Nuovo appuntamento con la nuova rubrica di Centotrentuno: una serie di interviste a personaggi e protagonisti dello sport sardo, con un excursus che parte da un evento del passato per poi arrivare a chiacchierare di presente e futuro.
22 dicembre 2016, Stadio Sant’Elia. Aria natalizia, per una fredda serata di calcio in cui la tensione si taglia a fette e non solo per i pochi gradi segnati dal termometro. Immaginate di essere seduti sulla panchina della squadra che avete riportato in Serie A al primo colpo – vincendo il campionato cadetto confermando le stimmate da favorita – che, da qualche tempo, non è più salda come un tempo. Qualche sconfitta di troppo, sia nel punteggio (come lo 0-5 interno con il Napoli di Sarri e Mertens) che nella prestazione, ha minato la serenità di una squadra che, da neopromossa, sta mantenendo abbondantemente le aspettative di inizio stagione. Per Massimo Rastelli quella sfida contro il Sassuolo valeva ben più dei tre punti in palio: in quel momento il suo posto da allenatore del Cagliari era in discussione, serviva una risposta decisa per dissipare dubbi e nervosismo. Il 4-3 finale con cui Sau e compagni superarono gli emiliani pose il sigillo su una partita entrata di diritto nella storia recente del club rossoblù e nella carriera dello stesso tecnico campano, che dopo quella vittoria potè gustarsi a pieno titolo il panettone distribuito negli spogliatoi nel postpartita, consolidando la sua posizione in panchina ancora per un bel pezzo.
Rastelli, quel Cagliari-Sassuolo fu molto importante per la sua carriera cagliaritana: alla vigilia si parlava quasi di ultima spiaggia e il terzo gol dei neroverdi al 58′ fece pensare a tanti che la sua avventura in Sardegna sarebbe finita là. Invece ci fu una rimonta di orgoglio, che diede nuova linfa alla sua storia in rossoblù. A distanza di cinque anni e mezzo qual è il suo ricordo di quella gara?
“Ho quella partita ben stampata nella memoria, perché è stato uno spartiacque per me e per il girone di ritorno della squadra, dato che in quel periodo la mia posizione non era così forte nonostante una buona posizione di classifica. Fu una partita rocambolesca con tantissime occasioni, ricordo bene il momento dell’espulsione di Pellegrini sul finire di primo tempo e poi il loro terzo gol in contropiede a inizio ripresa. Facemmo una rimonta straordinaria, dall’1-3 al 4-3 con Borriello e la doppietta di Farias. Fu una grandissima vittoria che ci permise di chiudere il girone d’andata a 23 punti e passare la sosta natalizia con più serenità, potendomi confrontare con la società per gli interventi da fare nel girone di ritorno, dove facemmo ancora meglio migliorando la solidità difensiva e conservando la vena realizzativa chiudendo con quasi 60 gol segnati (55, ndr)”.
Secondo lei quel Cagliari dove si posizionerebbe nel campionato attuale?
“È difficile dare una risposta, perché ogni stagione è figlia del momento storico in cui si svolge. Col senno di poi, tranne il mio secondo anno di Serie A (2017-18, ndr) in cui la squadra venne pesantemente indebolita e si salvò tra varie peripezie all’ultima giornata, gli organici che sono stati costruiti in seguito erano frutto di budget triplicati o quadruplicati rispetto ai miei anni. Non dimentichiamo che il Cagliari 2016-17 era allenato da un tecnico esordiente in Serie A come il sottoscritto, con una rosa giovane e pochissimi elementi con esperienza in Serie A, cui vennero aggiunti giocatori forti come Borriello, Isla, Bruno Alves e Padoin. Cercai di mantenere la stessa mentalità che ci aveva portato grandi risultati tra i cadetti: una squadra propositiva, attenta alle qualità dell’avversario ma sempre con l’obiettivo di imporre il proprio gioco. Questo ci permise di vincere tante partite e, soprattutto, le gare alla nostra portata, cui vanno sommate le ciliegine contro Inter e Milan o il pareggio con la Lazio. Tengo però soprattutto ai 23 punti dell’andata, arrivati senza poter praticamente contare sugli infortunati Ionita e Joao Pedro, con Dessena e Melchiorri a mezzo servizio dopo i gravi infortuni della stagione precedente. In più in porta non avevamo certo questo Cragno, senza nulla togliere al buon Storari. Tutto questo da neopromossi”.
La rosa di quel 2016-17 è per certi versi inferiore a quelle degli ultimi anni, eppure resiste il suo 11° posto come miglior risultato dell’era Giulini. Che spiegazione si dà?
“Mi sarebbe piaciuto che il nostro lavoro, mio e dei ragazzi, fosse stato riconosciuto in maniera diversa. Ripeto, solo la mentalità e la voglia di fare un gol più dell’avversario ci hanno permesso di raggiungere quel risultato, anche se in quel momento venivano soltanto messe in rilievo le goleade subite. Eppure i numeri parlino chiaro: l’undicesimo posto di fine stagione è un ottimo risultato per una neopromossa, ma ritengo che tutto questo non sia stato valutato e apprezzato appieno, a differenza delle salvezze tribolate arrivate negli anni successivi che sono state festeggiate quasi quanto uno scudetto. Credo che quel che abbiamo fatto in quella stagione sia qualcosa di straordinario per tanti aspetti. È fondamentale avere un’identità ben precisa e una filosofia di gioco, poi la differenza a livello di risultati arriva dalla gestione del gruppo: un allenatore deve essere bravo a fare questo, quando si vince sono tutti bravi. Io ho dovuto gestire delle sconfitte pesanti, ma siamo riusciti a costruire un gruppo solido, galvanizzato dall’entusiasmo della promozione dalla Serie B: chi è venuto lo ha fatto con grande professionalità, dandoci tantissimo dal punto di vista della personalità e del carisma. Ma la differenza vera arriva dalla gestione del gruppo nelle difficoltà: come staff tecnico, società e direttore sportivo siamo stati bravi a pensare con una sola testa, utilizzando il confronto come strumento per migliorare dove serviva”.
