“L’Uruguay è uno di quei Paesi dove dovrebbero mettere delle porte di calcio alle frontiere. Al visitatore sarebbe chiaro che quel Paese altro non è che un gran campo di calcio con l’aggiunta di alcune presenze accidentali: alberi, mucche, strade, edifici“. Parole di Jorge Valdano e non esiste forse definizione migliore per descrivere il rapporto tra l’Uruguay e il calcio, Paese stretto tra Brasile e Argentina che ha dato i natali a tanti giocatori passati dalla Sardegna.
Cagliari e Montevideo potrebbero essere di fatto gemellate, chi si è affermato e chi ha fallito, ma quasi tutti hanno lasciato il cuore in Sardegna. Una storia che attrae nuovi uruguaiani, perché dove ha incantato Francescoli, dove ha lasciato il segno O’Neill, dove è passato il Maestro Tabarez, dove si sta affermando a livello europeo Nández c’è lo spazio per innalzarsi e diventare grandi. Avrà pensato così anche Gastón Rodrigo Pereiro López quando a gennaio ha scelto di fare le valigie e prendere quell’aereo che dai Paesi Bassi lo ha portato in Sardegna, carico di speranze e pronto a stupire come fatto in quel di Eindhoven.
Pereiro però è un uruguaiano atipico, non è cresciuto tra le pampas come i Charrúa, sì, quelli della garra che ha reso famosi i calciatori della Celeste fin dal lontano 1935. El Tonga, anagramma spezzato del suo nome di battesimo, di garra nei suoi anni in Europa ne ha mostrato poca, ma la vita nelle ultime settimane gli ha dato la possibilità – per nulla voluta – di tirarla fuori dal profondo. La grinta, quella del non arrendersi mai nemmeno di fronte al destino più beffardo, e non c’è niente di più difficile da superare della perdita del proprio padre quando si è lontanissimi dal proprio Paese natale, e se poi hai da poco cambiato maglia, abitudini, vita e gli infortuni sono arrivati ad aggiungere il loro carico allora la garra diventa l’unica soluzione per risalire.
“Nel 4-3-3 con Pereiro a destra come giocava in Olanda”, Di Francesco ha le idee chiare sul Tonga, l’equivoco tattico della gestione Walter Zenga sembrerebbe superato. Il fantasista uruguaiano ha sì giocato a Eindhoven anche da sottopunta come amava definirlo l’Uomo Ragno, ma il meglio di sé lo ha dato quando con il PSV partiva largo a destra, trequartista o ala, per accentrarsi e liberare il suo sinistro. Di Francesco e il suo 4-3-3 potrebbero essere l’abito giusto per Pereiro, anche se quella garra non solo fisica, ma anche tattica mancata nei mesi in rossoblù dovrà venir fuori, al contrario la Serie A resterà solo un passaggio anonimo per un ragazzo di 25 anni che può ancora dare tanto e con ampi margini di miglioramento.
Ha già dimostrato di poter dribblare alberi, mucche, strade ed edifici di quel grande campo da calcio che è l’Uruguay, contro la Roma un assaggio, alcuni spunti a Genova, un amore forse eccessivo per la palla attaccata al piede, la corsa calma, un incedere lento, sembra sempre che stia per perdersi e poi la sfera resta lì tra i suoi piedi anche se il tempo di gioco è ormai perso.
Il suo nuovo allenatore non chiede troppi ripiegamenti, ma il tentativo di recuperare subito alti il possesso quello sì, Pereiro dovrà capire che solo con la tecnica non si vincono le partite e che serve anche altro, la garra che dovrebbe avere nel DNA, la voglia di non arrendersi mai nemmeno di fronte al destino più beffardo. El Tonga è un diamante grezzo da smussare, rendere più lucido, nasconderne i limiti ed esaltarne le doti, Di Francesco potrebbe essere l’uomo giusto messogli davanti dal destino.
Matteo Zizola