Ultimo Tango a Cagliari | Racconti, emozioni e deliri in rossoblù. Di Andrea Valentini
Non immaginate quanto abbia odiato Federico Marchetti.
Di quell’odio buono ma sentito, sportivo ma costante ed intenso.
Dopo due stagioni che lo avevano portato fino alla Nazionale, con annesso Mondiale in Sudafrica, la stagione da separato in casa.
Per una dichiarazione ingenuamente indigesta: “Mi piacerebbe giocare la Champions League” rispondeva a chi gli aveva appena chiesto se volesse andare alla Sampdoria.
Confessava il sogno di ogni bambino, al contempo tradiva i suoi tifosi, senza rendersene conto.
Perché il calcio moderno è mediatico e spietato.
Prima di saper dare pedate al pallone, è opportuno un corso di comunicazione.
E pensare che non era ancora il tempo delle frecciatine su Instagram.
Insomma, Federico cadde sull’ABC.
Sarebbe bastato un diplomatico “sto bene a Cagliari” per illudere una piazza ipocrita che sarebbe rimasto con noi a lungo.
Ad ogni modo, io l’ho perdonato.
Di più, gli devo delle scuse.
L’ho condannato per direttissima, come tutti, per una frase sciocca che, se non avesse pronunciato, avrebbe lo stesso pensato.
Non ho considerato che la sua fanciullesca sincerità deriva da un passato che non somiglia al Carnevale di Rio.
Due incidenti stradali: nel primo è coinvolto in prima persona, sfugge alla morte e perde uno dei suoi due migliori amici.
Nel secondo, sopravvive per miracolo la sorella di Buffon, ma non il suo altro miglior amico.
Resta solo, non potrà fare con Francesco e Andrea il viaggio in Messico che progettavano da anni.
Ci andrà senza di loro, e se li tatuerà per portarli sulla pelle come nel cuore.
Tornando a noi, Cellino lo dà in pasto alla folla assetata di sangue per poterlo vendere senza contestazioni di sorta.
Dopo un anno di lavoro solitario e qualche partita nella Primavera, la nuova occasione alla Lazio.
Ebbene, anche qui due anni alla grande.
Poi, ancora problemi di vario genere: un guaio familiare, un fastidioso disturbo di natura miofasciale che lo espone a continui infortuni muscolari, perfino uno stop causato da una pallonata.
Da allora, senza entrare troppo nello specifico (parlate anche voi con chi lo vedeva ogni giorno se siete appassionati di gossip…), un calvario.
Ha paura di buttarsi, perché ogni 3×2 si fa male.
Teme le uscite basse perché potrebbe rimediare altri colpi violenti.
Per carità, avrebbe perso fiducia anche Robocop, fatto sta che Federico va in crisi.
Incertezza, poi ansia, infine ipocondria.
Scappa da Formello per raggiungere il pronto soccorso.
Non ha niente, ma non lo sa.
Chi scrive sa cosa significhi controllarsi il battito cardiaco ogni due minuti, non riuscire a prendere sonno per paura di non svegliarsi, essere vigili un momento ed assentarsi l’attimo seguente in preda a chissà quale paranoia.
“Marchetti è finito a fare il terzo portiere al Genoa”, sghignazza qualche tecnico da bar.
“Bella carriera”, gli fa eco qualche cuor di leone su Facebook, qualcuno che al massimo ha fatto il portiere d’albergo.
La verità è che Marchetti non ha più avuto la testa per difendere i pali.
Non ha più trovato le certezze necessarie per interpretare il ruolo che richiede più concentrazione in questo sport.
Riabilitare Marchetti?
Non so, fate voi.
Ma per fischiarlo ogni volta che torna a Cagliari, gufarlo da un divano imbottito di piuma d’oca e invidia, o inchiodarlo sulla croce dell’amore per la maglia basandosi su una distratta esternazione decontestualizzata, cercatemi pure nella prossima vita.
Avanti, Federico.
Andrea Valentini