Si è chiuso il calciomercato. Finalmente, aggiungiamo. Perché quella che si è appena conclusa è stata la sessione estiva più complicata da gestire, un po’ per tutti. A partire dai tifosi, bombardati di nomi più o meno fattibili, spesso messi in giro dai vari addetti ai lavori – dirigenti, procuratori e intermediari, persino dai calciatori stessi – per cercare di portare l’acqua al proprio mulino. Trattative impostate e poi in un minuto demolite, altre improvvisate all’ultimo ma con maggiore fortuna. Tutto questo è stato (anche) il nostro quotidiano dal 1° luglio al 31 agosto: due mesi intensi, difficili, pieni di novità. Con questo longform proviamo ad analizzare cos’è successo in casa Cagliari negli ultimi 60 giorni e poco più.
1. Tra frizioni e stracci volanti
Doveva essere un mercato creativo, a sentire Giulini e Capozucca a inizio estate: ebbene, lo è stato in pieno. Sia in entrata che in uscita, beninteso. Alzi la mano chi, prima delle ore 12 di martedì 31 agosto avrebbe mai accostato Keita Baldé al Cagliari. Pochi, pochissimi, forse nessuno. Nemmeno il giocatore e il suo entourage, pronti a chiudere con la Sampdoria, poi costretta a ripiegare su Caputo (un bel ripiegare, eh). Eppure, il colpo di coda tanto atteso è infine arrivato. Lungi da chi scrive volersi addentrare in questioni tattiche, per questo ci sono gli altri approfondimenti confezionati dalla nostra redazione (QUI e QUI). Però, a mercato chiuso, c’è da analizzare la gestione del mercato da parte del club di via Mameli. Perché non tutti i nodi di cui si parlava ampiamente durante l’estate sono stati sciolti. A cominciare da Diego Godin, il cui ingaggio stando a quanto affermato da Capozucca nella ormai ben nota conferenza stampa del 26 maggio, sarebbe stato insostenibile per le casse societarie. Parole che hanno creato più di un sussulto nell’ambiente, a cominciare dal calciatore che dal ritiro della Celeste in vista della Copa America chiarì la sua posizione: “Ho un contratto, da Cagliari non vado via perché sto benissimo e i tifosi mi amano”. Com’è finita lo sappiamo tutti: il Faraone tornato subito centrale nel 3-5-2 di Semplici, per il contratto si troverà una quadra. Forse, aggiungiamo.
Dal punto di vista meramente aritmetico, il bilancio è positivo: circa 2 milioni di entrate, tra il prestito oneroso di Simeone (poco più di un milione) e la cessione a titolo definitivo di Tripaldelli alla Spal (300 mila euro), cui si aggiungono gli altri 2 arrivati dalla precedente vendita definitiva di Despodov al Ludogorets. Una partenza non proprio indolore, ma non dal punto di vista sportivo: la vertenza portata avanti e vinta dal calciatore bulgaro è solo una delle varie situazioni non del tutto idilliache tra il club e alcuni dei suoi calciatori e relativi entourage. Le parole di Nainggolan, amante deluso abbandonato sull’altare, dopo la promessa di matrimonio controfirmata più volte a mezzo stampa (“Nainggolan è una priorità”, concetto sentito ripetere più volte dalla dirigenza nei mesi scorsi) non sono state leggere: “Mi sento tradito”, ha detto ai microfoni dell’Unione Sarda il Ninja, volato ad Anversa per chiudere un cerchio calcistico iniziato più di tre lustri fa con il GBA, arcinemico del Royal Club.
La tifoseria cagliaritana si è spaccata in due, tra chi ha difeso la scelta del club e chi quella del calciatore, in infinite battaglie social che, come spesso succede, non hanno avuto vincitori né vinti, ma solo tante polemiche. Fino al punto più alto a livello di dissapori, raggiunto con l’ammutinamento di Nández alla vigilia di Mallorca-Cagliari, con l’uruguaiano che prima ha goduto di alcuni giorni di permesso extra (concordato, pare), poi si è rifiutato di partire alla volta delle Baleari in segno di protesta per la decisione della società di non cederlo all’Inter, dopo la “parola d’onore” data da Giulini all’ex Boca nei momenti più caldi della scorsa stagione, con i rossoblù con più di un piede nella fossa chiamata Serie B. In seguito le cose si sono appianate (con scuse pubbliche del calciatore ai tifosi, più quelle private allo stesso Giulini rivelate da Semplici in conferenza stampa), ma la sensazione è che la telenovela sia ben lontana da una conclusione. Ma sull’argomento torneremo più avanti.
