Esiste la dura legge del gol, esiste anche la regola non scritta dello sport che a pagare per tutti è chi guida dalla panchina il gruppo. Quella di coach Piero Bucchi e la Dinamo Sassari è stata una bella storia, fatta di bassi ma soprattutto di alti, anche inaspettati, come tutti i destini che decidono di incrociarsi. Ma come ogni storia, non sempre si decide insieme di allontanarsi. I bisogni, a volte, mutano il proprio peso e per impedire al braccio della bilancia di spezzarsi è una parte a dover decidere. La Dinamo Sassari lo ha fatto in un momento delicato, prendendo fisicamente le distanze da un allenatore che resta nei libri del club per risultati e impatto avuti. E affidandosi a un tecnico che della sua personalità ha fatto uno dei suoi punti forti sia nella carriera da giocatore, che da allenatore.
Era
Due semifinali scudetto raggiunte senza il campo a favore, una Supercoppa sfiorata, ma soprattutto un affetto conquistato partita dopo partita, sin dalla prima giocata contro Napoli a novembre 2021, quando a pochi giorni dal suo arrivo in Sardegna trascinò subito il PalaSerradimigni dentro alla gara, facendo capire che la sua esperienza potesse essere la soluzione giusta per riportare dalla propria parte un pubblico che si sentiva orfano di Gianmarco Pozzecco. Così Piero Bucchi si è preso una fetta della storia della Dinamo Sassari. Lo ha fatto in un momento non banale per la crescita del livello della pallacanestro italiana per l’ingresso di nuovi capitali e la sparizione del basket russo che ha portato all’aumento dell’appeal della Serie A e nonostante nel primo anno fosse entrato in corsa e nel secondo abbia dovuto fare a lungo i conti con gli infortuni, vera e propria incognita anche dell’annata 2023-2024. Riuscendo a entrare nella testa dei giocatori, a recuperarli e a farli rendere nel modo migliore, anche contro i pronostici, basti vedere la serie scudetto giocata contro Venezia nella passata stagione. Così anche i bassi vissuti durante il tempo trascorso uno a fianco dell’altra, dalle mancate qualificazioni alla Coppa Italia alle difficoltà vissute in Europa, sono diventati parti accettabili del processo. Almeno fino a quando qualcosa si è inceppato. Le definizioni delle parole continuità e fiducia non sono mai state scritte completamente nel dizionario della lingua parlata dalla Dinamo Sassari in questa stagione. La penna è andata a singhiozzo, con l’inchiostro che si è versato sul foglio solo a tratti tra ottobre e gennaio. Sulla carta, Piero Bucchi sembrava l’unico comunque in grado di poter risolvere la situazione e gli accorgimenti effettuati, con il solo dubbio sul mancato impiego di Treier almeno in alcune partite, avevano dato i propri frutti. Ma la regola non scritta dello sport ha fatto il resto, con il presidente Stefano Sardara che ha deciso di non concedere più alibi a una squadra che ora dovrà mostrare di saper recepire la scossa.
Futuro
L’energia per trasmettersi ha però bisogno di un conduttore. E tra i vari cavi quello di Nenad Markovic è sembrato quello più sicuro e adatto a una situazione in cui la fermezza potrà essere un ingrediente fondamentale nel tentativo di mettersi al sicuro dalle zone rosse della classifica e iscriversi ufficialmente alla corsa playoff. Anche per la motivazione stessa dell’allenatore classe ’68, che ha scritto pagine importanti della pallacanestro bosniaca da giocatore e che da allenatore è stato capace di lasciare il segno al Pinar in Turchia, a Tenerife e soprattutto a Digione, dove nonostante il passaggio assicurato al Round of 16 con il miglior attacco dell’intera Bcl (oltre 89 punti a gara) è stato esonerato lo scorso dicembre. Markovic era passato in Sardegna nella scorsa stagione, quando con Dijon aveva indebolito le speranze di passare il turno in Bcl dei biancoblù. Allora si era divertito anche a rimettere in moto la sua mano dall’arco mortifera tra gli anni ’80 e ’90, come mostra un video nel suo profilo Twitter, in cui però spiccano anche diverse frasi di coach Bobby Night che fanno capire il pensiero che guida il tecnico. Idee rese ancora più chiare dalle parole utilizzate durante la conferenza stampa di presentazione, che fanno capire la cultura di un allenatore cresciuto nella tradizione balcanica della pallacanestro, dove la cura dei dettagli è un mantra e c’è poco spazio per il rimorso: “Io non credo nel lavoro psicologico ma nel lavoro in generale e nella pratica ripetuta. Se sbaglio un tiro o un libero, il giorno dopo in palestra rifaccio per cento volte lo stesso fondamentale che ho sbagliato. Serve consapevolezza, lavorare sulle proprie abilità e i propri talenti”. Le tre gare prima della sosta (Milano, Cremona e Tortona) saranno fondamentali per capire quale sarà la reazione della squadra all’addio di coach Bucchi ma specialmente per capire come sarà la Dinamo di Markovic e se saranno necessarie eventuali modifiche. Entrare in corsa significa anche adattarsi, ma la società ha lasciato spazio aperto a ogni soluzione. La Dijon vista lo scorso anno era una squadra molto atletica, a cui piaceva attaccare anche nei primi secondi dell’azione. In caso contrario era Holston l’uomo a cui affidarsi quando la situazione si faceva più complessa, aspetto che potrebbe far ulteriormente accrescere l’importanza di Jefferson nello spartito biancoblù. Ad essere rimarcata, anche nell’annata in corso di Bcl in cui Dijon è stata prima per rubate nella competizione con quasi 12 recuperi a partita, è stata però l’aggressività difensiva. In Francia Markovic aveva a disposizione un roster apparentemente più fisico rispetto a quello sassarese, ma se per gli equilibri offensivi la discussione sul da farsi potrebbe essere più lunga, in difesa le regole potrebbero essere subito definite. Motivo per cui quello dell’attenzione nella propria metà campo è stato il lato più curato nelle prime giornate di allenamenti. Complice, probabilmente, anche il primo impegno di Markovic in panchina, contro un’Olimpia Milano in netta ripresa e che rispetto all’andata avrà un Napier in più nel motore, la maggior consapevolezza del gruppo italiani da Bortolani a Flaccadori e uno Shields che malgrado i problemi fisici vissuti potrebbe essere sempre il pericolo numero uno per la difesa biancoblù.
Matteo Cardia














