Ogni emigrato resta con il desiderio, prima o poi, di tornare a casa. Spesso e volentieri anche a costo di sacrifici, compensando rinunce economiche con la vicinanza degli affetti e il profumo dell’aria conosciuta.
Sentimenti in gioco
Non si gioca con i sentimenti soprattutto quando si parla di casa propria. Eppure, in questo principio di estate in salsa mercato, sardi reali e sardi adottati sono protagonisti di dinamiche alquanto curiose. Il Cagliari identitario che non sembra voler premiare l’appartenenza, ma piuttosto pare usarla per vincere i bracci di ferro grazie all’attaccamento alla maglia. Sfruttando, appunto, quel desiderio quasi inconsolabile di restare con i piedi ben piantati nell’isola, quella voglia di fare sacrifici pur di restare in rossoblù. Diventa così legittimo che i diretti interessati si chiedano quanto pesano i piatti della bilancia, quello dell’aspetto economico e quello dell’aspetto emotivo.
Quanti esempi
Tira e molla, tira e molla. A volte, però, la corda si può spezzare. Un rischio magari anche calcolato, ma che resta un rischio. E se si alza il tiro della battaglia, il pericolo della caporetto è dietro l’angolo. La querelle Godín, che è arrivato in Sardegna anche, se non soprattutto, per il passato del suocero Pepe Herrera, è stata quella più nota. Sentimenti, come quelli che hanno visto protagonista Luca Ceppitelli, ormai a Cagliari da più di un lustro e il cui rinnovo è arrivato alle firme solo dopo lunghi tentennamenti alla voce cifre. E ancora il caso di Alessandro Deiola, con il ballo delle offerte dichiarate da Giulini e smentite dalla Grecia, in mezzo un rinnovo che diventa più probabile nonostante il Cagliari difficilmente accontenterà le richiesta del sangavinese. Senza dimenticare, infine, i giovani della Primavera che passano a Olbia per non tornare, quasi mai, a disputare partite di Serie A con la maglia rossoblù.
Radja Nainggolan è l’ultimo di una lunga serie. La nuova telenovela con protagonista il Ninja pone più di qualche ragionevole dubbio sul concetto di attaccamento e appartenenza. Che non può sempre essere solo univoco, ma deve essere anche espresso da parte della società: quando le parti devono trovare il giusto accordo non si può solo ridurre il tutto solo e soltanto a degli asettici aspetti economici. È comprensibile e perfino condivisibile un legittimo taglio del monte ingaggi, ma in questo non dovrebbe dimenticarsi del valore di chi il taglio lo dovrebbe subire. Specie perché ogni promessa, come si suol dire, è debito e quanto accaduto l’anno passato difficilmente si ripeterà. Aspettare settembre o, ancora peggio, gennaio, non è una soluzione praticabile. Ora o mai più, insomma.
Matteo Zizola