Un’edizione del Roland Garros da ricordare per il tennis italiano che ha visto almeno un rappresentante azzurro in semifinale nei vari tornei. Da Sinner alla Paolini, passando per il doppio di Bolelli-Vavassori, arrivando poi a Lorenzo Carboni, promessa algherese della racchetta. Abbiamo fatto una chiacchierata con il classe 2006, attualmente 705° nella classifica ATP e primo under 19 nel ranking.
L’obiettivo ormai è noto: diventare il primo sardo a entrare nella Top 100. Come vivi questa responsabilità?
Sicuramente c’è ancora tanto lavoro da fare e tanti sacrifici. Stiamo cercando, io in primis ma anche la mia famiglia, di fare il 100% anche a livello economico. Devo dei frutti anche a loro che fanno questi sacrifici. Sicuramente c’è tanta pressione, ma bisogna anche saperla gestire perché non è facile, con tanto impegno da mettere. Come la gestisco la pressione? Non ho paura delle responsabilità. Ovviamente, col tempo e con le partite più cresci più prendi consapevolezza dei tuoi mezzi. La pressione passa in secondo piano prima di ogni incontro.
Il tuo percorso: da cinque anni circa ti alleni a Bordighera al Piatti tennis Center. In che cosa ti senti cresciuto, sia a livello tennistico ma anche soprattutto a livello mentale?
Sono andato a Bordighera molto piccolo, avevo 13 anni, ero un bambino. C’è stato un percorso molto costruttivo lì all’Accademia, sia nel mio tennis ma soprattutto a livello personale. Ho trovato delle persone che mi hanno saputo insegnare anche a essere una persona migliore fuori dal campo. Un aspetto fondamentale che ho appreso è stata la capacità di gestirmi autonomamente. Anche se i miei genitori e i miei nonni sono sempre stati al mio fianco, ma ho imparato a essere responsabile.
Nel tuo primo anno da professionista hai già fatto vedere cose molto molto buone. Dal primo torneo ITF fra i grandi a marzo in Tunisia a 17 anni dove sei arrivato in semifinale, fino ad arrivare al grande percorso al Roland Garros: come hai vissuto l’ambiente di questa grande realtà?
Giocare uno slam è sempre un’esperienza unica, diversa da tutte le altre competizioni. L’ambiente è davvero differente: hai l’opportunità di vedere i veri campioni, osservare come si comportano e cosa fanno durante la giornata. Solo guardandoli si può imparare moltissimo. Quando sono sceso in campo per la mia prima partita in uno slam, mi sono sentito come se fossi su un altro pianeta. La pressione è palpabile e gestirla è una sfida, soprattutto la prima volta che ci si trova in un contesto simile. Ma è un’esperienza che ti insegna a crescere e a migliorare. La partita contro Sakamoto, nei quarti di finale, è stata particolarmente emozionante. Giocare contro il numero uno del mondo junior non è semplice, soprattutto perché è molto forte fisicamente. È stata una partita davvero dura, ma sono molto contento della mia prestazione. Alla fine, ho vinto e sono andato in semifinale, il che è stato estremamente emozionante.
Quando hai messo a segno quell’ultimo punto contro Sakamoto cos’hai pensato?
In quel momento lì ero molto molto teso: non ci ho neanche pensato, le gambe mi hanno ceduto e sono caduto a terra emozionato.
In semifinale sei stato eliminato da Berkieta, cosa è mancato secondo te in quel match?
Secondo me è mancata solo un briciolo di fortuna. Tutti i match point che ho avuto sono stati annullati dal mio avversario, che è riuscito a prenderli con grande abilità. Ho fatto tutto il possibile e penso di aver giocato una partita ottima. Anche lui ha disputato una grande partita, quindi i meriti vanno a lui. Si è meritato la vittoria perché ha avuto il coraggio di affrontare e annullare i match point con determinazione. Devo solo complimentarmi con lui e continuare a lavorare sulla mia strada. Arrivare in finale sarebbe stato fantastico, e vincere sarebbe stata la ciliegina sulla torta, ma sono comunque contento del risultato ottenuto.
