Peggior attacco del Girone A. Zero vittorie, con già due gare rinviate (senza alcuna “colpa”, per fortuna). Non si può certo dire che l’inizio di stagione dell’Olbia di Max Canzi sia di quelli da ricordare: 4 soli punti dopo 7 gare, frutto di altrettanti pareggi e tre sconfitte, arrivate però nei primi tre turni. Il trend, insomma, sembra essere in fase di inversione e il grande ritorno del figliol prodigo Daniele Ragatzu è la prova della volontà da parte del club gallurese di dare una sterzata netta alla prima parte di annata.
Le cifre: bene la difesa, ma in avanti…
I numeri, fin qui, sono stati abbastanza impietosi con Emerson e compagni: peggior attacco del girone, con 4 soli gol realizzati e una media di 0,57 a partita. Male, molto male per una squadra che può contare su un mix di elementi come Cocco, fin qui a segno solo contro il quasi derelitto Livorno – gran lezione di dignità sportiva per i labronici, alle prese con l’ennesima crisi societaria degli ultimi anni – o come i giovani Udoh e Gagliano, entrambi ancora alla ricerca della prima gioia stagionale. Se si pensa che 2 dei 4 gol portano la firma di Pennington, mezzala di corsa, sacrificio e ottimi inserimenti, si ha la misura della situazione. Va un po’ meglio in difesa: 9 gol subiti, 11° posto nella relativa classifica con 1,29 a gara. Cifre certamente inficiate dal clamoroso rovescio esterno di Alessandria (4-1), dove i bianchi sono affondati sotto i colpi di Corazza e Arrighini, mettendoci pure del proprio con la grottesca autorete prodotta dal duo Tornaghi-Biancu. Per il resto, l’Olbia di Canzi sembra essere l’opposto del Cagliari di Di Francesco, quantomeno prima del 2-0 rifilato da Joao Pedro e soci alla Sampdoria: uno (il Cagliari) segna tanto, ma subisce altrettanto; l’altra (l’Olbia) subisce poco, ma non riesce a segnare. E, senza gol, è difficile che arrivino le vittorie.
Grazie mille, Cagliari
È evidente come quella che al momento è la seconda squadra della Sardegna per militanza sia ancora un cantiere aperto. L’oculato mercato estivo ha portato a Canzi calciatori ampiamente conosciuti come gli ex Cagliari Primavera Gagliano, Marigosu e Ladinetti, passato dal possibile inserimento nella trattativa tra rossoblù e Inter per Nainggolan al prestito secco alla squadra satellite. A loro si sono aggiunti l’esperto portiere Tornaghi, con anni di MLS nel curriculum, le scommesse Udoh, Arboleda e Cadili (anche lui ben conosciuto da Canzi, visto che era il capitano della Primavera rossoblù nel 2018-19) e, soprattutto, lo svincolato Emerson a far da mentore a una squadra infarcita di giovani. La scelta di portare in Gallura il tecnico milanese, poi, era la logica conseguenza nell’ottica del progetto Olbia: dopo la fine del ciclo sulla panchina del Cagliari Primavera, lasciato prima per fare da vice a Walter Zenga con la promessa di tornare per i playoff scudetto, poi definitivamente con l’emergenza Covid, per Canzi era arrivato il momento di rivestire, di nuovo, il ruolo di allenatore in prima tra i professionisti. E dove farlo se non a Olbia, da anni laboratorio privilegiato (per non dire unico…) dove testare i talenti di casa? Salutati i vari Ogunseye e Aresti, due veri top player per la Serie C, la dirigenza gallurese ha ben gradito “la soluzione interna”, con l’arrivo tecnico e del trio di elementi che, insieme a Carboni (sondato, corteggiato a lungo ma poi rimasto in Prima squadra ad affinare il mestiere lavorando insieme a un certo Diego Godin) e Ciocci, era stata la spina dorsale di quel gran bel Cagliari Primavera che, allo stop del campionato, era stabilmente secondo in classifica dietro soltanto al totem Atalanta. Le conferme di Altare – tornato in orbita Cagliari? – e Giandonato, poi, hanno fatto il resto.
