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Fabio Aru, è davvero tutto finito?

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Alzi la mano chi, assistendo in tv ai primi chilometri della nona tappa del Tour de France 2020 (Pau-Laruns, 153 km), nel vedere la faccia sconvolta di Fabio Aru mollato al suo destino a diversi minuti di distacco dal gruppo non ha pensato: “Tra poco sale in macchina e si ritira”.

Chi scrive, fin da bambino appassionato di ciclismo, ha dovuto scindere il pensiero da tifoso (“Ce la può fare, speriamo che si riprenda e almeno arrivi entro il tempo massimo”) e quello da cronista (“Non va, non va proprio“), quest’ultimo purtroppo confermato da ben più esperti commentatori, come Riccardo Magrini di Eurosport. Vederlo davanti alla Voiture Balai, ossia il furgone che chiude la carovana gialla, ha fatto male. La scelta del Team Emirates di abbandonare platealmente il sardo al suo destino, ormai ritenuto un peso morto e senza neanche un gregario da dedicargli, è sembrata una punizione fin troppo pesante, tanto che nelle parole di Aru a fine tappa il fastidio per il trattamento ricevuto è filtrato eccome. E ora si apre la corsa a capire cosa ne sarà del Cavaliere dei 4 Mori, come ha saggiamente scritto il nostro Matteo Porcu: di sicuro c’è che l’opinione degli appassionati di ciclismo è divisa come non mai, tra chi vorrebbe dargli un’altra chance e chi, invece, ha finito la pazienza.

Un fermo immagine della tappa in cui Aru si è ritirato [scan Eurosport]

L’attacco di Saronni: parole durissime ma comprensibili

Tra questi ultimi c’è sicuramente Beppe Saronni, che c’è andato giù duro. Soprattutto sul piano umano, con un j’accuse ben preciso: fragilità psicologica. “Quando fisicamente e muscolarmente non sei in condizioni, è chiaro che chi è più fragile di carattere crolla: Fabio lo abbiamo visto più volte che da questo punto di vista non c’è,  si demoralizza e demotiva creando una situazione peggiore di quello che è. Nelle difficoltà non ha il carattere, crolla mentalmente e peggiora la sua situazione”, ha detto il team manager UAE ai microfoni di RaiSport. Si potrà essere d’accordo o meno, ma Saronni ne fa un discorso pratico: l’investimento su Aru è stato importante, così come il danno alla squadra dato da questo ritiro anticipato è molteplice. Partendo dal punto di vista sportivo (il mancato apporto alla causa Pogacar), passando per quello di immagine (la scena di un Aru desolatamente ultimo, a oltre 10 minuti di ritardo dal gruppo ancora prima che iniziasse la salita, non deve aver fatto piacere agli sponsor) fino a quello economico, legato a doppio filo allo stipendio da ciclista top ma con un rendimento assai deludente negli ultimi due anni.

Insomma, uno sfogo più che comprensibile se si svestono i panni del tifoso e si indossano quelli dell’osservatore esterno. “Per l’ennesima volta Fabio ci ha deluso”. Le parole sono come sassi, si dice spesso: quelle pronunciate da Saronni alla Rai sanno tanto di pietra tombale sulla carriera del villacidrese in maglia UAE. Tante, troppe delusioni per il team degli Emirati, a maggior ragione con un Tadej Pogacar in rampa di lancio come si è visto nella tappa in cui Aru è sprofondato come peggio difficilmente avrebbe potuto. L’ossimoro vissuto “in casa” non poteva non dare fastidio a Saronni e agli altri dirigenti, complice un rapporto umano con Aru e il suo entourage ormai ai minimi termini. Poteva essere meno duro l’ex campione del mondo 1982? Forse, ma la sensazione è che la poca diplomazia usata sia soltanto uno (e non certo il più importante) degli aspetti di una vicenda che esige chiarezza: perché Aru ha floppato così clamorosamente anche in quest’occasione? Quien sabe.

Il Cavaliere dei 4 Mori sarà ancora in sella?

Non lo sa nessuno, a ora. Nemmeno lo stesso Fabio, difeso dall’amico e collega Giovanni Visconti su Facebook. “Non mi merito questo, perché sono sempre stato un professionista esemplare e il mio impegno è stato massimo. Il mio futuro? Adesso non ci penso, la botta è ancora troppo calda”. Così ha chiosato il villacidrese al termine della tappa che segna senza dubbio il punto più basso nella sua esperienza in maglia Emirates. Tre anni di contratto senza risultati, con mille problemi fisici a fare da ostacolo e tanti mugugni provocati. Un contratto che scade a dicembre, senza che ci siano possibilità di un rinnovo. Una situazione simile, fatte le dovute proporzioni, a quella di Valentino Rossi quando passò dalla Yamaha alla Ducati: un biennio di incomprensioni, 3 soli podi e nessun successo per il Dottore, prima del ritorno nel team giapponese. Stando alle parole di Aru è presto per decidere il futuro, ma è chiaro che una deriva di carriera così non se l’aspettava nessuno, lui in primis. Chissà cosa passa ora nella testa del Cavaliere dei 4 Mori, ma è evidente che uno stop ora è necessario: con umiltà e serietà serve rivedere tutto, per capire se il ciclismo professionistico è ancora la sua vita. Due sono le strade, mettersi ancora una volta in gioco, ripartendo dal basso o smettere. L’età (30 anni) è ancora decisamente dalla sua parte, ma oltre alle gambe bisognerà ritrovare quella serenità che gli permise di mettersi in luce con l’Astana. E se questo non fosse possibile? Non pensiamoci ora, la fretta è sempre una cattiva consigliera.

Francesco Aresu

 
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