“Hai visto che piedi? Eh, il sinistro sembra quello del nonno, ma il lancio è quello del padre”. Due comparsate nelle partite amichevoli contro Olbia e Roma e subito gli occhi di tutti addosso, con la voglia di lasciare il segno ma senza pressione. Ha soli 18 anni Bruno Conti, e porta con sé il peso di un nome e cognome ingombrante: nipote di Marazico, figlio di Daniele, le maglie di Roma e Cagliari per lui non sono e non possono essere indifferenti. Nell’amichevole di sabato Di Francesco lo ha lanciato in campo al 78′, prima mezzala sinistra, poi a destra negli ultimi minuti con l’uscita di Nandez. Ed è normale che – intercalare spesso associato ai calciatori, in primis Francesco Totti – al termine dell’amichevole di sabato il fatto che un certo Bruno Conti abbia sfidato la Roma non poteva certo passare inosservato.
Pronto a essere leader della Primavera
Ambidestro, fisico longilineo, come noto Brunetto gioca a centrocampo e quest’anno, dopo la scorsa stagione di apprendistato agli ordini di Max Canzi, sarà uno dei pilastri della Primavera di zio Ago, al secolo Alessandro Agostini, sodale di papà Daniele dai tempi di Zola in rossoblù. In tanti potrebbero fare l’associazione immediata: Brunetto gioca perché è accozzato, per usare un termine molto poco tecnico ma esaustivo. Troppo scontato e superficiale, fatecelo dire. Chi lo ha visto giocare con i pari età (fin dai tempi dell’Under 17 allora allenata da Martino Melis) nelle categorie giovanili ha potuto subito notare alcuni tratti caratteristici, già citati a inizio articolo. Fisico, piedi educati – plurale d’obbligo, visto che è ambidestro – e un tiro forte e preciso, doti importanti a quell’età. Forse ancora “poco mobile”, ma c’è ancora tempo di migliorare sotto l’aspetto atletico. Insomma, se Bruno gioca è perché se lo merita, al di là del cognome.
Una crescita fin qui “controllata”
E papà Daniele, responsabile della Primavera, che dice? Da buon genitore ha sempre cercato di proteggere Bruno dalle troppe attenzioni di un ambiente che lui stesso conosce bene, avendolo conosciuto prima da calciatore e ora da dirigente. Una protezione che va oltre, addirittura quasi “sminuendo” il valore del figlio per non destare in lui pensieri sbagliati. Non basta chiamarsi Conti per avere una carriera assicurata, anzi. Non bastano i mezzi tecnici, serve la testa – oltre alla fortuna – per diventare un calciatore professionista e Daniele lo sa, per averlo vissuto sulla sua pelle. Eppure, tra Aritzo e la Sardegna Arena, in tanti tra coloro che hanno assistito al match hanno avuto occhi e parole per lui. Commenti che generano, inevitabilmente, attenzioni non sempre positive. Per non parlare dei media (specialmente i nazionali), che fin dal suo gol contro l’Empoli nello scorso campionato Primavera 1, realizzato grazie a un bolide mancino da 35 metri, con palla sotto la traversa, hanno iniziato a far circolare il suo nome in tutta Italia. “Conti jr. come nonno Bruno e papà Daniele”, e giù con i paragoni. In casa, invece, suo padre era impegnato a fare da pompiere, aiutato anche da Canzi che, con la saggezza tipica dell’insegnante, ne ha dosato subito l’impegno. Dopo il gol decisivo con l’Empoli ben cinque panchine di fila, prima del ritorno in campo contro il Pescara, bagnato anche questo con un gol: un totale di 6 presenze e 2 gol, ma con soli 190 minuti giocati.
Il giudizio di Di Francesco
Poi è arrivato il Covid-19 ed è impossibile sapere cosa sarebbe stato della prima parte di 2020 per quel Cagliari Primavera e per Brunetto. Che riparte da un ruolo di maggiore responsabilità, data dal fatto di essere “in età” per la nuova stagione (classe 2002). Di lui Di Francesco, che lo ha convocato per le due amichevoli finora giocate dai rossoblù, a precisa domanda arrivata nel post Cagliari-Roma, ha detto: “Facciamolo crescere, ha qualità e mezzi, ma ha bisogno di allenarsi principalmente con i grandi per migliorare le sue carenze tipiche di un giovane calciatore: il piede lo ha, ma è prematuro dargli troppe responsabilità”. Insomma, non rompetegli le scatole e fatelo crescere in santa pace. Una linea di pensiero che ci sentiamo di condividere: se lo dice un tecnico noto per aver valorizzato tanti giovani (da Berardi ai Pellegrini, sia Lorenzo che Luca, Sensi, Lirola e Under, giusto per fare alcuni nomi noti), c’è da credergli.
L’esempio dei Maldini bros
Anche perché andrebbe anche posto un quesito: ma se il Cagliari non fosse ora una squadra incompleta (per usare le stesse parole di DiFra), il giovane Brunetto sarebbe stato convocato? Sì, no, forse. Ma è la stessa situazione che si sta vivendo al Milan per Daniel Maldini, secondogenito di Paolo e nipote di Cesare, anche lui nel mirino di media e tifosi per un buon precampionato vissuto con la Prima squadra di Pioli. Di certo l’esempio da non seguire è quello del fratello Christian, che una volta lasciata la Primavera rossonera non ha saputo dare continuità alla sua carriera, fatta di alti e bassi e che ora milita nella Pro Sesto, in Serie C. Per il classe 2002, figlio e nipote d’arte, niente pressioni inutili dunque: testa al campo (e sui libri, visto che l’età è quella), per seguire il giusto percorso di crescita. Siamo convinti che anche nonno Bruno che papà Daniele la pensino così: Brunetto è un patrimonio del Cagliari, non va caricato di troppe responsabilità. Anche se si chiama Conti.
Francesco Aresu