Attacco, mancano gol e cattiveria
Quel che ha detto il campo, in queste prime 7 partite, è che quest’Olbia è ancora in rodaggio. La squadra mostra di avere un’identità precisa: non vivacchia mai sul risultato, cercando invece di proporre e costruire gioco. Il gol fa fatica ad arrivare, questo è evidente, ma la volontà di provarci si vede tutta. Però la classifica langue, così come la casella delle reti segnate e non si può far finta di nulla. Il 34enne Cocco ha firmato contro il Livorno il suo terzo gol in maglia bianca, ma continua a pagare il brutto infortunio al ginocchio che ha pesato e tanto sulle sue tre ultime stagioni. Non può e non dev’essere sempre lui il salvatore della patria, ma tutti (Canzi in primis) si aspettano di più da Gagliano e Udoh. Il centravanti algherese deve ancora adattarsi alla categoria, dopo aver ben impressionato con il Cagliari, ritrovando quella cattiveria agonistica e il fiuto del gol che negli anni rossoblù ha sempre messo in mostra. Discorso non molto diverso per l’italo-nigeriano cresciuto nel settore giovanile della Juventus, 5 gol lo scorso anno con la Pianese e passato anche dalla Serie D una stagione prima (26 presenze e 8 gol a Viareggio), che in carriera finora non ha dimostrato di essere certo un cecchino ma una punta “operaia”. Tanti punti interrogativi, insomma, che il club di via Georgia spera di spazzar via con il ritorno di Ragatzu, arrivato dopo un costante lavoro sotto traccia durato settimane, nonostante le canoniche smentite di rito. Fantasia, assist e qualche gol in più sono certamente quello che manca a quest’Olbia, ma creare troppe aspettative immediate sul 29enne di Quartu Sant’Elena non è certo una mossa intelligente. Ergo, lungi da noi farlo.
Più solidità grazie al 3-5-2
Un elemento positivo, invece, è certamente la solidità difensiva: Tornaghi, dopo le papere nelle prime due gare, si è subito fatto notare in positivo, garantendo un rendimento più che soddisfacente. Il portiere scuola Inter è stato ai limiti dell’eroismo nella trasferta di Piacenza – quasi un “derby” per l’agenzia Quadratum, molto vicina sia al club gallurese, dato che cura gli interessi di diversi elementi in casa Olbia (Biancu, Van der Want, Arboleda, Demarcus e l’enfant du pays La Rosa), che ai rossi di mister Manzo, anche lui nella “scuderia” della società di Piazza Diaz a Milano, come capitan Corbari, Bruzzone e D’Iglio –, arrendendosi soltanto all’89’ al bolide imparabile di Corradi. Per il resto tante parate e la sensazione di sicurezza trasmessa ai compagni. Tra i difensori, l’ottimo Altare conferma ogni partita di più di poter ambire ad altre categorie, mentre Emerson è l’irrinunciabile leader di esperienza, senza considerare il suo magico piede sinistro da cui, finora, sono partiti 2 assist: uno per il sorprendente Pennington (Alessandria) e l’altro per Cocco (Livorno). Il 3-5-2 è forse il modulo più adatto per poter permettere al 40enne brasiliano di soffrire meno la velocità degli avanti avversari e Canzi, dopo averlo sperimentato nei mesi da secondo di Zenga, lo ha riproposto anche a Olbia, derogando dal 4-3-1-2 con cui vestiva il suo Cagliari Primavera. Serve però aumentare la dose di cattiveria, anche a livello disciplinare: soli 11 cartellini gialli per i bianchi, ancora una volta fanalino di coda nella speciale classifica che vede in testa con 29 ammoniti la capolista Carrarese, che guida il girone A con 16 punti in 9 partite.
Caro Max, ora bisogna accelerare
In mezzo a tanta solidità, tuttavia, i bianchi devono trovare la giusta regia: tanti, forse troppi i “cervelli” in rosa, tra giovani (Ladinetti, Biancu, Marigosu, spesso schierato fuori ruolo) e meno giovani (Giandonato, Emerson). I piedi buoni sono sempre graditi, ma saper miscelare talenti e rispettive “responsabilità creative” sarà un compito non certo semplice per Canzi. Che, a questo giro, si gioca tanto: nessuno sa come sarebbe finita, senza Covid, la girandola della fase finale del Primavera 1, ma il credito del milanese è molto alto. La rosa ai suoi ordini, con il Ragatzu-bis, è di prim’ordine in tutti i reparti. La prima vittoria è l’obiettivo immediato, il risveglio dell’attacco quello nel medio periodo, i playoff quello a lungo termine. Per Olbia è e dev’essere l’anno della svolta, con il Covid che sta delineando scenari sportivi difficilmente prevedibili, con spazi e occasioni anche per club sulla carta meno blasonati. A Canzi e ai suoi ragazzi l’onore e l’onere di tradurre in campo voglia di fare bene, grinta e determinazione: perché soltanto così arrivano i risultati. E il buon Max lo sa bene.
Francesco Aresu