Pinturas: ritratti di uomini normali e straordinarie imprese.
Correva l’anno 1837, il calcio non era ancora lo sport che conosciamo oggi, anzi, non era proprio uno sport. Una famiglia irlandese arriva in Uruguay, in un piccolo villaggio nel centro del Paese, Paso de Los Toros, poche case, molti campi, tanta povertà.Sette generazioni dopo, anno 1973, 14 ottobre, viene alla luce il primo di quattro fratelli: il suo nome è Fabian Alberto O’Neill Dominguez, figlio di Luis Alberto e Mercedes “Marita”. Quel giorno di ottobre inizia la storia di uno dei talenti più luminosi che siano mai nati in Uruguay.
Fabian conosce fin da subito le difficoltà della vita, i genitori non possono accudirlo ed è qui che entra in scena nonna Mecha, la donna che si prenderà cura del piccolo O’Neill Dominguez e che sarà la sua vera madre. Ci sono due cose che accompagnano Fabian fin da bambino, il pallone dal quale non si allontana quasi mai, come in tutti i racconti dei grandi campioni sudamericani e non, e i vizi, alcool, donne, gioco d’azzardo: chissà, forse il sangue irlandese, probabilmente le difficoltà di un’infanzia difficile, cresciuto più fra gli adulti dei bar di Paso de Los Toros che con i coetanei, una frase che tanti decenni dopo lo metterà di fianco a un altro irlandese, questa volta del Nord, il calciatore per eccellenza a quelle latitudini, George Best.
“Ho speso 14 milioni di dollari in donne veloci, cavalli lenti e gioco d’azzardo”.
Fabian non è più milionario, lo è stato in carriera, ma poco importa, per lui i soldi sono solo carta, la ricchezza è nella gente del suo villaggio, in chi gli sta vicino, nonostante tanti, troppi abbiano approfittato della sua generosità per poi lasciarlo cadere nella solitudine.
Torniamo alla sua infanzia, ai suoi 9 anni, il primo incontro con l’alcool, a 11 anni la sua prima volta con una donna di venti più grande di lui, Fabian il fattorino delle prostitute di Paso de Los Toros, qualche commissione e il chorizo da vendere ai clienti appena uscivano dalle stanze del piacere. O’Neill cresce in mezzo alle carte da gioco, ai tragos che girano sui tavoli, qualche moneta guadagnata qua e là per provare la fortuna in mezzo agli adulti, l’odore di tabacco e whiskey compagno di viaggio di notti fra lavoro e gozzovigli.
La scuola è solo un passaggio di tempo fra la sveglia di prima mattina senza aver dormito e l’amato pallone che lo porterà in alto, anche più di quanto lui stesso abbia mai desiderato.
1987, finale del campionato giovanile, Defensor contro Huracan, Fabian è la stella della squadra del paese, il suo nome ancora non ha varcato i confini del villaggio, ma lo farà presto. La vigilia è una di quelle notti fatte di alcool, gioco e poco riposo, quando manca un’ora e mezzo alla partita Fabian non è pronto, è come sparito in una nuvola di fumo tra i tavoli del bar del club. Il suo primo allenatore, Raul “Cotorra” Martinez, vive minuti di panico: no Fabian no party, senza di lui addio vittoria, addio titolo, addio sogni di gloria.
Cotorra decide di cercarlo, va a casa di nonna Mecha, Fabian dorme, è in piena resaca, due aspirine, una coca cola e via al campo: nonna Mecha lancia una premonizione a Cotorra, “non lo metta, se ne vergognerà”, ma l’allenatore conosce Fabian, sa che non è la prima volta, dimentica le parole della nonna e il ragazzino lo ripaga con due gol nel 4 a 2 che regala il titola al Defensor di Paso de Los Toros.
