Il commento a freddo su una stagione disgraziata che resterà, a buon diritto e a mo’ di memento, nella storia del club rossoblù. Con la speranza che, per una volta, dagli errori si impari la lezione.
Vanitas vanitatum, omnia vanitas!
Da quando il Cagliari è ufficialmente tornato in Serie B, nella testa di chi scrive rimbomba costantemente il secondo movimento del “Requiem for the Living” di Dan Forrest. Poco più di sei minuti in cui emerge tutta l’atmosfera cupa e tetra di un requiem moderno, con l’incalzare di fiati e archi che si rincorrono su una salita ripidissima, con sotto un tappeto di percussioni a tenere alta la tensione su cui si innesta il coro, il cui canto è tagliente come lame. Un crescendo continuo e spigoloso, con l’energia che sale costantemente di tono fino ad arrivare a un’inquietudine insostenibile e a cui è impossibile sfuggire. Qualcuno si chiederà il perché di questo paragone musicale: semplice, il movimento in questione si intitola proprio Vanitas vanitatum. E l’accostamento al Cagliari è immediato. Perché questa retrocessione amarissima trae origine dalla vanità della società rossoblù, da quell’inconscio (o invece conscio?) bisogno di piacere a se stessi ma soprattutto agli altri, il culto “dell’essere figo” e del doverlo sottolineare in ogni occasione. Sul mercato la politica delle figurine è una derivazione di questo concetto: nomi di prestigio, molti con un passato importante alle spalle e un presente/futuro fatto di ingaggi pesantissimi e sanguinosi rinnovi di contratto.
Tutta colpa di Barella?
Al termine della incommentabile sfida contro il Venezia Tommaso Giulini si è presentato davanti ai microfoni. Lo aveva detto già da prima del calcio di inizio ai colleghi presenti in tribuna stampa: “A prescindere dal risultato, a fine gara parlerò con i giornalisti”. È stato di parola, dando diversi spunti di riflessione. Non tutti condivisibili, in verità. Per esempio: l’inizio della fine (ovvero la retrocessione), secondo il patron rossoblù, avrebbe origine dalla cessione di Barella e dal conseguente tentativo di sollevare l’asticella delle ambizioni, mettendo l’Europa nel mirino. Un passo più lungo della gamba? A posteriori, visti i risultati, verrebbe da dire di sì. Eppure, la sensazione di chi come noi osserva da una posizione di pochissimo più privilegiata rispetto al tifoso medio è che ci sia qualcos’altro. Torniamo indietro a quel periodo: la campagna acquisti estiva della stagione 2019-20 portò a Cagliari grandi e grandissimi nomi come Nainggolan, Pellegrini, Nández, Rog, Olsen e Simeone, con la conferma di giocatori di valore come Joao Pedro, Cigarini e Ionita. Era giusto, per chi scrive, comportarsi in quel modo: i soldi c’erano, la buona volontà anche, la piazza ribolliva di un entusiasmo nuovo. Lo era allora e continua a esserlo anche oggi, in una logica di investimento sul futuro. A gennaio però, dopo un girone d’andata entusiasmante fino a dicembre, serviva una svolta in difesa: Maran chiedeva un difensore centrale di esperienza, con i nomi di Kjaer e Juan Jesus sul taccuino dell’allora ds Marcello Carli. Chi arrivò invece? Gaston Pereiro, un giocatore tanto talentuoso quanto difficilmente collocabile nell’iper-tatticismo del calcio italiano. Era un’occasione, senza dubbio. Ma già in quel caso la scelta fu non di puntare sulla necessità (difensore centrale di esperienza), quanto sulla “bellezza”. Sulla vanità, appunto.
Largo alla “mediaticità”
Di lì a qualche settimana Maran venne esonerato, definito un “allenatore vuoto” dallo stesso Giulini nella conferenza stampa di presentazione di Walter Zenga, successore del tecnico di Trento. Poi arrivò il Covid, che spense il fuoco che bruciò Maran prima e Zenga poi, insieme agli entusiasmi del Cagliari e dei suoi tifosi. Evidentemente passare da un tecnico poco avvezzo a lustrini e microfoni come Maran a un protagonista (spesso suo malgrado) del circo mediatico come l’Uomo Ragno ha segnato il passo. Nel 2019-20 il Cagliari ha vissuto un’overdose di esposizione dovuta a varie cause: la prima, il rendimento clamoroso sul campo di Nainggolan e soci, issatisi fino al quarto posto in classifica. La seconda motivazione era il primo centenario della storia rossoblù, poi non festeggiato a dovere a causa del Covid, che ha inciso anche nella terza causa: la scelta di un personaggio come Zenga, proprio nel primo periodo della pandemia, ha tenuto alta la considerazione dei media sul fenomeno Cagliari, salito in fretta agli onori della cronaca calcistica e poco dopo scoppiato come una bolla di sapone, affidato a WZ1 per la riscossa. Dopo la mancata conferma del tecnico milanese, ecco la scelta Di Francesco. Nome di grande appeal mediatico, reduce dall’esperienza sulla panchina della Roma con tanto di semifinale di Champions (previa eliminazione del Barcellona), ma soprattutto dal flop alla Sampdoria, che per sostituirlo si affidò al ben più solido Claudio Ranieri. “Non mi voglio più guardare indietro, con ottimismo sono sicuro che ci divertiremo”: così Giulini chiuse la conferenza a Teatro Doglio, forse non immaginando neanche minimamente in quale vortice sarebbe entrata la sua società.