Come stai fisicamente e mentalmente dopo questa esperienza e cosa ti porti a casa?
Giocare molte partite in uno slam ti rafforza e ti dà molto coraggio. Anche se si tratta di uno slam junior, è un’esperienza straordinaria che mi resterà sempre impressa. L’ambiente che si respira lì è unico. Vedere tutti quei giocatori, osservare cosa fanno in palestra prima e dopo le partite, e notare come si comportano sul campo e con i loro allenatori, ti permette di percepire quanto sia diverso questo mondo. Queste esperienze, vissute dal vivo ti insegnano molto.
Se dovessi fare invece un bilancio di quest’anno e mezzo sarebbe secondo te positivo o negativo?
Positivo, indipendentemente dai risultati, perché dalle sconfitte e dalle vittorie si impara sempre qualcosa. Se perdi, impari cosa puoi migliorare, e se vinci, hai la conferma che ciò che hai appreso è stato applicato correttamente. In questo senso, non si perde mai davvero: ogni esperienza è una lezione. Ogni partita ti permette di capire meglio cosa devi migliorare. Sapere di avere degli aspetti su cui lavorare significa che hai ancora margini di crescita e che puoi diventare sempre più forte. Migliorando ciò che non è ancora al 100%, puoi superare i tuoi limiti e raggiungere nuovi livelli di competenza e abilità.
A livello tennistico ti senti cresciuto?
Sicuramente ho fatto grandi miglioramenti, come dimostrano i buoni risultati ottenuti. Questo significa che stiamo facendo un ottimo lavoro insieme a tutto lo staff del Piatti Tennis Center. Abbiamo migliorato molto il servizio, che era un mio punto debole: ero bravo a vincere il servizio dell’avversario, ma avevo difficoltà a confermare il break. Ora, invece, riesco a gestirlo meglio. Stiamo lavorando intensamente anche sul dritto, che è ancora da perfezionare, ma stiamo facendo progressi. Inoltre, stiamo migliorando anche fisicamente: prima di ogni allenamento faccio esercizi in palestra, quindi abbiamo tutto sotto controllo. Questa attenzione ai dettagli mi fa capire che lo staff è davvero interessato a me e al mio sviluppo, e questo è davvero positivo.
Qual è il tuo rapport con il tuo coach Gianluigi Quinzi?
Con Gian ho un rapporto davvero speciale. Stando molto tempo con lui, ho capito che può insegnarmi tantissimo grazie alla sua esperienza tennistica. Lui è stato un giocatore eccezionale fin da giovane, proprio come me, e quindi può condividere con me ciò che provava in campo, le sensazioni e i consigli che riceveva dalle persone che lo circondavano. Mi sento davvero fortunato ad averlo come coach, non solo perché condivide con me le sue esperienze giovanili, ma anche perché è stato il numero 140 del mondo. Sa esattamente cosa serve per avere successo nel tennis, sia dal punto di vista tattico che fisico. Man mano che migliori, ti senti più sicuro e più incline a ripetere quel gesto. Ad esempio, sto lavorando molto sulla palla, cercando di spingere forte e andare a prendermi il punto a rete. Quando ero più giovane, avevo paura di tirare con forza e di andare a rete per chiudere il punto. Ora, invece, sto lavorando intensamente su questo aspetto e ho notato un grande miglioramento. Sentirsi sicuri in campo è fondamentale, e questo si ottiene solo con tanto lavoro e pratica.
Il tuo coach ha più volte espresso belle parole su di te, sottolineando che sei tra i ragazzi più forti al mondo fra i nati nel 2006 e che puoi arrivare molto in alto: secondo te esagera?