Quel ragazzino diventa presto leggenda, 13 gol in un tempo contro il Colon, le prime marcature a uomo solo per lui, vero pericolo per ogni allenatore avversario: la leggenda si trasforma in voci che corrono di bocca in bocca, fino a raggiungere la capitale Montevideo. In ogni storia c’è sempre un aiutante magico, insospettabile, che diventa decisivo nelle vicende dell’eroe. Nella storia di Fabian l’aiutante risponde al nome di Eduardo Lalo Oliveira, funzionario bancario di Paso de Los Toros, “hai qualche ragazzino da segnalarmi?” gli chiede il capo della sede nella capitale, Carlos Di Carlo, non solo dirigente di banca, ma anche del Club Nacional de Football, conosciuto ai più come il Nacional Montevideo. Così da Lalo a Carlos fino a Roberto Recalt, presidente del club, il nome O’Neill arriva a Montevideo e presto il giovane Fabian prepara le valigie, parte dal suo villaggio, saluta i tavoli da gioco, le prostitute e l’alcool per vestire la maglia del Nacional. Nella capitale incanta nonostante oltre il pallone anche le altre passioni rimangono quelle di sempre: il suo nome varca i confini nazionali, c’è una città in un’isola italiana famosa in Uruguay grazie al trio che tanto bene ha fatto da quelle parti. Fonseca, Herrera e soprattutto il Principe Francescoli.
Novembre 1995, un ragazzo che non sembra avere le sembianze della stella atterra in Sardegna, terra che da poco è sinonimo di uruguaiani di successo, ad attenderlo l’allenatore più titolato della Serie A, Giovanni Trapattoni.
Sulla maglia il numero 25, numero alto come quelli di chi è un di più – guarda Fabian, sono rimasti solo quelli dal 24 in avanti, no la 10 no quella è di Lulù, eccoti la 25. D’altronde O’Neill, con quel cognome poco uruguaiano, è arrivato nel mercato invernale, non è epoca di video YouTube ad aumentare le aspettative, pochi conoscono questo ragazzone, pochi ne conoscono le doti tecniche, di Principe ce n’è uno e resterà tale figuriamoci cosa potrà fare uno che nessuno sa chi sia. Del Principe non ha il fisico, non ha le movenze, non ha la classe naturale solo a guardarlo, finché non arriva il 26 novembre e Trapattoni lo butta dentro per il suo esordio, al Sant’Elia c’è il Napoli, il Cagliari è sopra di un gol e mancano venti minuti. Dai, vediamo all’opera questo nuovo sconosciuto, chissà se Cellino ci ha preso anche stavolta o se abbiamo di fronte più un Tejera che un Francescoli. Fabian ci mette poco, un mago è atterrato al Sant’Elia: prima palla, fallo di Bordin, secondo giallo, Napoli in dieci. Seconda, calcio d’angolo da sinistra, Fabian si sistema il pallone, prende la rincorsa e crea una parabola verso la porta che per poco non finisce nel sette. Bocche aperte, il pubblico capisce che sì, questo O’Neill è proprio forte. Terza, altro calcio d’angolo, ancora il portiere a salvare il tiro diretto fra i pali. Quarta, palla lavorata sulla destra, se la sposta sul piede che dovrebbe essere quello debole, invece no, calcia anche di sinistro parabole vellutate come quella che finisce perfetta sulla testa di Firicano, due a zero e tre punti per i rossoblù.
Il mago trova a Cagliari una nuova casa, una Paso de Los Toros più grande, ma che si innamora presto di quel trequartista un po’ pesante, ma dal genio assoluto e dai piedi che inventano calcio. Il pallone fra i piedi, il bicchiere fra le mani, le birre al Poetto, la poca voglia di emergere con gli allenamenti, Fabian si vuole semplicemente divertire con quello che sa fare meglio, incantare sul terreno verde.
Non mi sono mai allenato duramente perché volevo solo divertirmi e non ambivo a essere il migliore
A Cagliari conosce la caduta, la Serie B dopo lo spareggio contro il Piacenza, poi incontra Ventura ed è subito amore: risalita immediata, O’Neill protagonista, in Serie A inventa, diverte e si diverte. Ho visto giocare Veron e Zidane, ma non erano ai suoi livelli. Era unico, aveva forza, tecnica e qualità
Quando O’Neill sente oggi le parole di Ventura fa spallucce, non le condivide, lui sì era un buon giocatore, ma Zidane ragazzi, Zidane era Zidane.
