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Sostiene Ionita

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Ultimo Tango a Cagliari è la rubrica curata da Andrea Valentini che propone la passione per il Cagliari con uno stile tutto nuovo e particolare.

Riflessioni d’un mezzo destro che credeva in antichi valori ma imparò a pensare moderno.

Sostiene Ionita d’averlo imparato in un giorno d’estate.
Una giornata soleggiata e ventilata, e Chišinau sfavillava.
Pare che il bimbo Ionita stesse per strada, mentre il papà lavorava in fabbrica come anche i padri dei suoi amici, a giocare al pallone, perché in Moldavia non esistono solo ginnasti.
Dieci contro dieci, venti contro venti: poco importava.
E lui, Ionita, iniziava a riflettere sulla tattica.

Correva Ionita, correva più degli altri ragazzini.
Era anche il più dotato, a dire il vero.
Non che ci volesse molto: viveva nel Paese più povero di talento tra quelli che fecero parte dell’URSS.
Negli anni novanta, il Partito Comunista governava, ma il Regime Sovietico era caduto, e Ionita era l’unico del suo quartiere a saper vincere i rimbalzi incerti d’un pallone vecchio e sgonfio.
Poi scoprì d’essere l’unico in città, poi uno dei pochi in tutto lo Stato.
Qualcuno se ne accorse, e lo portò a giocare coi migliori che si potessero racimolare.
Così Ionita scambiava il pallone, lo scaraventava in rete, ma soprattutto correva, e correva e correva.
Picchiava e correva, non c’era modo di far poesia.

Emigrò in Svizzera ventenne, quando s’accorse che nessuno gli avrebbe potuto insegnare più nulla.
E corse, e picchiò, e segnò, fino a guadagnarsi l’Italia.
Verona, città d’arte così diversa dai blocchi di cemento che lo avevano riparato dal vento dell’est.
Feudo di frange d’estrema destra, così distanti dai sindacati dagli operai che conobbe in patria.
Qui sì, poté incontrare compagni di squadra più raffinati, più fantasiosi, genti cresciute in tempo di pace, più adatte al ghirigoro che alla battaglia.
Eppure il compagno Ionita, della Sinistra Indipendente, convinse tutti che sì, la filosofia si occupa della verità, ma forse dice solo fantasie.
E il filosofo Mandorlini ascoltava il credo di Ionita, facevano lunghe chiacchierate, i due.
Così, accanto a tanti suoi discepoli di dubbia sincerità, schierava Artur L’Onesto, affinché guidasse il pressing alto e le azioni di guerriglia in area avversaria, ove sarebbe giunto a fari spenti per infliggere dolorose perdite al nemico.
Funzionò.

Non importa se non era bello da vedere, funzionò: tanto bastava.
Non c’è niente di cui vergognarsi a questo mondo, sostiene Ionita, se non si è rubato e se non si è disonorato il padre e la madre.

Volò a Cagliari, conobbe persino uno sbocco sul mare, che Ucraina e Romania, con la loro morsa, negavano alla sua terra.
Una città ed un’isola di gente genuina, come lui, mezzala di contenimento dalla vocazione verticale, poco calcolatore ed attendista, piuttosto maestro della zingarata offensiva.
Incontrò un uruguaiano che intendeva indottrinarlo al catenaccio. Soffrì ma continuò a correre e picchiare, predicando talvolta nel deserto.
Non si sentì rassicurato, sentì invece una grande nostalgia, di cosa non avrebbe saputo dirlo, ma era una grande nostalgia di una vita passata e di una futura, sostiene Ionita.
Il Cagliari si salvò, egli rimase al sole, l’uruguagio fu congedato.

Sopraggiunse allora Rolando Maran, emerso grazie al calcio spettacolo, confermatosi ai massimi livelli grazie alla solidità e al pressing ragionato.
Sostiene Ionita d’averlo persuaso che fosse inutile bloccare interni di centrocampo come lui e Barella, andavano lasciati correre in avanti, come aveva imparato a Chišinau giocando con quei compagni così poco portati per il gioco del pallone.
“La smetta di frequentare il passato, cerchi di frequentare il futuro” – disse il moldavo al tecnico trentino.
Quest’ultimo si fidò (come si fa a non fidarsi di uno come Ionita?) ed ottenne in cambio infinite corse ad accorciare il campo sul portatore, inserimenti a riempire l’area, duelli aerei, randellate, assist e contrasti, rigorosamente portati con la forza del leone.

Sostiene Ionita che l’essere umano non sia provvisto di un’unica anima, bensì di tante anime diverse, tra le quali ne può scegliere una che prevalga sulle altre della confederazione.
Allo stesso modo non può esistere un solo modo di fare calcio, bensì diverse discipline tattiche, interpretabili dagli stessi calciatori nelle maniere più disparate, senza per questo dover rinunciare ad attaccare, a portare alta la propria pressione.
Una teoria che parve interessante a Maran, quella della confederazione delle anime, se è vero che non lo ha mai tolto dal suo scacchiere.
4-3-1-2, 4–4-2, 3-5-2…Ionita risulta sempre in formazione.
Anzi, arrivano altri maestri del calcio che piace al compagno Artur, dal Belgio, dalla Croazia, dall’Uruguay, tutti con le armi in mano e i meccanismi del gegenpressing in testa.

Sostiene Ionita che si debba giocare così, senza ragionare più del dovuto, ma seguendo le ragioni del cuore.
“È difficile avere convinzioni precise quando si parla delle ragioni del cuore” – sostiene Maran.
“Le ragioni del cuore sono le più importanti, bisogna sempre seguire le ragioni del cuore, questo i dieci comandamenti non lo dicono, ma glielo dico io” – replicò Ionita, cuore rossoblù e polmoni d’acciaio inossidabile, che sostiene il centrocampo del Cagliari.

Andrea Valentini