La parola leader può avere diverse connotazioni, ma è guardando all’ippica – campo caro a Massimiliano Allegri – che si trova il significato perfetto. “Cavallo che in ogni circostanza corre davanti agli altri, li conduce e serve loro da guida. In particolare, cavallo anziano ben ammaestrato che si colloca alla testa di una fila di puledri, allo scopo di addestrarli al galoppo e regolarne l’andatura“. Un concetto diverso da quello di personalità e che è all’ordine del giorno quando si parla del Cagliari e delle difficoltà della squadra.
Fascia
Il campionato alle porte, la trasferta di Como il primo scoglio da affrontare. Fabio Liverani commentava così in quel momento la scelta di affidare la fascia di capitano a Leonardo Pavoletti e quella di vice ad Alessandro Deiola: “Era la più giusta, condivisa dalla squadra, da me con lo staff e dalla società. Ci sono molti altri ragazzi che potranno indossarla quando e se necessario durante la stagione. Mi piace avere una squadra con molti leader, contano la mentalità e ciò che si fa in campo per guidare le mie scelte“. Nahitan Nández, Marko Rog, addirittura Gastón Pereiro nella gara di Coppa Italia di Bologna, quando nell’undici iniziale non sono stati presenti i due capitani designati è toccato a loro portare la fascia al braccio. Tanti leader, nessun leader, perché la differenza tra avere personalità in campo ed essere dei trascinatori nella buona e nella cattiva sorte è sostanziale. Potrebbe averlo capito in primis proprio Fabio Liverani che, a distanza di mesi dalla vigilia di Como e dopo il pareggio contro la Reggina, ha sottolineato come “se diciamo che siamo il Cagliari e dobbiamo vincere ogni volta creiamo preoccupazioni ai ragazzi“. La certificazione di avere in mano un gruppo sì valido, ma caratterialmente fragile e senza, appunto, un leader.
Il tecnico ex Lecce ha sì tanti giocatori dalla spiccata personalità e che senza dubbio non lesinano impegno e voglia di buttare il cuore oltre l’ostacolo. Nández è probabilmente l’esempio principale, grinta e il non mollare mai come marchio di fabbrica. O ancora Rog, con i suoi strappi che provano a spingere la squadra. Senza dimenticare Deiola e Pavoletti, i due capitani designati il cui attaccamento alla maglia non può essere messo in dubbio. Ma, come detto, personalità non fa rima con leader e un conto è non tirare indietro la gamba in campo, un altro essere un trascinatore a tutto tondo. Il classico capitano che abbandona per ultimo la nave, non prima di essersi assicurato che tutta la ciurma sia stata portata in salvo. Che riesce a tirare fuori con il suo carattere e il suo atteggiamento il meglio da ognuno dei marinai intorno a lui. Che ci mette la faccia sempre e comunque, anche a costo di essere sgradevole e non solo per assicurare che la prossima volta andrà meglio. Che unisce spogliatoio, società e ambiente, senza mai venir meno al ruolo di primo tra i responsabili più nel male che nel bene.
Capitano mio capitano
Nessun alibi per Fabio Liverani e per la dirigenza, con in testa inevitabilmente il presidente Tommaso Giulini, D’altronde se nel Cagliari manca da tempo una spina dorsale più mentale che tecnica è perché sono state messe in atto delle scelte che non hanno pensato all’importanza di questo aspetto nella costruzione della rosa. O perché si sono sopravvalutate le qualità di alcuni giocatori. Passano gi allenatori e passano i direttori sportivi, ma resta la sensazione di un’ossatura assente la cui mancanza diventa chiara nelle difficoltà. Si è cercato di scegliere il leader fuori dal campo, prima con Walter Mazzarri e poi con Liverani, in mezzo il tentativo estemporaneo della bandiera Alessandro Agostini, scelta della disperazione per trovare quel carisma, quella leadership che in campo si è vista poco, pochissimo nelle ultime stagioni. Basti ricordare lo smarrimento generalizzato nella notte di Venezia, l’impotenza del gruppo che vedeva sfilare dalle mani la Serie A senza che nessuno si caricasse la squadra sulle spalle.
Così il pensiero non può che tornare a una decisione del recente passato che, forse, ha determinato il crollo verticale dell’ultimo anno e mezzo. L’aver rinunciato a cuor leggero a Radja Nainggolan, unico vero leader indiscusso del Cagliari che si salvò con Semplici in panchina – e che navigava in zona Europa con Rolando Maran – è stata pagata a caro prezzo. Sicuramente più degli euro risparmiati sul suo ingaggio per non riportarlo in Sardegna e vederlo volare in direzione Anversa. Il percorso rossoblù dal suo secondo ritorno nel gennaio del 2021, quando la crisi targata Di Francesco sembrava anticipare una retrocessione praticamente certa, ne è la conferma. Con l’arrivo a metà stagione di Nainggolan, dopo una prima fase di assestamento, il Cagliari compì l’impresa salvezza, con i giocatori che avevano reso al di sotto delle aspettative che improvvisamente salirono di tono guidati dal loro leader senza fascia. Il mancato ritorno nell’estate del 2021 sembrava una decisione tecnicamente condivisibile, ma l’importanza del belga per le sorti rossoblù andava ben al di là delle questioni di campo. Ora che la Serie B è il terreno sul quale cammina il Cagliari, tortuoso e con vecchie rinnovate difficoltà, pensare a un ritorno di Nainggolan in Sardegna non sarebbe lesa maestà, anzi. E nemmeno un’utopia, tra l’esperienza ad Anversa che lo vede fuori rosa e i rossoblù che cercano un leader vero per risollevarsi. Voci oppure no, una cosa appare certa: il Cagliari avrebbe bisogno come il pane di Nainggolan o comunque di un vero condottiero non solo in panchina. E lontano dai riflettori si starebbe lavorando perché ciò avvenga. Sempre che la nuova telenovela non finisca con un altro nulla di fatto, anche se oggi la consapevolezza dell’importanza del Ninja dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti, soprattutto di chi ha scelto di rinunciarci a cuor (troppo) leggero.
Matteo Zizola