Eppure ci sono i sombrero a Shevchenko, c’è quella partita in casa contro la Roma di Zeman, forse il suo apice, c’è quella volta contro la Salernitana in cui umilia un giovane Gattuso per il solo gusto di vincere una scommessa con i connazionali Montero e Abeijon: messo in guardia dalla forza di quel giovane mediano, Fabian promette che gli farà almeno tre tunnel o al contrario dirà basta con il calcio. Gli bastò meno di mezz’ora. Assist, gol e alcool, Cagliari lo abbraccia, lo coccola e forse esagera nell’assecondare i suoi vizi, ma lui ripaga dipingendo arte con il pallone come pennello, attirando le attenzioni delle grandi d’Italia, anzi della più grande: la Vecchia Signora chiama, Fabian risponde.
Nel frattempo è riuscito a far esonerare Tabarez, la sua seconda esperienza in Sardegna si chiude quando O’Neill impone il classico o lui o me al presidente Cellino: stagione 1999-2000, altra retrocessione con Ulivieri subentrato a quel maestro che per Fabian non è altro che un’insegnante di scuola, non di calcio. Durante un allenamento riceve un calcione, reagisce con una gomitata, Tabarez lo allontana e paga con la cacciata del presidente l’affronto al Mago.
Cellino, un altro salvatore di O’Neill come quel primo settembre del 1999: Viale Diaz è una strada divisa da uno spartitraffico alberato, Fabian ha forse bevuto qualche bicchiere di troppo, con la sua Audi di proprietà del Cagliari si scontra con una moto, scappa lasciando indietro la targa della macchina, scappa proprio da Cellino, in lacrime, chiede aiuto. Se la caverà, ma chi non lo sa inizia a conoscere la doppia vita di Fabian.
L’inizio della fine in Sardegna, la retrocessione lo porta a Torino, quanti campioni, ma la voglia di emergere non è la sua prima qualità, nemmeno la seconda. Beve due bicchieri di vino prima di ogni partita, gioca poco fra infortuni e scarsa attitudine al sacrificio, ma gli allenamenti sì che sono divertenti in mezzo a tutti quei campioni, Davids, Nedved, Del Piero e soprattutto Zidane che di lui dirà che è stato il giocatore più talentuoso con cui abbia mai giocato.
O’Neill, come per Ventura e come per Cosmi, che lo allenerà a Perugia due anni dopo, fa spallucce: Zinedine è un amico, lo dice solo per quello, ma non ero il più forte, no, proprio no.
Dopo il fallimento di Torino il fallimento di Perugia, il figliol prodigo torna in Sardegna, ma non è nemmeno lontanamente quel giocatore che sbarcò anni prima, quello dei calci d’angolo, dei sombrero, dei gol e dei tanti assist: l’alcool e i vizi hanno preso il sopravvento sulla magia, non gioca nemmeno una partita, pochi mesi e saluta tutti per tornare in Uruguay, altro fallimento al Nacional dove litiga per delle promesse non mantenute e a soli 29 anni ecco l’addio al calcio.
I fantasmi dell’infanzia tornano, con loro il buon cuore di chi preferisce l’amicizia e il rispetto ai soldi da milionario: da ricco a indigente, ma sempre con il sorriso e la voglia di aiutare chi sta peggio di lui, come quella volta in cui comprò 1000 mucche e invitò tutti i compaesani di Paso de Los Toros a un barbecue gigante per offrire carne a Natale e Capodanno a chi non si poteva permettere un pasto decente.
Fabian O’Neill, il mago che sarebbe potuto essere il migliore, ma non ha mai voluto far altro che divertirsi, dentro e fuori dal campo. Senza mai pentirsene.
Matteo Zizola