In questo periodo di pandemia mondiale a causa dell’emergenza coronavirus anche il mondo dello sport ha iniziato a interrogarsi sulla salute e la tutela dei calciatori. Scioperi minacciati, proroga di contratti e prestiti in caso di campionati slittati oltre giugno e le varie opzioni al vaglio della Lega per capire come far terminare questa Serie A. In queste ore si è parlato molto dei giocatori professionisti noi invece abbiamo voluto approfondire anche l’aspetto di quegli atleti, calciatori in modo particolare, meno sotto gli occhi dei riflettori a causa del loro status di dilettanti ma che, soprattutto nella serie D, rappresentano più che meri appassionati della domenica e sono fonte di sostentamento per intere famiglie.
Parola all’esperto
Abbiamo chiesto un parere sul punto all’avvocato Filippo Pirisi, specializzato in diritto sportivo e Coordinatore dell’Associazione Italiana Avvocati dello Sport, perché ci aiutasse ad inquadrare al meglio la situazione. “Ogni parere o valutazione, ad oggi, è difficile, perché anche il mondo del calcio sta navigando a vista per capire come porsi davanti a quella che è, a tutti gli effetti, un’emergenza mondiale dai contorni ancora incerti. Ciò che oggi sembra più accreditato può essere stravolto domani, quindi bisogna procedere con i piedi di piombo nel rispetto delle Società e dei tesserati, ancor di più nel settore dilettantistico”. Come si sa, infatti, la differenza fra dilettantismo e professionismo è stata originariamente sancita con l’emanazione della Legge n. 91/1981 la quale utilizzò come elemento di distinzione i motivi per i quali l’attività veniva svolta, differenziando quindi l’atleta che svolgeva la prestazione per motivi di lavoro da chi, invece, no. “Questa è una distinzione ontologicamente corretta” – spiega Pirisi – “ma che, soprattutto negli ultimi anni, è stata giustamente argomentata e trattata in maniera molto più estensiva alla luce del cosiddetto professionismo di fatto, poiché, sebbene accomunati dal medesimo inquadramento soggettivo, non si può negare che vi siano delle differenze fra atleti della Serie D ed altri di serie inferiori. Da un lato abbiamo chi gioca, realmente, solo per diletto e, dall’altra, situazioni in base alle quali, grazie ad un determinato rimborso spese, molti ragazzi vivono e crescono delle famiglie svolgendo le proprie prestazioni sulla base dei medesimi requisiti dei professionisti, quali la continuità e la ripetitività delle prestazioni e la subordinazione alle direttive gerarchiche”.
Il problema della Serie D
Differenze che si riflettono anche sui regimi patrimoniali. “Inevitabilmente si, perché è innegabile che in numerosi casi anche i dilettanti percepiscano somme inquadrabili più come dei veri e propri stipendi piuttosto che come meri rimborsi spese ma che, in ragione del diverso inquadramento giuridico soggettivo, non hanno tutele minimamente paragonabili a quelle dei professionisti”. Cosa potrebbe accadere dunque ai Campionati dilettantistici e, in particolare, a quello della serie D? “Sempre ricordando che la situazione è in divenire, ad oggi bisogna registrare che il Consiglio Direttivo della L.N.D. ha deciso di sospendere tutte le attività fino al 3 aprile sia a livello nazionale che territoriale, autorizzando il suo Presidente a prendere provvedimenti d’urgenza a seconda delle indicazioni provenienti dalle Autorità sanitarie e dai provvedimenti legislativi”. E quali potrebbero essere, dunque, le successive possibilità? “Molto dipenderà” -continua Pirisi- “dalla diffusione del virus nelle prossime settimane, così da capirne la portata e le migliori modalità di difesa. Certamente la Lega farà di tutto per portare a termine le competizioni, modificando i calendari e ridisegnando il calendario delle gare di modo da concluderle entro il 30 giugno, ma è innegabile che, ancor di più nel regime del dilettantismo, non si vorrà, ne dovrà o potrà far sconti sulle misure di sicurezza nell’interesse degli atleti e degli addetti ai lavori.” Si è parlato anche dell’ipotesi, come per i campionati professionistici, di far slittare la fine dei campionati a dopo il 30 giugno, invadendo per così dire la successione stagione sportiva. “E’ una possibilità allo studio nei vari tavoli di lavoro” – chiarisce sempre Pirisi – “ma il mio personalissimo parere è che sia, nei professionisti come nei dilettanti, un qualcosa di difficilmente percorribile per tutte le prerogative tecniche che il tesseramento contempla, fra cui, banalmente, la libertà di ciascun atleta di cambiare squadra al termine della stagione e delle Società di programmare ogni annualità in piena autonomia”.
Rimborsi spese
E per quanto riguarda la corresponsione dei rimborsi spesa, come cambierà la regolamentazione a seconda delle diverse possibili decisioni che potranno essere assunte? “Una risposta certa non è semplice perché si tratta di un caso – per fortuna – più unico che raro. La premessa è che, se la prestazione sportiva diviene impossibile per cause non imputabili alle Società, le stesse, ovviamente, possono non corrispondere i rimborsi dal momento che non ci sarebbe stata attività. Pertanto, se il campionato dovesse essere definitivamente annullato, ritengo che ogni affiliata potrà liberamente decidere se e quanto corrispondere ai propri tesserati. Il tutto, con l’aggravante che, a differenza dei professionisti che sono inquadrati come lavoratori dipendenti, i dilettanti non potrebbero in nessun caso accedere a casse integrative di alcun genere. Allo stesso tempo, se invece il campionato dovesse riprendere, le singole squadre dovranno rimborsare ai propri tesserati le spese sostenute per far fronte all’attività nei periodi in cui essa si è svolta, avuto riguardo agli accordi economici ritualmente depositati presso la lega di riferimento”.
Roberto Pinna