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L’OPINIONE | Cagliari: addio a Carli, ultimo dei DS romantici

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“Sono il Signor Wolf, risolvo problemi”. Lo sguardo da duro hollywoodiano con l’accento toscano che quando c’è da mettere il carico da undici lui non perde tempo, si siede al tavolo con il sigaro in bocca e sbatte l’asso con forza. Marcello Carli è stato l’uomo da spendere davanti alle difficoltà, il muro da erigere di fronte al baratro, il padre di famiglia burbero che ti tira lo scappellotto perché quando ci vuole ci vuole. Un direttore sportivo vecchio stampo più di carattere che di scrivania fatto di sostanza più che di apparenza ché si sa l’abito non fa il monaco e lui di zen ha ben poco.

“Chiariamoci campione, non sono qui per dirti per favore, sono qui per dirti cosa fare”. Carli Keitel ha rappresentato uno degli ultimi direttori sportivi vecchio stampo, categoria kantiana del pensare in atto, uomo al comando al quale affidarsi nella buona e nella cattiva sorte. Il calcio cambia e si modella sul futuro, il presidente mecenate ha lasciato spazio all’investitore, il fair play finanziario il terreno in cui muoversi, società strutturate sempre gerarchiche ma più orizzontali che verticali. Un uomo non basta più in tempi troppo diversi rispetto a quelli di Allodi, Galliani, perfino di Marcello Carli. I giocatori sono cambiati e i rapporti di forza nemmeno a parlarne con il presente che segna il passo e gli uomini dal profumo di passato sì romantici, ma che durano il tempo di qualche sfuriata. Chi è fuori dalle stanze fatica a capire perché ci vuole tempo a cambiare l’abitudine all’idea del direttore sportivo deus ex machina del piano sportivo di una società, il costruttore di rose che è fuori tempo e ormai anche fuori luogo. Ci sono le coppie, Marotta e Paratici, Galliani e Braida, Marotta e Ausilio, Branca e Oriali, c’è stata la triade tristemente famosa, ci sono i presidenti con il direttore sportivo che più che un manager è una spalla destra – vero Lotito e Tare? – perché in fondo il proprietario ci mette i soldi e alla fine un po’ di bocca la vuole mettere.

“Sono qui per dare una mano e se il mio aiuto non è apprezzato tanti auguri signori miei”. Chissà se è andata così con Carli a sbattere la porta o Giulini a dire a Mister Wolf che i suoi servigi non erano più necessari, d’altronde nella macchina ci sono ancora macchie di sangue da pulire e il buon Carli Wolf senza un Jules e un Vincent non ce la può fare. Ora Wolf risponde al nome di Pierluigi Carta e Jules e Vincent sono Andrea Cossu e Roberto Colombo, a ognuno il suo compito per rimettere a posto la macchina Cagliari e farla ripartire verso nuovi orizzonti. La novità del manager quasi all’inglese, Sir Eusebio Di Francesco, ma in Italia non è come nella terra di Albione, un ruolo da Alex Ferguson ha lo stesso valore della parola progetto e la pazienza ha un limite, si può spendere su un giornale ma nei fatti appare solo una chimera. Chi fa da sé fa per tre dice il proverbio anche se nel calcio moderno diventa anacronistico pensare di poter risolvere tutto da soli e se poi il lavoro finale non è a regola d’arte qualcuno ti presenta il conto. Ecco perché se si vuole fare per tre si deve essere in tre, non c’è scampo, a ognuno il suo e lavoro d’equipe, lontani dal paradigma del calcio di un tempo e che ora è fatto di ingranaggi di un meccanismo in cui tutti sono importanti ma nessuno indispensabile. Tranne chi ci mette i propri soldi, ça va sans dire.

Matteo Zizola

 
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