Pinturas: ritratti di uomini normali e straordinarie imprese.
Il fumo di tante, troppe sigarette. Seduti al tavolo, si può sentire il rumore delle carte aperte una a una, una mano le tiene l’altra controlla se la fortuna questa volta si è tolta la benda dagli occhi. Un fiammifero acceso, un’altra sigaretta in bocca, aspirare. La nebbia invade la stanza e le sagome dei presenti non restituiscono l’immagine reale. Se solo si vedesse meglio dentro a quel fumo denso si potrebbe scorgere una figura nota, i soldi che passano di mano in mano, quei soldi vinti giocando su più campi, quello della sorte e quello del pallone.
Quell’uomo alto dal fisico possente è un’artista, non dipinge né scolpisce, le sue opere sono frutto di piedi chirurgici che non ti aspetteresti in un corpo così importante. Che poi, a dirla tutta, pensare che dopo serate tra carte, sigarette e alcool quel ragazzo possa anche tirare calci a un pallone con incredibile maestria sembra pura fantasia, eppure è la realtà.
Cagliari, 1950. Il dopoguerra, una nuova vita, cancellare un passato difficile da dimenticare. Nascere a Istria, all’epoca Italia oggi Croazia, un piccolo villaggio dai tanti nomi, Valdarsa, Susgnevizza, Šušnjevica era già un destino non semplice da cui partire. Erminio Bercarich e la sua famiglia sfuggirono, si dice, anche alle Foibe. Pagina dolente, ferita mai rimarginata, ma questa è un’altra faccenda. Quello che conta per Erminio è il calcio, perché lui è bravo, nessuno lo direbbe con quel fisico eppure…
E che dire di quel soprannome, Stella del Sud, una contraddizione in termini leggendo il cognome e ricordando i natali del Nord-Est. Stella del Sud, perché se nomini Bercarich a Reggio Calabria qualcuno pensa che stia semplicemente chiedendo un’indicazione, la prima a destra, poi sempre dritto fino allo stadio, ecco, lì sei arrivato. Via Erminio Bercarich, Stadio Granillo, un onore non per tutti ma che per lui, cannoniere più prolifico della storia della Reggina – 71 gol – è un merito che supera l’oblio. Prima dimenticato, ancora oggi da tanti, poi ricordato con quel nome sulla targa a indicare la strada del calcio nella città dello Stretto.
Torniamo a Cagliari, 1950, Serie C. I rossoblù vogliono la promozione e per raggiungere l’obiettivo si affidano a un centravanti che oggi potrebbe essere un equivalente di Zlatan Ibrahimovic, ma con la vita da cattivo ragazzo. Altri tempi, ma a Erminio poco interessava degli allenamenti e del sacrificio, il suo lavoro era fare gol e finché la rete si gonfiava poco contava ciò che era successo la notte prima. Sigarette, alcool, carte, i soldi del calcio da mettere sul tavolo da gioco. Bercarich il primo anno a Cagliari trascina la squadra, 30 gol in 32 partite in Serie C con tanto di promozione, reti che significano gloria ma soprattutto lire come quelle che riceve ogni volta che trafigge il portiere. Ogni doppietta e ogni tripletta un premio da riscuotere seduta stante, c’è chi dice dopo la partita e chi, come Puppo Gorini, racconta che no, Bercarich non aspettava il fischio finale. Domenico Loi, presidente rossoblù, non aveva nemmeno il tempo di esultare ai suoi gol perché Bercarich si girava, si avvicinava agli spalti e passava immediatamente all’incasso. Cinquemila lire, le mani che le arrotolano e via dentro i calzettoni e la sera di nuovo sigarette, alcool e carte. Un rituale, fumo, bevute, puntate, calcio, premi e ripartire dall’inizio, allenamento poco e svogliato tanto da far arrabbiare il suo tecnico, Federico Allasio. A Cagliari giocherà 63 volte, segnando 42 gol, per poi salutare dopo contrasti proprio con Allasio che non sopportava quella vita sregolata nonostante le prestazioni in campo non sembravano risentirne. A dire il vero, o almeno così si racconta, più degli allenamenti a mezzo servizio erano proprio quei premi per i gol a non andare giù all’allenatore.
Se dici Cagliari dici Gigi Riva, ma Bercarich può essere considerato l’antesignano di Rombo di Tuono e anzi, ha addirittura un record superiore al mito dei miti nonostante tutto. La media reti più alta nella storia rossoblù appartiene a lui, è anche il settimo marcatore nello stadio Amsicora con 20 gol e poi dopo Reggio in Sardegna chiude la carriera e si stabilisce. Non a Cagliari, ma poco più lontano, a Carbonia dove già aveva regalato i suoi gol tra il 1956 e il 1958, 25 per la precisione. Proprio a Carbonia torna nel 1960, una sola rete prima delle scarpette appese al chiodo che però non vogliono dire rinunciare a tutto il resto, quel resto che sono sempre le solite sigarette, le carte e l’alcool.
