La prestazione del Cagliari a Napoli ha regalato, fra le note liete nonostante la sconfitta, la prova del centravanti come spalla di Pavoletti.
Il ritorno in rossoblù di Alberto Cerri era stato salutato con scetticismo, la spada di Damocle dei 10 milioni di valutazione non lo ha aiutato, i pochi minuti giocati senza incidere tanto meno. Vice Pavoletti per gran parte della stagione, Cerri non ha avuto quasi mai occasioni dal primo minuto e nonostante Maran avesse dichiarato a più riprese di vederlo anche come spalla del centravanti titolare, solo a Napoli questa soluzione è stata provata dal tecnico rossoblù dal primo minuto. Nei 74 minuti giocati al San Paolo Cerri ha dimostrato di poter essere a tutti gli effetti più un partner del numero 30 che il suo sostituto naturale. Certo, il fisico inganna: simili per stazza, ma decisamente differenti per caratteristiche. Cerri più tecnico, Pavoletti più abile nel gioco aereo, Cerri più attaccante di manovra, Pavoletti più finalizzatore.
Sorge il dubbio sul perché Maran abbia aspettato soltanto la quartultima giornata per mettere in campo l’attacco pesante, mentre per mesi le prestazioni altalenanti di Farias e Sau prima e Joao Pedro poi non avevano spesso dato i risultati sperati. Se tre indizi fanno una prova siamo di fronte a un certo scetticismo di Maran nel prendersi rischi: le soluzioni nel cassetto, ma poca intraprendenza nell’utilizzarle. Prima il Castro trequartista, richiesto da più parti e messo in campo con colpevole ritardo, poi la caccia a Birsa dopo l’infortunio del Pata, mentre il rombo quasi perfetto era già in casa con Barella vertice alto e Faragò mezzala e infine Cerri e Pavoletti assieme, un tempo quasi utopia e oggi realtà positiva.
Con la stagione in dirittura d’arrivo e un contratto appena firmato fino al 2022, l’esempio di Cerri potrebbe finalmente dare la spinta al tecnico per scrollarsi di dosso la paura del nuovo, della soluzione alternativa sotto gli occhi di tutti, suoi compresi: gli infortuni sono sempre dietro l’angolo, le difficoltà pure, avere piani di battaglia differenti deve diventare la priorità per costruire il tanto agognato salto di qualità.
Matteo Zizola