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Caso Cutrone-Cragno: dal giudizio popolare al giudice sportivo

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Il Grande Fratello, non inteso come il più famoso tra i reality show, ma come le telecamere che ci osservano e possono coglierci in fallo. Ne sa qualcosa Patrick Cutrone, attaccante dell’Empoli finito nell’occhio del ciclone dopo la sfida contro il Cagliari.

Il caso nel caso

La differenza che passa tra una figura non delle migliori – eufemismo – e il restare inosservati è solo questione di sfortuna. Basta un attimo, l’immagine che si sposta su di te nel momento sbagliato e ciò che nessuno avrebbe colto diventa un caso nazionale. Cutrone ha commesso un errore, su questo non ci sono dubbi. Lo ha fatto non solo per l’insulto in sé, per quanto deprecabile, ma anche perché certe parole o ce le hai o non ce le hai. Questione culturale, a maggior ragione nel calcio che non è esattamente un esempio di utilizzo della lingua di Oxford. Una giustificazione? Tutt’altro, ma nel rettangolo verde non mancano mai insulti, provocazioni, parole che fuori dal contesto di una partita difficilmente sarebbero ripetute da chi le proferisce.

Tra caldo e freddo

Poi c’è il dopo, nel quale chi ha subito l’attacco ha mostrato più comprensione di chi quell’attacco lo ha commentato. Cutrone è salito sul patibolo e da lì, per giorni, non è sceso. Tutto ciò nonostante Alessio Cragno e l’attaccante dell’Empoli avessero già sotterrato l’ascia di guerra attraverso una telefonata. Scuse di Cutrone, l’estremo difensore rossoblù che fa spallucce e che derubrica il famoso insulto a questione di campo che in campo dovrebbe restare. Tutto bene quel che finisce bene, anzi no. Perché non basta che la vittima stringa la mano del colpevole, è necessario colpirne uno per educarne cento. Tradotto, Cutrone andrebbe squalificato per l’insulto, senza se e senza ma: un esempio.

Diritto

Poi però c’è il regolamento, chissà se volutamente ignorato o semplicemente sconosciuto a chi pretendeva il pugno duro contro il centravanti dell’Empoli. Perché la prova tv desiderata non era possibile, aspetto noto fin dal post partita. E infatti la squalifica non è arrivata. Si può discutere sul perché le immagini possano essere strumento di punizione per una bestemmia e non per insulti antipatici, ma va anche considerato che squalificare Cutrone avrebbe creato un precedente non da poco. Fino a quale livello si sarebbe potuta alzare l’asticella della gravità di un attacco verbale? Non solo una questione formale, ma anche logica. In uno sport, come detto, che non si distingue per fair play e gentilezze, in campo come negli spalti.

Cose di campo che devono restare in campo, così Cragno avrebbe risposto a Cutrone quando ha accettato le scuse. L’adrenalina fa brutti scherzi, la stanchezza idem. L’attaccante era appena uscito dalla partita, pochi istanti prima era stato al centro di un episodio dubbio – la mano di Goldaniga – poi sanato dal VAR per un fuorigioco. Minuti nei quali la tensione era alta e l’attaccante colpevole di chiedere all’arbitro il rigore. Poi, una volta in panchina, da solo e a favore di telecamera, l’insulto incriminato. Che dal campo assume un significato, ma davanti allo schermo un altro. Fino a farne l’esempio principe di ciò che non si dovrebbe trasmettere ai bambini. Come se, ogni maledetta domenica, non ci fosse un coro, una situazione di gioco, un episodio sgradevole giustificato dai più. In fondo, basterebbe pensare a Fabrizio De André e a quella gente che dà buoni consigli se non può dare il cattivo esempio.

Matteo Zizola

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