai 2 attaccanti che vanno in doppia cifra se non vinci il campionato ci vai molto vicino. Quando perdi giocatori come Fischnaller e io dico anche Scotto, visto quello che sta facendo a Treviso e che avrebbe fatto anche a Sassari al di là della categoria, perdi una cosa come 20-25 gol. E chi li fa alla Torres questi gol? Evidentemente questa valutazione non è stata fatta. Magari si è sperato che qualche scommessa nel reparto esplodesse. Ma così non hai certezze e torni al discorso fatto prima del sperare nella programmazione calcistica. I giocatori che almeno i 10-12 gol te li fanno devi averli, poi possiamo parlare di tutto, però senza questo diventa dura”.
Quanto le manca il brivido quotidiano di un progetto da portare avanti nel calcio?
“L’ultimo progetto accettato (a Pontedera, ndr) è stato un debito di amicizia grande che nutro nei confronti di Rosettano Navarra, che è molto più di un amico per me. Posso dire che è quasi un fratello. Sicuramente è stato un progetto bello e divertente, dove credo di aver avuto la capacità di scegliere al mio fianco un direttore sportivo bravissimo (Moreno Zocchi, ndr), perché secondo me non bisogna avere dubbi o paure nel prendersi accanto a lavorare gente che è più brava di te, anzi. La gente che conosce queste categorie, che lo sa fare il proprio mestiere e lo sa fare bene, è un valore aggiunto. Io posso mettere la mia esperienza, la mia idea di organizzazione, ma poi per fare bene ci vogliono diverse teste che vanno in una sola direzione con una sinergia importante. Mi manca il calcio, se dovesse venire un progetto importante lo ascolto, ma tutto dipenderà, ripeto, da quelle che sono le idee delle proprietà. Io di mettermi seduto a farmi dire da una proprietà quello che devo fare in un settore che conosco bene, pur accettando sempre i consigli, non ho piacere”.
Ha citato Navarra prima, che dopo Pontedera è stato vicino anche al Pescara. Da un po’ di tempo a Sassari si parla della necessità di attirare nuovi sponsor e soci per ambire sempre più in grande. Per lei potrebbe essere interessato alla Torres?
“Per come penso di conoscere Navarra credo che al momento difficilmente voglia lanciarsi in un progetto in Serie C, a meno che non ci sia l’opportunità con una grandissima piazza. In questo momento sta pensando tanto alle sue aziende e alla loro crescita. Anche se devo dire che Sassari è recepita come una grandissima piazza. E al momento è guidata da una società serissima e affidabile, e nel calcio di oggi è difficile trovarle delle persone così persino in Serie A. Ovviamente prima di ogni ragionamento del genere la Torres si deve salvare. Penso che qualsiasi investitore per investire deve trovare il treno per farlo. Sassari in questo momento è importante che pensi solo a salvarsi, poi si potrà pensare a trovare l’appeal giusto che una piazza così ha per attrarre nuovi investitori. Ora l’attenzione deve essere quella di sbrogliare una situazione difficile, ma con Greco, che stimo, credo possano farcela, anche se i punti per evitare la zona play-out sono tanti. La cosa che mi rincuora è che tolte le prime tre sono tutte squadre molto nella media in questo girone. La squadra più forte del girone per me è l’Ascoli, poi l’Arezzo, ma attenzione al Ravenna che a gennaio farà un mercato importante. La Torres prima deve pensare a confermare la categoria nel presente e poi verrà il futuro”.