2. Da cessioni a permanenze “dolorose”
“Servirà una cessione dolorosa”, Capozucca dixit. Soldi importanti per costruire il Cagliari 21-22 con un sacrificio, come fatto nel 2019 con Barella all’Inter. In pole Cragno e Nandez, in seconda fila Joao Pedro, Simeone e Walukiewicz. Settimane ad attendere offerte interessanti, giustificate in parte dalla clamorosa rimonta salvezza che aveva rivalutato tanti rossoblù, ma davanti alle porte di via Mameli file di acquirenti non se ne sono viste. Tanti abboccamenti, sia dall’estero che dall’Italia, ma a livello concreto niente di niente, tanto che Giulini dal ritiro di Pejo ha affermato: “In caso di offerta congrua non esistono incedibili”. Tutti avvisati: calciatori, agenti e dirigenti delle altre squadre, nella speranza di stimolare l’interesse per i gioielli più luccicanti della collezione rossoblù. Si pensi a João Pedro, lusingato da un’offerta monstre dell’Atlanta United in MLS – circa 3 milioni netti, euro più euro meno – poi rifiutata, per amor di patria rossoblù (a proposito: a quando il rinnovo?). Settimane passate a raccontare di interessamenti e occhi puntati sui big, con calciatori in partenza (per esempio Farias: quante squadre, tra Serie A, B ed estero avrebbero voluto il Mago di Sorocaba nelle proprie file? Almeno una dozzina), ma il piatto delle cessioni era sempre vuoto, piangendo lacrime inattese. Alla fine, è noto com’è finito il mercato: dei papabili big in partenza è andato via soltanto Simeone (peraltro in prestito con diritto di riscatto, non a titolo definitivo), cui si sono aggiunti Vicario, Simone Pinna e Tripaldelli.
Che il Cholito fosse in una situazione “ballerina” lo si è intuito fin dal primo giorno di ritiro in Val di Pejo. Il sorriso forzato di chi sa di essere in bilico, una carica extra nell’esultanza dopo i gol in amichevoli che contano nulla o poco più e addirittura negli allenamenti sono stati indizi troppo evidenti per non essere colti. In più la sensazione di non essere più totalmente inserito negli equilibri dello spogliatoio, tanto da non essere scelto tra i calciatori “parlanti” in conferenza stampa. Altro indizio che non poteva non ricordare il Joao Pedro di due stagioni fa, in bilico e in silenzio fino al giorno del rinnovo, con tanto di maglia celebrativa esibita nella conferenza stampa dello Store del Largo Carlo Felice. D’altronde, si sa: il centravanti titolare di Semplici è Pavoletti, nonostante i problemi fisici del livornese dovuti al doppio infortunio al crociato dell’annata 2019-20. Per Simeone la stagione è iniziata con due scampoli di partita per la bellezza di 9 minuti in totale, esattamente come il numero di maglia indossato in rossoblù. Troppo pochi, evidentemente, per restare ancora: arrivata la chiamata di Eusebio Di Francesco da Verona, il sì è stato immediato. Tanti saluti ai discorsi con il Marsiglia, colpevole di aver nicchiato troppo. Un milione per il prestito oneroso: ecco l’unica, vera “cessione dolorosa” dell’estate del Cagliari.
Certo, ci sarebbero anche le altre tre cessioni, ma di fatto meno dolorose. Partiamo da Guglielmo Vicario, inizialmente certo di ereditare la maglia da titolare da un Cragno in partenza che, invece, si è trovato vittima innocente al centro di un vortice di sfiga. Per Alessio prima la mancata convocazione agli Europei, con la possibilità di diventare campione sfumata praticamente all’ultimo anche – se non soltanto – per giochi di “influenze” che hanno portato Mancini a convocare Meret. Poi la cessione sfumata, dopo i tanti discorsi intavolati dal fido Graziano Battistini specialmente in Ligue 1: per fare un esempio, il Lille cercava il sostituto di Maignan, passato al Milan ed era disposto a spendere. Ma non certo i 25 milioni chiesti dal Cagliari, da sempre bottega carissima in caso di cessione dei propri top player (chiedere all’Inter per Barella). Cragno è restato, per la gioia di Semplici, mentre Vicario ha prima sfiorato il Genoa – poi andato su Tore Sirigu, lui sì Campione d’Europa – per poi accasarsi all’Empoli, dove ha già fatto vedere di che pasta è fatto.
