Settembre 2003, il Guspini si appresta ad affrontare il campionato di Promozione. Agli ordini dell’allenatore Massimo Onnis ci sono anche sette giocatori stranieri, tutti argentini. In un piccolo paese del Medio Campidano la curiosità è tanta perché tra i sette c’è un giocatore che non può passare inosservato, Ricardo Lunari.
Arriva a Guspini con un pedigree incredibile per una squadra di un piccolo paese della Sardegna, tante presenze – e gol – in giro per il Sudamerica fino agli anni tra Salamanca e Farense e quelli in Messico. E poi c’è quel legame con Marcelo Bielsa che lo fece esordire al Newell’s Old Boys di Rosario nella Prima Divisione argentina, lo portò con sé in Messico e del quale è stato secondo allenatore con la nazionale cilena. Ora Ricardo Lunari attende un’occasione in panchina e lavora come opinionista per ESPN. Lo abbiamo contatto per ricordare i due anni di Guspini e parlare anche del suo passato e del suo futuro, senza dimenticare i sudamericani del Cagliari attuale.
Ha giocato in tanti Paesi e, a prescindere da quanto tempo ha vestito una maglia, ogni volta è diventato un idolo dei tifosi. Qual è stato il suo segreto?
Ho avuto la fortuna di giocare in tanti posti, penso che il segreto per essere riconosciuto in tanti di questi luoghi sia stato che amavo dare tutto me stesso con grande determinazione e sacrificio. Ho difeso davvero fino alla morte qualsiasi maglia che ho rappresentato.
Tutto iniziò al Newell’s con Bielsa come allenatore. In che rapporti è con El Loco? Siete tuttora in contatto?
Sì, tutto è cominciato con Bielsa alla fine degli anni ’80 quando mi scoprì in una partita e mi invitò a entrare nel settore giovanile del Newell’s Old Boys di Rosario. Da lì sono stato un suo giocatore per cinque anni, è stato lui a farmi debuttare in Prima Divisione, è stato lui a portarmi più tardi nell’Atlas di Guadalajara. È una persona che ammiro profondamente, ci sentiamo ancora ed è una persona alla quale davvero devo molto.
Segue il campionato italiano? Il Cagliari ha in rosa ben sei sudamericani, che opinione ha della squadra?
Sì certo, seguo tutto ciò che riguarda il calcio italiano e soprattutto il Cagliari per ciò che significa, la squadra della Sardegna, il posto dove ho vissuto. È una squadra che si sta appena conoscendo, il campionato è solo all’inizio, ha grandi giocatori come Godín, Nández e Gio Simeone. Credo abbia giocatori per fare un buon campionato e pensare in grande in questa stagione.
Proprio Bielsa ha provato a portare a Leeds sia Nández che Simeone. Pensa che siano giocatori adatti al suo modo di fare calcio?
Certamente, sono due giocatori di ottimo livello che potrebbero essere molto utili nel calcio inglese e soprattutto per il Leeds.
Che programmi ha per il futuro? Le piacerebbe allenare in Italia, magari proprio nella in Sardegna come quando arrivò per giocare a Guspini?
Un giorno mi piacerebbe poter allenare in Italia visto che mio nonno era italiano e la sento molto come la mia seconda patria. Avendo giocato in Sardegna ovviamente vorrei anche allenare lì, devo iniziare in una squadra regionale e non ci sarebbero affatto problemi nel farlo. Vediamo cosa mi riserva il futuro…
Arriviamo al periodo di Guspini. Come era nata l’idea di andare in Sardegna, in un paese e una squadra così piccoli? Non ha mai avuto la possibilità di giocare in Italia a livelli più alti?
Quando giocavo a Salamanca ci fu la possibilità di trasferirmi in Italia in squadre come Brescia e Atalanta, ma purtroppo il tempo passò e alla fine avevo già 33 anni e stavo per ritirarmi. Così arrivò la possibilità di giocare in Sardegna in una squadra come il Guspini e fui entusiasta dell’idea.
Chi la convinse a trasferirsi al Guspini?
Un amico e uomo d’affari mi mise in contatto con l’allenatore di allora, Massimo Onnis, ed è stato quest’ultimo ad avermi entusiasmato con il progetto di provare a formare una squadra molto forte e avere obiettivi importanti, ero molto emozionato all’idea e l’aspetto emotivo mi ha fatto decidere di intraprendere quell’avventura.
Che ricordi ha di quell’esperienza in Sardegna?
La verità è che è stato un periodo molto bello, ho incontrato grandi amici e grandi calciatori, ragazzi molto semplici e sono dovuto tornare, tra virgolette, al calcio amatoriale. Si viaggiava con le auto private dei dirigenti e dell’allenatore, venivo dal calcio professionistico e sono tornato a sentire il calcio dei dilettanti. Mi sono divertito molto e ho scoperto un Paese e una regione straordinari come la Sardegna
È mai tornato nell’isola dopo quell’esperienza?
Purtroppo no, spero però molto presto di poter essere lì a visitare gli amici e a godermi quel meraviglioso paesaggio.
In quel periodo tanti argentini arrivarono in Sardegna, non solo nel Guspini ma anche ad esempio alla Gialeto con Mhamed e Pooli. C’è stata una figura centrale che vi ha portato tutti nell’isola? È curioso come dall’Argentina così tanti hanno attraversato l’oceano per giocare in quarta serie.
Quasi tutti i giocatori argentini che giocavano in quella divisione erano discendenti di italiani ed eravamo tutti interessati ed entusiasti all’idea di poter giocare nella terra dei nostri avi. Questo ci rese molto più facile adattarci alla nuova vita in un nuovo Paese.
Si ricorda di uno o più giocatori sardi con cui giocò e che avrebbero meritato qualcosa in più nella loro carriera?
Avevo ottimi compagni di squadra che erano anche ottimi calciatori, ma se devo ricordarne qualcuno allora ricorderò sempre Nico Agus e Luca Vaccargiu.
Matteo Zizola