Un bagliore di concretezza
Fin da agosto EDF chiese Nainggolan: ad agosto arrivò Diego Godin, altro colpaccio (soprattutto mediatico) di livello internazionale e solo a ottobre (nell’ultima ora di mercato) ricevette Ounas: un amore mai sbocciato, quello dell’algerino con la piazza cagliaritana che, per certi versi ricorda la mancata esplosione di Keita Baldé, altro giocatore di indubbio talento ma mai davvero decisivo in rossoblù. Tutti nomi importanti sulla carta, dal curriculum di peso, ma con poca propensione alla sofferenza. Specialmente l’ex Napoli, volato a Crotone nel mercato di gennaio 2021 e sostituito dal Ninja, che però poco potè fare per salvare il suo ex allenatore sostituito da Leonardo Semplici, affiancato dal ritorno di Stefano Capozucca nel ruolo di direttore sportivo. Ecco, in quel momento sembrò che Giulini e il Cagliari tutto si fossero destati dal torpore: basta vanità, basta nomi buoni per Football Manager, spazio alla concretezza. Il tecnico fiorentino riuscì a compiere l’impresa di salvare una squadra depressa da un rendimento assolutamente negativo sotto l’egida di Di Francesco, ma capace di risollevarsi dopo essere entrata nuovamente in un tunnel negativo grazie ai risultati “giusti”, ovvero le vittorie contro Parma e Benevento, il pareggio di Napoli. Scampato pericolo, ecco di nuovo la tentazione di tornare a far parlare di sé i media, specialmente a livello nazionale. Con Semplici in attesa di conferma, uscirono (casualmente?) le voci sull’interesse del club rossoblù per Ivan Juric, in uscita dall’Hellas Verona e in quel momento tecnico più desiderato dalle società di metà classifica. Il classico profilo del sergente di ferro – spesso figlio del calcio balcanico e slavo in particolare (vedi Mihajlovic e Tudor) – che piace a molti presidenti, quasi che uno spogliatoio avesse bisogno di regole ferree e disciplina per poter rendere al massimo. In ogni caso, il corteggiamento fallì dato che il tecnico croato scelse il Torino e per Semplici arrivò una conferma che sapeva tanto di mancanza di alternative, per di più con il ritiro estivo da programmare a breve.
Repetita iuvant (non semper)
Da quel 26 maggio 2021 inizia la discesa, inesorabile, verso la Serie B. E non perché la colpa sia di Semplici, che anzi ha provato a fare il possibile con il materiale a sua disposizione. In ritiro a Pejo il tecnico ex Spal sperava di ritrovare Nainggolan, ma si dovette accontentare di Radunovic, Altare e Dalbert, anticipati qualche settimana prima da Strootman. Un’estate ad aspettare il ritorno del Ninja, le voci sul possibile interesse per Scamacca – ma veramente il Cagliari avrebbe potuto investire così tanti milioni sul centravanti del Sassuolo? Mah – fino all’arrivo di Keita Baldé, strappato con un blitz alla Sampdoria e pronto a raccogliere l’eredità del Cholito Simeone, passato tra la prima e la seconda giornata di campionato all’Hellas Verona di Di Francesco, nel frattempo lasciato libero di accettare la corte gialloblù. Entrambi calciatori in cerca di riscatto, che non potevano restare dov’erano: la storia ha dato ragione all’argentino grazie ai suoi 17 gol, decisivi per la bella annata dei veneti. Ma la colpa di Giulini e dei suoi collaboratori (Capozucca in primis) non sta solo nell’aver puntato sull’ennesima figurina: è non aver tratto insegnamento dalla stagione passata, come confermato dallo stesso patron nella conferenza post Venezia. Troppi, troppissimi errori nella costruzione della rosa: l’infortunio di Rog, i continui viaggi intercontinentali degli uruguaiani, i vari capitoli del caso Godin, l’affaire Nandez e chi più ne ha, più ne metta. Tutti elementi che hanno concorso a creare questa stagione disgraziata per i rossoblù, conclusasi meritatamente con la caduta in Serie B.
