Una serie di “quadretti” di calciatori del passato cagliaritano e non solo, a cura di Nino Nonnis.
Livio Caocci
Inutile che chiediate dove ha giocato. A tenere fede alle risposte potreste pensare che abbia giocato per 80 anni, ma non è possibile. Come si spiega tutto ciò? Varie sono le ipotesi che sono state fatte. Di solito si ragiona in campionati per stabilire il conteggio, ma Livio ragiona in partite singole. Ha giocato una volta al campo dell’Ossigeno? Gli basta per dire che ha giocato con quei dieci. In effetti a lui basta una partita, una doccia insieme e diventa amico di tutti, si ricorda nome e cognome e li saluta per primo quando li incrocia e magari si ferma anche per una chiacchierata anche se ha fretta.
Perché per lui la chiacchierata era ed è molto importante, specie la parte in cui parla lui. Se ti lasci andare i toni diventano epici, ne vieni attirato dentro, solo che alla fine ci ripensi e qualche bisogno di veridicità te lo poni.
Per quanto riguarda l’aneddotica di Livio si deve fare la tara di tutte le aggiunte e le infiorescenze che gli hanno cucito addosso i tanti amici, in buona fede.
Poi un dubbio viene sempre, perché Livio non è stato solo un (grande) calciatore, ma anche un pugile (grande), e anche un (grande) karateka. Il dubbio nasce solo da una domanda che di solito ti poni in questi casi, che peraltro sono pochi e non così vistosi.
In che categoria ha giocato a pallone? In effetti la carriera non è stata pari ai meriti, ma questo non deve stupire, è successo a molti, vedi l’esempio di Chicco Piras, che avrebbe potuto pretendere ben altri palcoscenici nelle serie superiori.
Però anche nel pugilato, dove pare fosse bravissimo, non raggiunse mai un titolo che lo consegnasse incontrovertibilmente alla storia di questo sport. Una banale storia di annali, che non tengono conto delle valutazioni e delle opinioni. Soprattutto le sue, in questo caso determinanti.
Praticò anche il karate, nobile arte che però ai suoi tempi non contemplava le categorie di peso, tutti contro tutti, e lui si trovava costretto a misurarsi con marcantoni di uno e novanta, come mi ha riferito il suo maestro Cantagalli, che però se la cavava anche con loro. Era comunque temuto da tutti, anche per le voci che lui steso aveva messo in giro.
Comunque in tutte queste discipline non è passato inosservato. Mio fratello, anche lui ci ha giocato contro e insieme. Com’era Pietro? Era forte?
Mio fratello giocava in difesa e lo aveva avuto come compagno nel torneo Salesiani nella squadra di Franco Giordano, che quel torneo lo vinceva abitualmente. “Giocava a centrocampo e io dovevo marcare il mio uomo e il suo”.
Nino Nonnis