Simone Pinna è tornato a titolo definitivo a Olbia per giocare, finalmente, dopo due anni sull’ottovolante tra Cagliari (dove era stato elevato a esempio da seguire per i ragazzi del settore giovanile: “Dalla D alla A è possibile, guardate Simone”, il mantra ripetuto in un caldo pomeriggio tardoestivo, nel settembre 2019, all’allora Sardegna Arena) e i prestiti a Empoli e Ascoli, utili dal punto di vista della crescita ma con poche presenze a margine. Il buon Tripaldelli, infine, ha passato l’estate con la valigia in mano e il biglietto per Ferrara salvato nello smartphone, pronto a essere esibito in qualunque momento. Sempre di troppo il campano, prima per Di Francesco e poi per Semplici: logico e naturale l’epilogo, a titolo definitivo, con la maglia numero 3 della Spal. A loro quattro si aggiungono le partenze in prestito di Caligara e Biancu, tornati nella comfort zone di Ascoli e Olbia, gli ex Primavera Ciocci e Boccia (anche loro da Canzi), Contini (Legnago, Serie C), Gagliano (Avellino), Marigosu (Grosseto), più il più grande dei fratelli Tramoni, Matteo (Brescia) e il duo Cerri-Zito Luvumbo, passati all’ambizioso Como. Obiettivo per tutti crescere, fare esperienza e gol, così da tornare tra un anno alla base e cercare di mettere in difficoltà la dirigenza.
3. Un innesto (e più) per reparto
Parliamo ora degli acquisti: quattro di peso, in ordine cronologico di firma, Strootman, Dalbert, Caceres, Keita Baldé. A loro si aggiungono i comprimari Radunovic, sostituto di Vicario già visto all’opera a San Siro contro il Milan, più Altare (bene a Olbia, ma parliamo di Serie C), Bellanova (tutto da scoprire e valutare, reduce dalla retrocessione dai cadetti con il Pescara) e Grassi, vera e propria incognita dal punto di vista fisico, arrivato a Cagliari dopo una estate da fuori rosa in quel di Parma. Per quanto riguarda i titolari, in linea puramente teorica, comparando partenze e acquisti il bilancio è positivo. Ognuno dei nuovi ingressi porta in dote esperienza e conoscenza del campionato italiano, più doti specifiche: grinta (Caceres), intelligenza tattica (Strootman), sana follia tattica (Dalbert) e imprevedibilità (Keita). Gli altri acquisti vanno a tappare le falle in rosa, ma nessuno – Semplici in primis – vuole attribuire loro più responsabilità di quelle per cui sono stati ingaggiati.
Il senegalese Keita, vero colpo della sessione estiva rossoblù, è il classico giocatore in grado di spaccare le partite, sia partendo da titolare che a gara in corso. Una tipologia di calciatore che al Cagliari di stampo giuliniano mancava da tempo, da quando Diego Farias (bentornato in rossoblù) era il terrore delle aree avversarie in cadetteria, Anno Domini 2015-16. Caceres, invece, potrebbe tenere fede alla tradizione uruguaiana fatta di garra e huevos: dote, quest’ultima, già messa in mostra al momento della scelta del numero di maglia, il 4. Lasciato libero per un certo Radja Nainggolan, non certo il primo Cerutti Gino che passa per strada. Passando a Strootman, la prima domanda fatta all’olandese al momento di fare le visite per passare in rossoblù è stata: “Sei qui grazie a Nainggolan?”. Risposta secca: “Sarà un piacere tornare a giocare con lui”. Dichiarazioni invecchiate malissimo, a distanza di tre mesi. Nainggolan non farà parte del Cagliari e il buon Kevin la Lavatrice (N.B. nessuna parentela con il sassarese Pino) se ne sarà già dovuto fare una ragione. A lui dimostrare di essere la pedina giusta per il centrocampo rossoblù, l’uomo in grado di ricevere palloni complicati e restituirli giocabili, come sapeva fare un tempo. Chiusura con Henrique Dalbert, arrivato dall’Inter e voglioso di rimettersi in discussione con la maglia rossoblù. Fin qui la sua esperienza in Italia è stata più agra che dolce, chissà che in un ambiente con meno pressioni rispetto a Milano e Firenze riesca finalmente a trovare la giusta consacrazione.
