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Cagliari, il manuale della mediocrità

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Il Cagliari è la sintesi della mediocrità applicata al gioco del calcio. Non usiamo mezze misure. Mediocrità nei concetti di gioco, mentalità e comunicazione.

A parole si punta il mirino sul decimo posto, nei fatti ti sorprendi come possa essere a un passo dalla salvezza con una qualità di calcio simile. Non temiamo smentita nell’affermare che, tolte forse le retrocesse, i rossoblù giochino il peggior calcio della categoria. L’unica arma è la corsa e la guerra sulle seconde palle. Quando una di queste componenti viene a mancare, l’avversario di turno scherza allegramente gli uomini di Maran nella propria metà campo. È capitato contro una Lazio data in crisi e con ampio turnover in atto, così come spesso in passato contro squadre ben inferiori ai biancocelesti. I cross per la testa di San Leonardo da Livorno spesso arrivano dalla trequarti poiché non si riesce a sviluppare una trama efficace che porti al traversone dal fondo. La velocità di manovra è soporifera, il contropiede questo sconosciuto.

Non solo l’allenatore trentino non si è mai mostrato in grado di trovare una contromisura efficace, ma si è limitato a scusanti generiche quali infortuni, Dea bendata o, addirittura, l’eccessiva temperatura meteorologica come ripetuto dal secondo Maraner nel post partita di sabato, come se facesse caldo solo per una delle squadre in campo. La verità è che il Cagliari è incapace di far correre la palla, nei momenti difficili punta tutto sull’intensità e sulla “guerra sportiva”, pur non mostrando mai una condizione fisica che consenta di tenere i ritmi elevati e di andare a prendere alto l’avversario per tutto il match. Quando le cose vanno bene, passa in vantaggio e magari porta a casa la pagnotta: in caso contrario, la benzina puntualmente finisce e soffre le pene dell’inferno. Talvolta riesce in rimonte miracolose, fatte di palla lunga e che il dio Eupalla (come diceva il compianto maestro Brera) ci aiuti.

La sensazione è che molto sia affidato al caso più che a uno spartito ben preciso e la cartina di tornasole di tutto ciò è che prima che inizi la gara l’osservatore medio non abbia mai idea di cosa aspettarsi. Insomma, non il miglior viatico su cui costruire una realtà sportiva solida e proiettata a un futuro migliore, fatto di obiettivi più sfidanti e di maggiore qualità. Il rinnovo di Maran dovrebbe andare in questa direzione ma fatichiamo a capire – in attesa di essere smentiti – cosa abbia portato di cosi innovativo rispetto a un Diego Lopez, giusto per citare il più prossimo predecessore. Una rosa dall’età media elevata, un mister restio ai cambiamenti e al lancio di nuovi calciatori: elementi che portano a una situazione piatta.

Un pubblico che riempie lo stadio praticamente sempre meriterebbe ben altro. Così si rispettano i tifosi, più che gridando allo scandalo per il “furto” di Napoli, perché “un punto è vita” per citare le parole del diesse Carli, salvo poi la partita successiva davanti a 16 mila sostenitori tenere un atteggiamento da dopolavoro ferroviario.

Come se i punti fossero vita a convenienza.
Come se ci si accorgesse di non essere ancora salvi matematicamente, solo a fasi alterne.
Come se la mediocrità fosse uno status quo cui si è condannati per sempre.

Mirko Trudu