Il pubblico è tornato, e si è sentito. Settemila persone alla Unipol Domus non le si vedeva da prima della pandemia, quando ancora l’impianto si chiamava Sardegna Arena. Curiosità: la presentazione del nuovo nome dell’impianto e dell’accordo con Unipol è stato ufficializzato in pompa magna in presenza dei giornalisti allo stadio, nonostante la concomitanza con i giorni del ritiro. Nel frattempo invece gli allenatori passano per Cagliari senza che nessuno della stampa riesca a vederli di persona se non dietro a uno schermo. Priorità, ma il senso di queste righe è altro.
Dagli applausi ai fischi
Il pubblico è tornato, dicevamo, e alla richiesta di Mazzarri pre Empoli – “Vorrei una grossa mano dai tifosi in casa così come è stato a Roma. Voglio il dodicesimo uomo in campo. Faccio un appello alla nostra gente, abbiamo bisogno di loro per crescere. Noi daremo anima e cuore” – il popolo rossoblù ha risposto presente. Cori, incitamenti e fischi agli avversari. Un piccolo ritorno alla “normalità” dei 90 minuti dentro uno stadio di calcio che però pare non abbia sortito alcun effetto sul rendimento in campo della squadra. Tanto che l’assenza di quell’anima e di quel cuore promessi da Mazzarri ha portato a fischi ai giocatori rossoblù e anche a cori contro il presidente Tommaso Giulini nella ripresa, e soprattutto nei minuti finali di agonia per il Cagliari con l’Empoli più volte vicino al 3-0. A fine partita la curva ha rifiutato il saluto e gli applausi della rosa di Mazzarri, tanto che lo stesso tecnico nelle poche risposte che ha concesso alla stampa (e solo a coloro che finanziano con i diritti il tendone del pallone), ha confessato: “Ho visto i ragazzi affranti, dovrò lavorarci su in vista della partita contro il Napoli”.
Il peso del tifo
E il peso del dodicesimo uomo in campo è forse un aspetto che in casa Cagliari è stato preso troppo a cuor leggero. Perché alla fine per l’umore della piazza non bastano le belle iniziative social o le trovate di marketing, ma contano solo i risultati e l’identità mostrati dalla squadra in campo. E non va dimenticato che la “gente” rossoblù ribolle da tempo, senza valvole di sfogo reali. L’ultimo pienone allo stadio è stato quel Cagliari-Roma 3-4 di marzo 2020 che costò la panchina a Maran, dopo i sogni europei d’autunno. Poi un centenario in lockdown, il periodo di transizione con Zenga e l’anno disastroso vissuto dal divano con Di Francesco. La salvezza con Semplici come consolazione, ma poi ecco la nuova stagione: una nuova rivoluzione tecnica e un progetto che non sembra esserci, o almeno non con continuità e basi solide. Basta aprire una qualsiasi pagina social dedicata ai sostenitori rossoblù per capire che l’ambiente ha raggiunto il limite di sopportazione per il lungo momento no della rosa, nonostante investimenti e proclami passati. Ora però, dopo lunga pressione dei club che non hanno avuto stessa attenzione per sale stampa e zone miste, gli stadi stanno riaprendo con una capienza sempre maggiore e il malumore dal web diventa reale, come accaduto a fine partita contro l’Empoli. Fischi e insulti che abbassano un morale già sotto i tacchi. Perché il dodicesimo uomo in campo, come piace definirlo a chi guarda non solo ai tifosi ma anche ai clienti, può spingere una squadra oltre i propri limiti ma mette anche gli uomini davanti a un muro chiamato responsabilità e pressioni.
Roberto Pinna