4. Quell’incognita leonina
Si è detto, una campagna acquisti/cessioni da promuovere, almeno sulla carta. Sì, perché su di essa grava un’enorme incognita: Nahitan Nández. Sempre lui, si dirà. È l’ossessione di Centotrentuno, qualcun altro ha scritto. Niente di tutto ciò, potete stare tranquilli. Ma non si certamente può negare l’influenza del 25enne di Maldonado sui destini del mercato (e non solo) del Cagliari nelle ultime due stagioni e mezzo. Dalla causa per i diritti di immagine al tentativo di cessione a ogni finestra di mercato, mai però andati a buon fine. West Ham, Leeds, Siviglia, Inter, Roma, Napoli, Tottenham, Atalanta, Watford: tutte squadre che hanno chiesto informazioni o addirittura presentato offerte ufficiali in questi anni, ma mai trovando la piena e sincera accettazione da parte dei due fronti in ballo, calciatore e club. Ebbene, da quanto filtra dall’entourage di Nández, El León non ha preso bene la mancata cessione, sia prima dell’ammutinamento che dopo, quando sperava che nelle ultime due settimane si trovasse una soluzione che accontentasse lui e Giulini. Niente da fare, con l’infortunio di Rog (a proposito, ancora auguri di pronto recupero) a complicare il quadro: senza la nuova rottura del crociato del croato, ci sentiamo di affermare senza tema di essere smentiti che Nández oggi, 2 settembre 2021, non sarebbe più stato un calciatore del Cagliari. Tutti si augurano di vederlo in campo contro il Genoa, domenica 12 all’Unipol Domus, pronto a caricarsi sulle spalle compagni e tifosi e guidare i rossoblù di Semplici alla ricerca dei primi tre punti stagionali. Ma quella benedetta promessa, la “parola d’onore” citata da Nández in quel famoso post di scuse ai tifosi rossoblù su Instagram, ancora riecheggia nella testa del León di Maldonado al punto da rendere possibile un’altra crepa – grande, piccola o inesistente lo dirà solo il tempo – nel già sfilacciato rapporto con la proprietà. Tanto da incidere su altre operazioni di mercato, come il mancato arrivo di Dragusin e la cessione di Oliva, che avrebbe accettato volentieri il Talleres (e forse anche i Pumas) qualora si fosse sbloccata la vicenda Nández. Si vedrà al ritorno dagli impegni con la Celeste quale sarà il comportamento dell’ex Boca che, dopo il reintegro in squadra per l’esordio in campionato con lo Spezia, ha subito dimostrato di essere sempre più imprescindibile per questo Cagliari.
5. Di vecchie volpi, haters e record storici
Infine, chiudiamo questo longform con un paragrafo più autoreferenziale del solito, ma a nostro parere necessario. Per noi di Centotrentuno l’ultima estate è stata particolarmente impegnativa ma ricca di soddisfazioni. A partire dal rapporto con i nostri lettori/spettatori/commentatori, alcuni dei quali ritrovati con piacere in quel della Val di Pejo e Aritzo, unici veri momenti in cui nel calcio tutto limiti e divieti (N.B. era così anche prima del Covid, eh) si riesce a condividere qualcosa con i tifosi. Nella nostra folle utopia giornalistica il rapporto con la cosiddetta “fan base” è fondamentale, perché miriamo a creare una vera e propria community che vive di regole sane e di educata condivisione delle proprie idee. Senza entrare nello specifico (non è mai elegante, né professionale), possiamo però dire che, numeri alla mano, la famiglia di Centotrentuno continua a crescere in maniera esponenziale. Lo vediamo dagli accessi al nostro sito web, dalle trasmissioni in diretta e, più in generale, dall’interazione social relativa ai nostri contenuti (da Facebook a YouTube, passando per Twitter, Instagram e Twitch): c’è chi fa il tifo per noi, chi ci sostiene, chi ci ammira e vuole entrare a far parte della redazione (che, per fortuna, continua ad allargarsi). Ma l’altra faccia della medaglia è rappresentata da chi ci è legittimamente indifferente, chi invece ci detesta cordialmente e chi ci detesta e basta. C’è pure chi non vede l’ora di poterci insultare nei commenti ma lo comprendiamo, alla luce del periodo storico di cui siamo protagonisti. Sappiamo di non poter piacere a tutti, ma cerchiamo soltanto di fare bene il nostro mestiere. Non sempre ci riusciamo e, quando capita, chiediamo scusa per i nostri errori. Ma anche questo è il bello della libertà, per noi unico e vero valore inderogabile insieme alla verità (e alla ricerca di essa). Non abbiamo padroni, non imponiamo il nostro pensiero al prossimo: siamo aperti al dialogo, quando questo è costruttivo e permette di arricchirsi reciprocamente.
