Prima l’uomo, poi il giocatore. Non è cosa da poco, soprattutto quando di mezzo c’è una carriera in cui i premi e i riconoscimenti per quanto fatto sul campo diventano ingombranti, fino a confondersi con la persona. Non è cosa usuale, in un mondo dello sport che corre tanto quanto una società che ha fatto della fretta un tratto distintivo. Gigi Datome invece è riuscito a lasciare il segno come persona e come atleta. Trovando un equilibrio tra le parti, iscrivendosi nel libro della storia della pallacanestro isolana, italiana ed europea.
Viaggio
Prima il Tirreno, poi l’Oceano Atlantico, fino a solcare il Bosforo per poi tornare in Italia. Il viaggio di Gigi Datome è stato lungo, non senza difficoltà, ma nei confini varcati si nasconde la cronaca di una vita sportiva intensa e ricca di successi. Talento e passione sono stati il motore per andare oltre anche quello che qualunque persona probabilmente potesse aspettarsi, quando a quindici anni, nel 2002, l’ala olbiese guidava la Santa Croce al titolo italiano allievi a Bormio. Da lì, l’inizio dell’ascesa. La formazione a Siena, il primo titolo nazionale non sentito proprio ma comunque messo in cascina. L’esperienza a Scafati, la prima probabilmente a far capire il potenziale di un giocatore di oltre due metri e dalle lunghe leve, capace di mettere palla a terra e di attaccare il ferro, di tirare dall’arco con una naturalezza che poi diventerà normalità agli occhi di tanti. A Roma arriva la conferma e la nascita di un giocatore capace di trascinare il pubblico, di creare empatia e di far sognare i propri tifosi. Da miglior giovane della Serie A nel 2009 al titolo di Mvp nel 2013, quando porta la Virtus Roma fino a immaginare di poter rompere il dominio della Mens Sana. È l’ultimo anno prima dello sbarco negli States, in quella Nba che apre sempre di più le porte agli europei. Prima sponda Pistons, una franchigia però in cui il feeling con coach Stan Van Gundy non fiorisce, poi in una Boston in ricostruzione in cui Datome riesce a esprimersi con più continuità, a far vedere che negli Usa il passaggio non è casuale. Quello negli States resta probabilmente uno dei momenti più difficili della carriera dell’olbiese, in cui l’ascesa si trasforma in salita tortuosa. La faccia della medaglia nascosta dal successo è però la capacità di accettare il momento complesso, non rifiutare il dolore ma farlo proprio per trovare il coraggio di ripartire. “Vorrei essere un po’ zen come Gigi, non l’ho mai visto scoraggiato” diceva qualche settimana fa di lui coach Ettore Messina. Parole che spiegano più di tutto il perché Gigi Datome sia riuscito a ripartire forte. E abbia trovato a Istanbul, lato Fenerbahce, una casa dove costruire vittorie e mostrare in maniera più continua il suo io. Nove coppe, tra cui la più preziosa, quella di una Eurolega che lo ha consacrato nel palcoscenico europeo più importante. Poi il ritorno in Italia, a Milano, con il desiderio di riportare la squadra meneghina a ripercorrere i passi lasciati dalle mitiche Scarpette Rosse. Una final four di Eurolega, una Supercoppa, due Coppe Italia e due Scudetti. L’ultimo da autentico campione, dopo un’annata resa dura da un fisico che ha dato più fastidio del solito, ma chiusa con una finale da fuoriclasse e un titolo di Mvp più che meritato. Il modo ideale per uscire di scena, o meglio, per stendere il tappeto rosso delle grandi occasioni. Perché l’uscita avverrà con la maglia azzurra addosso, quella più prestigiosa, indossata sin dalle nazionali giovanili e poi da capitano negli ultimi dieci anni. Ma con cui manca ancora qualcosa da provare a conquistare.
Eredità
Una carriera costruita lontano dall’Isola, ma con l’Isola sempre nel cuore. In maniera simile a un altro sardo rimasto nel cuore di tanti come Gianfranco Zola, con le distanze tra i mondi del calcio e del basket che si potrebbero assottigliare per i modi che hanno caratterizzato i percorsi di entrambi. Perché la carriera di Datome è stata ricca di sforzi e sacrifici per arrivare alle mete aspirate, ma a segnare una vera e propria differenza da altre è il rispetto guadagnato da compagni, avversari e appassionati di ogni fede. Sia per quanto fatto sul campo che per quanto prodotto lontano dal parquet. In parte da dietro le scrivanie dell’Elpa, l’associazione dei giocatori di Eurolega di cui Datome è stato presidente, facendo registrare una crescita delle sicurezze e delle consapevolezze dei giocatori rispetto ai propri diritti nella massima lega europea. Passando poi per le iniziative di beneficenza e per la capacità di far capire che dietro al mondo del basket ce ne fossero altri da approfondire. Fatto di altre passioni, dai libri alla musica, di altri passi fondamentali nella propria vita, come costruire una famiglia. Con una esposizione non fine a sé stessa, ma utile a far capire che al di là dei privilegi guadagnati, persona e atleta stanno sulla stessa linea di partenza e corrono sulla stessa pista, provando a raccogliere quanto desiderato. Un lascito non comune e che rende chiara la statura di un campione a tutto tondo. Grazie per tutto Gigi, ora goditi l’ultimo ballo.
Matteo Cardia