Il capitano della Dinamo Sassari Jack Devecchi è stato nostro ospite nella nostra quotidiana rubrica Linea 131: ecco alcune delle sue risposte alle nostre domande.
Sulla possibile ripresa del campionato: “Non c’è ancora nulla di ufficiale, ma sembra che l’ottimismo che c’era fino a qualche settimana fa sta un po’ scemando. Comprimere un campionato e i playoff è difficile, molto probabilmente chiuderemo anticipatamente. Tutti quanti sperano di tornare in campo, ma non è facile programmare il proseguimento. Noi continuiamo a tenerci in forma nei limiti del possibile. Da capitano faccio da tramite tra società e squadra, li tengo aggiornati su tutto e ci diamo una mano. In questo momento la priorità è la salute e abbiamo trovato un accordo in sintonia con la società sugli stipendi. Lo Scudetto a Bologna non avrebbe molto senso perché ha sempre deciso il campo il vincitore: é vero che la Virtus è meritatamente prima, ma mancano ancora tante partite e soprattutto i playoff”.
La prima impressione su Sassari: “Sono arrivato a Sassari nell’agosto del 2006 in una città deserta perché era il periodo di Ferragosto. Pensavo di essere capitato in una città fantasma. Ero un po’ spaventato, ma piano piano mi sono trovato subito a mio agio, sono qua da 15 anni e spero di rimanere a vita. Ho avuto la fortuna di trovarmi nel posto giusto al momento giusto: crescevo io e si alzava il livello della Dinamo con un progetto interessante. Sono contento che gli allenatori che si sono succeduti mi hanno sempre dato spazio e considerazione, il mio sogno è chiudere la carriera con la maglia della Dinamo e lo farò”.
Sulla partita di Basketball Champions League a Burgos, su cui è recentemente tornato anche il presidente Stefano Sardara: “Una situazione surreale. Arrivavamo già dalla partita di Roma a porte chiuse dove già avremmo potuto non giocare. In Spagna abbiamo trovato un altro mondo: non c’era la percezione del pericolo, ci guardavano come alieni con la mascherina. Ci siamo barricati in hotel senza allenamenti in attesa della decisione di giocare a porte chiuse che è arrivata solo la mattina della partita. Siamo scesi in campo, abbiamo giocato un bel primo quarto, ma poi siamo inevitabilmente calati fisicamente”.
Il Ministro della Difesa ci svela il suo segreto e se potrà in qualche modo trasmettere i suoi insegnamenti a Bucarelli: “Nelle giovanili dell’Olimpia Milano ti danno un’impronta molto difensiva e nell’ultimo anno con la prima squadra mi ha aiutato molto Claudio Coldebella, un giocatore di cui ho seguito le sue orme. Meo mi ha trasmesso poi tanto anche in questi termini. Assolutamente, Buca ha ancora tanta strada davanti a sé, io cerco di dargli qualche dritta da compagno più grande. Anche lui ha giovato tantissimo l’arrivo di Pozzecco, é migliorato tanto in attacco poi. Deve solo stare tranquillo e lavorare come sta facendo”.
Le domande poi proseguono incalzanti: “Rimpianti? Non ne ho, la mia carriera a Sassari è stata bellissima, sono riuscito anche a giocare in Eurolega. Ecco magari mi è solo mancata la convocazione in Nazionale, mi sarebbe piaciuto onorare l’Italia. Futuro? La Dinamo mi ha nominato testimonial per il minibasket e questo mi ha onorato, però spero di poter fare parte della società Dinamo da dirigente che coordina da dietro una scrivania. Ho iniziato a intraprendere questo percorso e voglio scoprire questo mondo”.
Qual è stata la prima cosa che hai pensato quando hanno annunciato Pozzecco come nuovo tecnico? “All’inizio non ci credevo, devo essere onesto ero un po’ perplesso. Avevo nei miei occhi l’immagine di un Poz scatenato che si strappava le camicie, ma dopo quando è arrivato mi ha subito colpito la sua energia già dalla Final Eight di Firenze. Poi ho scoperto la sua dote che nel basket e nello sport moderno fa la differenza, ossia la capacità di rapportarsi così con i giocatori. Il Poz ha la capacità di far rendere oltre i propri limiti i giocatori, è anche una qualità che ha Meo Sacchetti, ma Gianmarco è ancora più bravo su questo aspetto a cui aggiunge anche le sue conoscenze tecniche che ha accumulato negli anni. Tutti i giocatori con lui rendono il 120% per lui e per cercare di raggiungere l’obiettivo. Questa è una cosa incredibile e la rivedo nell’Atalanta di Gasperini: vedo una squadra che vuole bene al proprio allenatore e lo si percepisce anche in campo. Penso sia una cosa bellissima questa dote degli allenatori che ti fanno capire che sono con te e che ti sosterranno in qualsiasi modo”.
La schiacciata con recupero in Eurolega contro il Real Madrid è l’immagine simbolo della tua carriera? “Mi piace sempre rivedere quell’azione, la farò rivedere anche ai miei nipotini. Ci sono però tanti momenti chiave nella mia carriera. Personalmente però il momento simbolo è nell’estate del 2009 dove io avevo la possibilità di cambiare squadra, ma mi convinse a rimanere il mio agente. In quella stagione è arrivato Meo e la squadra era stata rivoluzionata, accettai il consiglio e da lì non sono mai andato via. Senza quel momento non ci sarebbero stati gli altri bei momenti”.
Un aggettivo per ognuno di questi personaggi: “I Diener. Un aggettivo non basterebbe per descriverli. Sono dei grandi compagni e per di più vincenti. Persone spettacolari anche fuori dal campo. Meo Sacchetti. Un secondo padre, mi ha dato tanto e devo tanto a lui. Sardara. Dimostra quotidianamente di essere un visionario e di vedere la pallacanestro in un modo nuovo e vincente. Il presidente perfetto che tutti ci invidiano. Vanuzzo. Un vero fratello, abbiamo condiviso tutto per 11 o 12 anni. Spissu. Mi è sempre piaciuto, ha passione, umiltà e voglia di lavorare le colonne portanti per diventare un buon atleta. Pierre. Ho la fortuna di averlo come compagno di squadra, è migliorato tantissimo in tre anni e merita palcoscenici importanti, ma ho la sfortuna di doverlo marcare in allenamento”.