Non ha mai avuto mezze misure Bercarich, idolo dei tifosi della Reggina che aveva perfino provato a tradire una volta, quando nell’estate del ’48 firmò per il Catania salvo poi firmare anche il rinnovo proprio con la Reggina, così arrivò la squalifica e soprattutto il derby del ’49, la rissa con Tesi e pugni che volarono in mezzo al campo.
Dopo l’ultimo anno a Carbonia resta a vivere in Sardegna, vivere, insomma, trascinarsi perché alla fine i vizi si pagano e portafogli e salute chiedono il conto. Così il presidente del Cagliari Moi, anni ’80, lo assume come custode del Sant’Elia, uno stadio che non lo ha visto giocare ma che può significare rinascita, invece nemmeno una raccolta di soldi dei Cagliari Club per aiutarlo evita il declino. Il destino è segnato, a Roma il primo settembre del 1986 si spegnerà in silenzio, anche se di lui non si dimenticano né Reggio Calabria né Cagliari.
La Stella del Sud rivive con il Centenario del Cagliari, impossibile dimenticare i suoi record, i suoi gol, il suo essere elemento fondamentale di quella rinascita che porterà quasi due decenni dopo alla scudetto. Il 3 settembre del 1986, mercoledì, sull’Unione Sarda appare il coccodrillo a firma Nando Mura, parole che racchiudono in due colonne la storia di un giocatore che del Cagliari, la storia, l’ha fatta a caratteri cubitali.
È morto Bercarich, uno dei grandi del calcio cagliaritano
È morto a Roma, nel letto di una clinica. Ma fino a poco più di un anno fa Erminio Bercarich, centravanti del Cagliari negli anni cinquanta, aveva rischiato di spegnersi inesorabilmente nella carcassa di un’auto a Porta Pia dove viveva dimenticato da tutti. Il suo dramma fu scoperto per caso da un giornalista romano. È rimbalzato subito in Sardegna dove non si era ancora spenta l’eco delle grandi imprese di questo giocatore, tutto genio e sregolatezza. Pochi mesi dopo Erminio Bercarich, ripulito e sfamato, visse forse la più grande giornata dentro un stadio di calcio. Il 3 febbraio dello scorso anno entrò nel terreno del Sant’Elia dal tunnel degli spogliatoi, la gente lo riconobbe e gli battè le mani, Poi raggiunse la tribuna d’onore, a fianco di Fausto Moi, il presidente rossoblù che aveva abbracciato la sua causa. Assieme assistettero alla vittoria del Cagliari sulla Triestina, una delle poche di una gestione tutto sommato abbastanza infelice. “Ho portato fortuna a questa squadra”, disse allora, tuffandosi poi in un passato ormai remoto.
A Cagliari era giunto nel 1950, a 27 anni: arrivava da lontano, dal Venezia. E, grazie a lui, la squadra rossoblù seppe vincere e, allo stesso tempo, dare spettacolo. Chi lo ricorda, ha ancora in mente i suoi guizzi di classe sopraffina, le sue invenzioni, le sue pazzie. Non gli piacevano i gol da dimenticare, adorava il numero, la rete dal vago sapore beffardo. Ma è stata poi la vita a beffarsi di lui. Dopo il Cagliari, il Legnano e quindi il ritorno in Sardegna per indossare la maglia della Carbosarda. La passione, ma anche la necessità, lo costrinsero a scendere in campo per l’ultima volta a 38 anni, nel 1960, per contribuire a salvare le sorti del Carbonia di Perati.
Infine il buio. Per quasi venticinque anni aveva vissuto di espedienti, sbarcando il lunario. Aveva fatto parte anche della compagnia di avanspettacolo di Walter Chiari, con il quale aveva girato l’Italia. Quando una vecchiaia, precoce e annunciata, si impadronì di lui, era solo. O, perlomeno, credeva di esserlo. Aveva scordato che in Sardegna aveva ancora tanti amici. E tutti, ma proprio tutti, gli sono andati incontro quando è esploso il suo dramma.
Gli ex compagni di un tempo, del Cagliari e del Carbonia, gli hanno teso una mano. I tifosi di allora si sono tassati perché quel ragazzone che aveva riempito con i suoi gol molte domeniche di sport non meritava quella brutta fine. A 64 anni Erminio Bercarich è morto forse con il sorriso sulle labbra perché un attimo prima di chiudere gli occhi per sempre ha capito che gli atti di stima e di solidarietà che ha ricevuto in questi pochi mesi hanno avuto la forza di cancellare quei lunghi anni trascorsi aspettando la morte in un cimitero d’auto.
Matteo Zizola (si ringrazia Nando Mura per la collaborazione)