Se lo dice lui sicuramente ha ragione (ride, ndr). Come ti ho detto prima, lui è stato uno dei più forti del mondo alla mia età, quindi se mi dà un consiglio, so che è convinto al 100% di quello che dice. Io ci credo pienamente, ma non mi lascio trasportare troppo dai suoi complimenti. Il fatto che lui creda in me mi rende felice, ma mi aiuta anche a rimanere con i piedi per terra. Non è il tipo di persona che vuole montarmi la testa; al contrario, mi dice sempre di rimanere umile e di continuare a lavorare sodo. È convinto che i risultati e i successi arriveranno solo attraverso il duro lavoro, e io sono d’accordo con lui. Seguo i suoi consigli, consapevole che solo con impegno e dedizione potrò raggiungere i miei obiettivi. Il risultato è importante, ma non è l’unica cosa che conta. È naturale voler ottenere un ottimo risultato e vincere la partita, ma questo desiderio deve essere equilibrato. Gian mi insegna che, fino a un certo punto, non bisogna focalizzarsi solo sulla vittoria immediata. Per esempio, mi dice che se ho un dritto corto durante la partita e ho paura di sbagliarlo, non devo limitarmi a metterlo in campo senza rischiare. Mi incoraggia a tirare quel dritto con forza, anche se rischio di sbagliare e di perdere il punto. L’obiettivo non è vincere quella singola partita a tutti i costi, ma fare le cose giuste che mi permetteranno di vincere partite più importanti in futuro. Il suo insegnamento è di non concentrarsi esclusivamente sul risultato immediato, ma di lavorare sulle abilità e sulle strategie che porteranno frutti nel lungo termine. Questo approccio mi aiuta a migliorare e a prepararmi per sfide più grandi, dove la qualità del mio gioco sarà decisiva.
Quali altri importanti impegni ti aspettano quest’anno? Hai degli obiettivi a breve breve termine?
Il nostro obiettivo principale è lavorare costantemente per migliorare senza fissare obiettivi specifici di classifica. Crediamo che se lavoriamo bene sulle cose che dobbiamo migliorare, i risultati arriveranno naturalmente. Evitiamo di metterci pressioni e pensieri inutili, come pensare di diventare il numero 300 del mondo entro tre settimane vincendo tre tornei. Penso non sia produttivo ragionare così per me. Per quanto riguarda il lavoro attuale, al momento sono a casa e resterò qui fino a martedì. Dopodiché, andrò ad allenarmi a Bordighera con il mio maestro per due o tre giorni. Successivamente, sarò in Slovenia per circa tre settimane per continuare l’allenamento. Sono iscritto ad alcuni tornei in Italia, come a Perugia, ma tutto è ancora incerto e decideremo dopo queste tre settimane in Slovenia come procedere. Questo è il mio programma attuale, e spero di poter ottenere buoni risultati lavorando sodo durante questi periodi di allenamento intensivo.
Se dovessi indicarmi un punto debole nel tuo modo di giocare quale sarebbe?
L’aspetto mentale è cruciale nel tennis, e può essere sia una tua grande forza che un punto debole a volte. È normale avere dei momenti in cui ti senti giù dopo aver perso un punto o preso dei punti. Il tuo carattere è quello che ti spinge a vincere la maggior parte delle partite, ma ci sono situazioni in cui questo stesso carattere può diventare un ostacolo. Migliorare l’aspetto mentale significa lavorare su come reagisci ai momenti difficili durante il gioco. È importante imparare a concentrarsi sul presente e a non farsi distrarre da quello che è successo nel punto precedente.
In chiusura, un tuo pensiero sul momento del tennis italiano. Sai darti una una spiegazione di questa ascesa o pensi che sia del tutto casuale?
È davvero un periodo pazzesco per l’Italia nel tennis, con così tanti giovani giocatori emergenti nella classifica mondiale, specialmente tra i primi 200 e oltre. È incredibile vedere quanti ragazzi hanno vogliono emergere. Si impegnano ogni giorno: si svegliano presto, giocano, mangiano, si riposano e poi tornano a giocare. Questo impegno costante e la passione dimostrano quanto siamo dedicati al nostro obiettivo. Bello sapere che ci sono tanti giovani come me, nati tra il 2002 e il 2006, che condividono questa passione e questo sogno nel tennis.
Giuseppe Meloni