Questo è il Cagliari della gente. Riguardare a freddo gli istanti che hanno accompagnato la rovesciata di Leonardo Pavoletti per il pazzo 2-1 inflitto dai rossoblù al Sassuolo a tempo praticamente scaduto nell’ultimo turno di Serie A è un divertente esercizio alla caccia di più sfumature. La frenesia dei minuti di recupero che si fa epicità , 15.769 persone tutte con il fiato sospeso, sconosciuti che si abbracciano e le emozioni farsi nebbiolina in una umida serata di inizio dicembre.
Rivoluzione
Guardare ora al legame squadra-città , al di là delle reazioni al risultato positivo, fa quasi impressione. Esattamente un anno fa, infatti, il Cagliari, inteso come gruppo di giocatori e staff tecnico, e il club toccarono il punto più basso della gestione Tommaso Giulini per vicinanza e fiducia da parte del pubblico. Come sempre, è tutta una questione di sensazioni che si trasmettono. La discesa in Serie B, la parentesi con Fabio Liverani in panchina, che assomigliò ben presto a una storia d’amore mai nata, e le difficoltà evidenti in cadetteria unite a una società che scelse la via del silenzio e della marginalità mediatica sfaldarono ben presto un rapporto con il tifo e con la città già incrinato da anni al ribasso dal punto di vista sportivo e da scelte di comunicazione e marketing che avevano creato una bolla intorno al tifoso, visto spesso più come cliente che come anima concreta e come attore protagonista dal quale ripartire. Perché il calcio ormai è business e le squadre sono delle aziende, e sarebbe romantico quanto utopistico pensarla diversamente, ma la passione che poi muove vendite di tagliandi, merchandising e che può fare la differenza in una gara dal risultato in bilico non può essere accompagnata dalla giacca e dalla cravatta a tutti i costi. Una terra, un popolo, una squadra come bello slogan da sfoggiare con orgoglio, ma infiocchettato fuori dalla realtà di una squadra distante anni luce in campo dai valori chiesti dalla piazza e da scelte extra-campo lontane dal tifoso medio.
La grande rivoluzione di Claudio Ranieri e del club in questo 2023 di rincorse, cadute e riprese è stato quello di ridare il Cagliari alla sua gente. Facile farlo con un maestro della comunicazione come il tecnico romano al timone, pane al pane e vino al vino ma anche sottile attenzione al dettaglio per l’ex Leicester che dal giorno zero ha messo i tifosi, spesso visti come contestatori lontani dalla squadra, come punto cardinale per la risalita. “Soffiateci dietro. Noi daremo tutto, magari perderemo, ma voi stateci accanto“, come unica vera richiesta fatta da Sir Claudio. Il curriculum e le esperienze passate in rossoblù hanno aiutato l’allenatore testaccino, certo, ma nel calcio i risultati e le emozioni trasmesse non fanno sconti a nessuno. E in più di un’occasione si sono visti ritorni tragici. Al Cagliari di Ranieri non si può certo dire di essere perfetto, anzi. La rosa ha dimostrato diverse lacune, difensive, offensive e tattiche. E il percorso per la salvezza sarà tutto tranne che in discesa. Ma la piazza sta apprezzando lo spirito di una squadra che dopo anni “molli” finalmente non molla mai. E in questo senso è stata brava anche la società che ha assecondato la volontà del mister di riportare in giro per la Sardegna la squadra. Nuoro, Villacidro, Carbonia e così via. Un Cagliari itinerante che torna ad essere parte della sua Isola e non a usare l’Isola solo come semplice strategia di marketing e di raccolta fondi. Le storie, i sogni e le speranze del tifoso di nuovo al centro delle idee, dei progetti o degli eventi. Ora la sfida più complessa, provare ad accompagnare il ritorno del pubblico dalla parte dei giocatori anche con una crescita del progetto tecnico. Ma Ranieri ha già ridato la squadra alla sua gente, e questa è una vittoria che vale come quella di Bari che significò la Serie A. Un successo ottenuto ancora una volta allo scadere quando tutto tra club e città sembrava perduto.
Roberto Pinna














