“Il problema è qui” dice Piero Bucchi indicandosi la testa in uno degli ultimi timeout della partita giocata dalla Dinamo Sassari in Champions League, a Salonicco, contro il Paok. In Grecia è arrivata la seconda sconfitta in Bcl, la quinta nelle prime sette partite ufficiali giocate dai biancoblù. L’alto livello della competizione europea non è una sorpresa, ma l’88-68 finale è un punteggio che non è figlio del divario tecnico delle squadre.
Solo due quarti
Anche perché la partita, soprattutto nei primi due quarti, ha mostrato un Paok non irresistibile se affrontato con una difesa attenta e intensa. Se all’inizio la confusione offensiva è stata protagonista da entrambe le parti, nel secondo periodo Sassari, specialmente con la panchina utilizzata, è riuscita prima a reagire a un primo tentativo del Paok di allungare e poi a portarsi avanti con gli uomini di Lykogiannis in vera e propria difficoltà . Diop, trovato più volte da Gentile e da Nikolic, è stato il protagonista assoluto del frangente che ha visto Sassari poi portarsi avanti sul proprio massimo vantaggio di nove lunghezze con la tripla di Robinson a poco dal termine del primo tempo (30-39). Un vantaggio però totalmente dissipato negli ultimi venti di gioco. Con la Dinamo che non è riuscita a placare la verve di Riley ma soprattutto ha lasciato prendere le redini della partita in mano ai greci, senza più attaccare convintamente in palleggio e trovare fluidità come intravisto nella prima parte di gara. E di conseguenza perdendo energia in difesa, con Franke, Renfro e Hands a confezionare una sconfitta che complica il cammino in Europa.
Testa
Il momento attraversato dalla Dinamo Sassari non è di quelli semplici. A sottolinearlo sono ancora numeri di squadra come quelli delle palle perse (21 a fine gara), la sorprendente fatica nel tirare con ritmo dall’arco (in Grecia appena il 15% da tre) e le poche palle recuperate (4). Manca, dunque, l’aggressività per vincere le partite tirate che invece si era vista in estate. Se poi si passa ai singoli è chiaro che al momento i dubbi più grandi siano su Jones. L’ala ex Basahcesehir sembra far fatica a farsi cercare dai compagni oltre che a entrare in fiducia al tiro. Le gambe rispondono ancora poco e questo si vede in difesa, così come sta capitando a Robinson, troppo discontinuo anche in regia. Resta poi un Chinanu Onuaku che potenzialmente potrebbe dominare, ma quando si accomoda in panchina per più minuti sembra staccare la spina e cascare nelle trappole avversarie (quattro falli al termine del terzo quarto e una gran sofferenza sulla mobilità di Renfro). Lo sguardo però va allargato a tutta la squadra. Perché le attenuanti restano, ma la sensazione di ritorno da Salonicco è che il gruppo abbia bisogno di un confronto molto franco con sé stesso. È certo, che da questi tunnel si esca solo con la voglia di essere squadra. Per quanto possano essere importanti le parole e le decisioni di un coach, ancora di più se esperto come Bucchi, sono i giocatori a dover confrontarsi con la realtà e alzare il proprio livello, consci del fatto che per portare a casa gli obiettivi c’è bisogno di mostrare quanto fatto nel secondo quarto in Grecia per una partita intera. Le potenzialità ci sono, è arrivato però il momento di mostrarle veramente.
Matteo Cardia














