Vigilia di Milan-Cagliari movimentata dal confronto pastori-rossoblù.
La protesta dei pastori sardi, in lotta contro il ribasso del prezzo del latte, si è spostata ad Asseminello. Il blocco opposto al Cagliari che lasciava il centro sportivo, sabato mattina, è stata ovviamente la notizia delle ultime ore. Un fatto che ha provocato certamente rumore, sia per l’evoluzione delle rimostranze iniziate in settimana con il latte rovesciato sulle strade, sia per la cassa di risonanza rappresentata dai rossoblù.
Davanti alla disperazione dei pastori, a fare da primo mediatore è stato il direttore generale del Cagliari, Mario Passetti. Un confronto pacifico seppur serrato, con il dirigente che ha gestito bene un momento non certo semplice. Sia per la logistica – tra spazi angusti e l’esigenza del gruppo di Maran di raggiungere l’aeroporto per partire alla volta di Milano -, sia perché i pastori non avevano intenzione di recedere dalle loro intenzioni. “Non giocate, date un segnale forte – la richiesta – Voi perdete una partita e dei punti, ma il significato varrebbe molto di più”, il succo delle parole che Passetti si è trovato ad affrontare.
Il Cagliari è uscito bene da una situazione non certo comoda, anche inattesa, e decisiva è stata la scelta di far uscire tutta la squadra nella zona parcheggi. Pavoletti e compagni hanno messo la faccia, Passetti le parole, facendo il possibile in quel frangente. Capendo – i sardi (da Passetti a Barella, Aresti e Deiola) in primis – cosa significhi il mondo agro-pastorale per la terra sarda. Cosa significhi fare fatica a portare il cibo a casa, per sé e i propri figli, ogni giorno.
E allora bene hanno fatto anche i pastori a fare un passo indietro una volta ottenuta l’uscita della squadra al loro fianco. Perché – come scrive Omar Onnis – “prendersela col Cagliari Calcio francamente mi pare un colpo di teatro mal studiato. Specie se si pretende che la squadra rifiuti di giocare o cose del genere. Una richiesta che non ha alcuna possibilità di essere accolta. Non per cattiva volontà della squadra, ma perché sono coinvolti troppi soggetti terzi, troppi meccanismi e troppi interessi. E se il Cagliari perde, cosa ci guadagnano i pastori, oltre all’odio dei tifosi e al fastidio dell’intera organizzazione calcistica professionistica di cui il Cagliari fa parte?”.
Del resto, è celebre la frase di un pastore intervistato da Peppino Fiori negli anni Settanta, in risposta alla domanda su cosa ci guadagnasse se il Cagliari di Gigi Riva vinceva: “e se perde cosa ci guadagno?”.
Che poi anche il Cagliari debba (e possa) farsi portatore, volano fortissimo e convinto delle battaglie storiche (sociali, politiche ed economiche) della Sardegna è altrettanto vero, prendendo spunto da realtà simili, a cominciare dal Barcellona. Per andare al di là degli slogan e del marketing, per lasciare un segno davvero forte oltre a quello del pallone che rotola.
Ma questa è un’altra storia, comunque legata all’attualità, che interessa la storia dell’isola e del club rossoblù, oggi in mano non sarda e di un esponente certamente più vicino a chi comanda rispetto a chi protesta (pastori e non solo). Una sorta di utopia, insomma. Ma servono anche quelle, per andare avanti.
Fabio Frongia