Il precedente del 1999-00
Tornando alla storia recente del Cagliari, quest’annata ha ricordato per molti versi la retrocessione del 1999-00. Anche allora una squadra con molto talento a disposizione (O’Neill, Zebina, Macellari, Scarpi, Mboma), la conferma dello zoccolo duro (Berretta, De Patre, Villa) ma dal mercato arrivarono nomi altisonanti come Lulù Oliveira e Domenico Morfeo (per lui 6 partite e una rete in rossoblù), il ritorno dal prestito di Bernardo Corradi, l’arrivo di un’ala congolese di nome Jason Mayelè e di due giovani di belle speranze, l’honduregno David Suazo e il figlio d’arte Daniele Conti. In panchina un mostro sacro come Oscar Washington Tabarez, giubilato dopo sole 4 presenze in panchina e rilevato da un mostro sacro della categoria allenatori italiani come il toscanaccio Renzo Ulivieri (vi ricorda qualcosa?), protagonista di un fragoroso flop: 21 punti in 30 partite che, aggiungendo il punto guadagnato da Tabarez contro il Venezia, portò il totale a un misero 22. Una retrocessione ignominiosa, con 3 vittorie su 34 partite e addirittura 18 sconfitte. Ecco, più che al 2014-15, bisogna guardare a quell’annata per trovare delle affinità. Anche allora la squadra venne affidata a un tecnico esperto ma ormai non più al passo con i tempi – in quel caso Ulivieri, quest’anno Mazzarri – che non riuscì a entrare in sintonia con un gruppo esperto, fatto di elementi già da anni a Cagliari e probabilmente non troppo inclini all’uso eccessivo del bastone. Allora sbagliò Cellino, in questi anni è toccato a Giulini: come per il suo predecessore, anche per l’attuale patron rossoblù la decisione di alzare l’asticella ha creato uno sconquasso negli equilibri dell’ambiente.
Un’occasione da sfruttare
Scelte sbagliate, troppo spazio lasciato alla solita vanità – come la scelta di passare ad Adidas per il materiale tecnico per avere un nome “di grido” internazionale, salvo ottenere una fornitura quasi da catalogo standard – al momento di prendere decisioni e investimenti eccessivi su profili inadeguati. Tutti errori che hanno portato a una nuova retrocessione tra i cadetti, che oggi fa più male rispetto al 2015. Allora la dirigenza era “fresca di nomina”, non c’erano stipendi così importanti e, soprattutto, c’era l’alibi inesperienza. Questa volta, invece, le colpe sono tante e incidono molto di più sul risultato finale. La speranza è che questa retrocessione sia un nuovo punto di partenza, di svolta definitiva verso un futuro fatto di programmazione autentica, non di improvvisazione. La brutta figura sul piano mediatico – specialmente a livello nazionale – non sarà certamente di facile digestione per Giulini, Passetti, Capozucca e tutti i loro collaboratori: la sfida per tutti loro è che la Serie B sia l’occasione per disfarsi delle vesti sfarzose, dei lustrini dei talk show televisivi in cui, a volte, accade anche che possano capitare imprevisti come in occasione della querelle con Fabio Caressa relativamente alle voci di cessione del club. La vanità e il culto dell’apparenza siano messi al bando, si lasci spazio all’umiltà. Il ridimensionamento non necessariamente è una soluzione negativa per il futuro del Cagliari, anzi. Le voci di cessione del club continuano a soffiare forti su Cagliari e sul Cagliari, con l’ombra dei cinesi alle spalle dell’attuale dirigenza. Qualunque sarà il futuro del Cagliari, con questa o con un’altra proprietà, il concetto resta identico.
“Ora conta solo ripartire a testa alta e più forti di prima. L’anno prossimo ci saranno più ragazzi sardi e più giovani con volontà di portare questa maglia”, ha detto Giulini nella conferenza stampa al termine di Venezia-Cagliari. Rialzarsi prontamente, scuotersi di dosso la polvere dopo la caduta e lavorare per recuperare il credito perso dopo questa retrocessione: non sarà certamente un compito facile per i rossoblù, ma oggi più che mai servono fatti. Perché le parole le porta via il vento e, a Cagliari, il maestrale tira di continuo.
Francesco Aresu