Un punto in tre partite, tutte in casa e tutte contro dirette concorrenti. Il Cagliari chiude così la serie di scontri alla Unipol Domus, con una sconfitta contro l’Empoli che ha dato risposte negative su tutti i fronti. Problemi di tenuta fisica, problemi di tenuta mentale, problemi a livello individuale e anche tattici. La cura Mazzarri non ha ancora dato l’effetto sperato, nonostante il brodino di Roma contro la Lazio e con l’alibi del tempo che è mancato e di una rosa non all’altezza, sia per cause intrinseche sia per infortuni e ritardi di condizione.
La scelta dell’undici titolari sembra essere nata più da aspetti fisici che da incastri di formazione. Non i migliori a disposizione, ma quelli in condizione di reggere più di un tempo. Così la confusione tecnica – due terzini mancini, tre centrali di difesa, le due partite a stretto giro per dieci undicesimi – ha avuto come conseguenza quella tattica. Alzi la mano chi, dopo i primi minuti, avesse chiara la disposizione in campo dei rossoblù. Non il 4-4-1-1 dell’Olimpico, forse, ma una sorta di 3-5-1-1 e di 5-3-2 con Lykogiannis e Dalbert ad alternarsi tra i ruoli di interni di sinistra a centrocampo ed esterni della difesa a cinque. Walukiewicz, che terzino non è, passava da quarto a terzo di destra non senza difficoltà. A questo si sono aggiunti costanti e ripetuti errori tecnici in palleggio, soprattutto in uscita dalla difesa, e Marin in mezzo al campo doveva cantare e portare la croce anche a causa di un Deiola spesso nascosto e poco propenso alla presa di responsabilità.
Bassi e confusi
Il gol del vantaggio dell’Empoli firmato da Di Francesco arriva senza sorprese. Tanto è stato il dominio dei toscani nella prima parte del match che la rete è sembrata una logica conseguenza. In primis delle difficoltà di Deiola, sovrastato da Ricci in mezzo al campo e incapace di compensare i deficit tecnici con le qualità di abnegazione.
L’azione parte da una discesa sulla destra di Haas che va al doppio triangolo lungo con Di Francesco. Deiola è inizialmente bravo a seguire il centrocampista avversario, a sua volta fortunato nell’evoluzione della giocata sul lato corto dell’area. Resta però la leggerezza nel leggere uno sviluppo abbastanza scolastico da parte dell’Empoli.
Haas scivola e, proprio grazie alla confusione creatasi dalla sua caduta, riesce a liberarsi di un Deiola disattento. In questo momento nasce la sorpresa, perché sia Dalbert che Carboni non si aspettavano la calma olimpica con cui l’avversario si presenta dentro l’area. A questo punto Di Francesco ha nuovamente chiuso il triangolo lungo andando a sistemarsi dentro i sedici metri per ricevere il pallone di ritorno. Carboni decide, legittimamente, di chiudere la linea di passaggio orizzontale verso l’area piccola, mentre è statico e non va in aiuto dei compagni quando avrebbe potuto avvicinarsi maggiormente a Di Francesco.
Nel momento dell’assist di Haas al compagno, Ceppitelli è impegnato su Pinamonti, troppo basso a ridosso di Cragno come d’altronde Carboni. Lo spazio tra i difensori e Di Francesco è ampio, Marin non accorcia e l’attaccante empolese ha tutto il tempo di stoppare, girarsi e calciare verso la porta. Poco reattivo proprio Ceppitelli, più leggero che sfortunato nella deviazione che mette fuori gioco Cragno e porta al vantaggio dell’Empoli.
Leggerezza
La mente pesa, il pallone altrettanto, ma in mezzo c’è spazio per la leggerezza. Quella delle mercature, quella dell’attacco alle seconde palle fuori come dentro l’area. Il raddoppio dell’Empoli nasce da un calcio d’angolo. Il Cagliari si schiera con tutti i suoi effettivi dentro l’area di rigore, non solo, ma i dieci uomini più Cragno sono racchiusi negli undici metri tra il dischetto e la linea di porta. Zona totale, linea estremamente bassa e a protezione di Cragno.
Non solo, ma anche l’ultimo del gruppo sul palo più lontano, Walukiewicz, non si preoccupa minimamente di chi staziona fuori dall’immagine e quasi a ridosso del lato corto opposto.
Sul cross dalla destra due deviazioni allungano la sfera e il difensore polacco di fa sorprendere soprattutto dalla seconda. Intervento goffo, distanza ampia dall’avversario diretto (Pinamonti) e conclusione ribattuta che diventa preda di Stulac fuori area. E qui si apre un altro tema, la mancata copertura della zona dei sedici metri da parte della squadra, con tutti i giocatori deputati alla difesa della porta e nessuno all’eventuale respinta. Il tiro del centrocampista dell’Empoli, di ottima fattura, entra in porta anche per via della poca pressione degli avversari tra chi è troppo lontano e chi si gira sulla conclusione.
Nández croce e delizia
Unico momento positivo della partita per gli uomini di Mazzarri è quello tra inizio ripresa e il palo colpito da Keita. Strootman e Godín alzano le linee di difesa e mediana, le fasce diventano terra di conquista, soprattutto quella destra con Nahitan Nández. L’uruguaiano, però, alterna a un’enorme abnegazione e alla corsa a perdifiato alcune scelte rivedibili. Dribbling, azioni da solista, voglia di strafare che si tramuta in un certo individualismo poco costruttivo.
L’azione del palo colpito da Keita è la cartina di tornasole della differenza tra scelte giuste, con relativi tempi di giocata perfetti, e scelte votate all’individualismo. Nández arriva sul vertice destro d’attacco dell’area dell’Empoli dopo un triangolo lungo che lo libera tra la difesa avversaria. Mentre in altre occasioni il León si era perso in dribbling e contro dribbling, in questo caso decide per una giocata che fin da Roma è sembrata una delle soluzioni preferite da Mazzarri. Senza Pavoletti la palla resta a terra e si cerca il pallone orizzontale – o all’indietro – per chi tra Joao Pedro e Keita resta più indietro invece di attaccare la porta. Il senegalese può così ricevere mentre la difesa è attirata verso la porta, stoppare, girarsi e colpire in diagonale. Il palo sarà la differenza tra una possibile reazione e il crollo definitivo.
Matteo Zizola