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Cagliari, basta con le belle parole: sai diventare anche operaio?

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Affrontare i propri demoni è l’esercizio interiore più complicato delle nostre esistenze. Inutile prendersi in giro, la maggior parte di noi cerca di nascondere nell’inconscio problemi, vizi e paure fino a quando non diventa troppo tardi per superarli. Questo è un po’ il gioco mentale che ha fatto il Cagliari in stagione. Partita con l’obiettivo di divertire mirando al decimo posto con un progetto nuovo e ambizioso firmato Di Francesco, la squadra rossoblù ha nascosto fino all’ultimo a se stessa lo spettro della retrocessione, guardando più ai nomi presenti in rosa che alla reale assenza di uno spirito umile e operaio.

Parole, parole, parole

Guardiamo alle prestazioni, con questo atteggiamento ci salveremo“, “Abbiamo creato 12 occasioni da gol, è stato un peccato anche solo non pareggiare le ultime due sfide“, “Dovunque vado ricevo complimenti per la rosa del Cagliari e nessuno si spiega la nostra classifica“, “Per le qualità di questa squadra la classifica attuale è ridicola“. Sono solo alcune delle dichiarazioni recenti in casa Cagliari. In ordine mister Semplici, il direttore generale Mario Passetti e il presidente Tommaso Giulini. Da fuori sembra che il gruppo rossoblù stia guardando al dito e non alla luna. Belle parole, confortanti sulla bontà, sulla carta, di una squadra che oggettivamente per nomi sembra superiore ad altre nella lotta salvezza. Ma pochissimi riferimenti al carattere, all’identità e alla mentalità di un gruppo che, e non da questo campionato, sembra disunito e poco umile. Ecco, l’umiltà forse tra tutti i valori è quella che più manca a questo Cagliari. E sembra anche la caratteristica principale da trovare per salvarsi. E non solo in campo.

Cattiveria

La prima gara di Semplici vinta a Crotone, nonostante un buon forcing dei padroni di casa, sembrava un passo in avanti sul piano del carattere. Il “bel” Cagliari, circondato della parola progetto, delle idee sul nuovo stadio, dalle ambizioni sussurrate e non di Europa che ormai da più di un anno si trascina stancamente per la Serie A sembrava finalmente capace di vincere in maniera sporca e cattiva. Ma è stato un fuoco di paglia. L’impressione è che per fare davvero l’impresa, diventata praticamente impossibile, il club rossoblù debba abbandonare un po’ di spocchia. Nessuna sfida in stagione è stata definita chiaramente come da dentro fuori, quasi a voler ritardare il momento della verità davanti allo specchio: siamo una squadra che deve salvarsi e basta. E spesso l’attenzione è stata spostata sulla qualità di una rosa paragonata ad altre al momento in posizioni ben diverse di classifica. Il campo però racconta un’altra realtà: il Cagliari per ora sembra la squadra meno centrata nella lotta salvezza, anche Parma e Crotone hanno mostrato avere più voglia agonista dei sardi guardano alle ultime giornate. Il Cagliari ora deve dimenticarsi tutte le ambizioni di un legittimo progetto di crescita che negli ultimi anni però non ha portato al salto di qualità tanto sperato in dirigenza. Servirà sporcarsi le mani e diventare operai, e anche così facendo potrebbe non bastare. Anche perché per crescere bisogna essere consapevoli di ciò che si è e non ciò che si vorrebbe diventare. Il Verona “metalmeccanico”, salvo con dieci giornate di  anticipo di Jurić, potrebbe essere il giusto insegnamento per un Cagliari “imprenditore di se stesso”.

Roberto Pinna

 

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