Il protagonista di quel Cagliari-Sassuolo 4-3 fu senza dubbio Diego Farias. Con lei in panchina, numeri alla mano, il brasiliano ha vissuto certamente i suoi migliori momenti in carriera: si è mai dato una spiegazione del motivo per cui il brasiliano non sia riuscito a diventare un giocatore da big?
“Bisogna tornare al concetto di gestione delle risorse umane, volendo utilizzare un gergo aziendale: ogni calciatore ha la sua personalità, le sue esigenze, aspettative e fragilità. Con Diego parlavo tantissimo, lui era molto legato a Joao Pedro: gli facevo capire che per me era un giocatore fondamentale, perché faceva la differenza se rimaneva in partita e si impegnava, non pensando soltanto alla fase offensiva. Con me ha reso tanto, per lui parlano i numeri: si sentiva apprezzato, tanto da riuscire a superare quei momenti di apatia che più volte ha vissuto nella sua carriera”.
Parliamo di Joao Pedro, al centro dell’attenzione a partire dalla sfortunata esperienza in nazionale fino al ritorno al gol in rossoblù, passando per le sirene di mercato che tornano a suonare dalle parti di Firenze. Come si gestisce questo “tourbillon emozionale” in un momento difficile come quello vissuto dal Cagliari?
“Joao ormai ha raggiunto la maturità anagrafica, atletica e tecnica. Dall’esterno penso che nei mesi scorsi abbia pagato lo scotto della possibile convocazione in azzurro, come se avesse un peso sulle spalle che gli impediva di giocare e incidere con semplicità e naturalezza come in passato. Credo che non sia un caso il fatto che, una volta archiviato il discorso Nazionale con l’esordio e, ahinoi, l’eliminazione dai playoff per i Mondiali, sia tornato il solito Joao Pedro. Secondo me in questi casi si deve pensare soltanto a una partita per volta, ad allenarsi sempre al massimo e dare il meglio di se stessi in ogni gara, cercando di essere sempre un esempio. Il fatto che Joao sia così attaccato a Cagliari e che viva il rossoblù come una seconda pelle può essere un boomerang per le prestazioni, perché la troppa voglia a volte causa tensione e non si riesce a rendere come si vorrebbe. Bisogna essere forti mentalmente e riuscire a gestire queste fasi, ma lui ha sempre dimostrato che la porta la vede: mi auguro per lui e per il Cagliari che i suoi gol possano essere un po’ più protetti da tutta la squadra rispetto alle ultime due gare”.
Lasciamo stare la panchina e torniamo al suo passato da attaccante guizzante: in chi si rivede Massimo Rastelli nel calcio di oggi?
“Faccio un solo nome: Gabriel Strefezza. L’ho allenato sia a Cremona che a Ferrara, è un ragazzo serio che si allena sempre al massimo ed è estremamente duttile: può giocare esterno, da seconda o prima punta, da quinto nel 3-5-2, ma ovunque lo schieri dà sempre l’anima per la squadra. Adesso ha raggiunto quella maturità tecnica che lo porta a fare tanti gol, mi sono rivisto in lui nei primi anni della mia carriera quando giocavo alla Lucchese, prima di arrivare in Serie A”.
Segue ancora le sue ex squadre, Cagliari a parte? E c’è qualche nome che vorrebbe segnalare al Cagliari per il prossimo mercato estivo, magari un giovane di talento su cui investire…
“E come si fa a non seguirle (risata, ndr). Ci sono parecchi ragazzi interessanti, sicuramente dico Fagioli della Cremonese, anche se di proprietà della Juventus. Poi dico nuovamente Strefezza, per quanto ora sia del Lecce: ricordo che la scorsa estate venne accostato effettivamente al Cagliari, anche se poi non se ne fece nulla”.
Domanda tranchant: chi si salva tra Cagliari, Venezia e Genoa? E perché, secondo lei?
“Dico Cagliari ovviamente per il cuore, ma soprattutto perché ci sono tre punti di vantaggio sulle inseguitrici e non sono pochi. È vero che il Venezia deve recuperare una partita, ma vantaggio in classifica e qualità dell’organico sono a favore dei rossoblù: il calendario non è agevole, specie per gli scontri diretti in trasferta, ma alla luce del rendimento interno (soli 12 punti in 16 gare, ndr) non è detto che sia un problema. Venezia e Genoa non stanno vivendo un bel momento, ciò significa che anche per le altre fare punti non è semplice. Ovviamente il Cagliari non dovrà sbagliare le sfide di Genova, Salerno e Venezia, dove i punti varranno veramente doppio. Sarà fondamentale non perdere, se poi arriveranno delle vittorie ancora meglio”.
Last question: dopo l’esperienza non fortunata a Pordenone, dove si vede Massimo Rastelli nei prossimi mesi?
“È un’altra bella domanda (risata, ndr). Sono ancora sotto contratto con il Pordenone, vedremo se uscirà qualcosa di interessante nelle prossime settimane per poter iniziare la stagione e non dover subentrare, una situazione in cui ormai è sempre più difficile riuscire a incidere. L’auspicio è trovare una società con cui programmare la stagione fin dal ritiro: speriamo che qualcuno si ricordi di quanto di buono fatto negli scorsi anni…”
Francesco Aresu