Una premessa d’obbligo per tornare al solito tema, il calciomercato. Come scritto nell’attacco, questa sessione è stata forse la più difficile degli ultimi anni. Perché se l’estate 2020 aveva portato con sé l’incertezza del Covid, rendendo pressoché impossibile allora fare programmi a lunga scadenza, l’estate 2021 è stata quella del redde rationem alla crisi di liquidità. Una situazione vissuta da tante squadre in tutto il mondo: se il Barcellona deve rinunciare a Messi, così come la Juventus a Cristiano Ronaldo e l’Inter a Lukaku, un motivo ci sarà. E pazienza se Manchester City e Paris Saint-Germain continuano a fare bellamente i propri comodi, spendendo e spandendo come se il Covid non fosse mai esistito. Il famoso mercato “creativo” di capozucchiana memoria in realtà è stato il leitmotiv per tutti, non solo per il Cagliari. Inoltre quella vecchia volpe del diesse rossoblù è stato abile e furbo a dribblare domande, telefonate e richieste di informazioni, a volte anche con qualche “polpetta avvelenata” (da Dalbert a Nainggolan, la lista è ben lunga) data in pasto ai cronisti sprovveduti o, semplicemente, in buona fede.
Per noi giornalisti, però, questa creatività è coincisa con il decuplicarsi di un lavoro di ricerca delle notizie, verifiche e controverifiche rispetto al passato. In tanti sui social hanno accusato la categoria dei giornalisti che si occupano di calciomercato di essere dei mercanti di bufale che manco a Battipaglia e Mondragone si sono mai visti in tutta la storia dell’umanità. “Non ne azzeccate mezza”, “State sempre inventando nomi, prima o poi uno lo beccate”: questo si leggeva, non solo sulla nostra piccola bacheca di testata regionale, ma pure su quelle di mostri sacri del calciomercato. Colleghi che sui rapporti con dirigenti, allenatori e agenti hanno costruito intere carriere, denigrati come l’ultimo dei rifiuti urbani. La realtà (e chiunque faccia davvero questo mestiere potrà confermarlo) parla di giga e minuti di traffico consumati per stare dietro a piste vere, verosimili o, alcune volte, del tutto sbagliate, per cercare di dare un’informazione vera a chi ci legge. Il tutto gratuitamente. E quest’ultimo, spesso, è un aspetto sottovalutato. Centotrentuno si autosostiene grazie a un nutrito gruppo di partner commerciali, per fortuna sempre in costante aumento: andare avanti è dura, durissima, ma finora abbiamo sempre tenuto la posizione della gratuità dei contenuti, puntando ad aumentare ancora di più la qualità del servizio. Come detto in precedenza, i freddi numeri statistici legati ad accessi, utenti unici e visualizzazioni di pagina non mentono: ad agosto abbiamo abbattuto di gran lunga ogni record precedente. La nostra passione e il nostro lavoro si alimentano grazie al vostro supporto, che si tratti di Serie A o di Serie D, di basket, ciclismo o atletica.
Quel che possiamo dire, in conclusione, è che anche in questa nuova stagione sportiva, noi di Centotrentuno ci saremo. Sempre, ça va sans dire, a voce alta.
Francesco Aresu