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Cagliari: la speranza salvezza e l’atto di fede verso Ranieri

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“Il Milan ci ha tagliato a fettine solo quando noi siamo andati avanti e loro hanno trovato metà campo libera. Finché noi stavamo là dietro e, ripeto, siamo stati troppo timidi poi i campioni fanno la differenza. Sono arrivati quando noi stavamo cercando di riprendere il risultato: gli abbiamo lasciato troppo spazio. Però rimproverare i miei mi sembra un po’ troppo. Non vorrei che vi foste un pochettino…eh?”. Tanto alla fine ha ragione Claudio Ranieri, come sempre. Perché pensare che il Cagliari possa fare risultato a San Siro quando ha mangiato pane duro per tutta la stagione? Chissà qual era l’aggettivo nella mente del tecnico romano non detto in quella frase. Certo è che nell’analizzare in conferenza stampa la brutta e pesante sconfitta per 5-1 del suo Cagliari a San Siro, contro un Milan rianimato quasi a sorpresa (forse per gli stessi rossoneri?) che ha ritrovato il gusto di divertirsi nel giocare di fronte ai propri tifosi, il tecnico rossoblù ha seguito lo spartito dell’allenatore buono e paterno con i suoi ragazzi. Destinatari soltanto di carezze e abbracci dopo l’ennesima prestazione negativa in trasferta, frutto di tanta corsa e aggressività, ma con poco coraggio e tanti errori.

Bastone e carota

Cose già viste in stagione, che però a sole due giornate dalla fine e con il destino del Cagliari ancora in discussione non possono non far preoccupare l’ambiente rossoblù. Perché se una sconfitta con il Milan era da mettere in conto, vista la netta e abbondante differenza tecnica tra le due squadre, di sicuro quello che non può essere trascurato è l’atteggiamento dei rossoblù a San Siro. Sempre e comunque succubi degli uomini di Pioli, che nel primo tempo si sono ritrovati in vantaggio più per inerzia che per effettiva volontà, sfruttando una sorta di inconscio complesso di inferiorità del Cagliari. Ancora una volta gli uomini di Ranieri ci hanno messo abbondantemente del loro nel consentire agli avanti milanisti di far male. Al momento del gol di Bennacer, per fare un esempio, i rossoblù nella propria area erano quasi il doppio rispetto agli avversari: nove (otto giocatori di movimento più Scuffet), contro cinque rossoneri. A riprova, forse, del fatto che non sempre paghi aggiungere elementi difensivi per rinforzare il fronte da opporre agli attaccanti se poi la capacità di lettura dei singoli è sbagliata. È perfettamente comprensibile che Ranieri voglia difendere i suoi giocatori, nel suo esercizio di equilibrio tra bastone (poco, pochissimo) e carota (tanta, tantissima). Ma se il Cagliari è la quarta peggior difesa dell’intera Serie A con 65 gol subiti – e lo era anche prima della sfida del Meazza – sembra essere diventato ormai inutile, dopo 36 giornate, sottolineare ancora una volta quello che non ha funzionato in stagione. Probabilmente ha poco senso ragionare sull’effettiva utilità di meccanismi provati e riprovati in allenamento (lo ha detto Ranieri e bisogna crederci) che però in partita, di fronte ad avversari organizzati, non sempre – eufemismo – hanno pagato davvero. Così come è diventato stucchevole, a due turni dalla fine del campionato, pensare se l’approccio bonario di Ranieri verso una squadra fragile e inaffidabile – lo dicono il campo, prestazioni e risultati – sia stato effettivamente proficuo o meno. E, a furia di girare con la puntina sbagliata, il disco ormai si è rotto ed evidentemente sembra giusto anche averci fatto l’abitudine. Pane (duro) e acqua, impossibile pensare a un altro menù. Se poco o nulla è cambiato finora, perché dovrebbe cambiare adesso?

Sir Claudio unica speranza

Così come sembra inutile mettere in evidenza come l’approccio da partite “jolly” non sia stato produttivo durante questo campionato. La palla lanciata sempre e costantemente in avanti verso il prossimo impegno, da non sbagliare. Salvo poi riuscire nell’impresa soltanto in pochissime occasioni, con diverse gare toppate come contraltare: Hellas Verona andata e ritorno, Frosinone in trasferta, Lecce in casa, giusto per fare qualche esempio. “Credo che il Cagliari abbia fatto quello che doveva fare”, ha detto un sereno (almeno di aspetto) Ranieri nella conferenza stampa del post partita. Certamente non nella misura, perché uscire da San Siro con un 5-1 lascia ben poco spazio agli entusiasmi in vista delle ultime due spiagge della stagione, ovvero i match contro Sassuolo e Fiorentina, per usare le parole dello stesso tecnico romano. Ecco perché l’unica possibilità in casa Cagliari per guardare al futuro (immediato) con ottimismo è solo e soltanto una: fidarsi di Claudio Ranieri. Della sua enorme esperienza, del fatto che abbia saputo in carriera uscire indenne da situazioni anche peggiori rispetto a questa. Del suo “stellone”, come dicono alcuni osservatori più attempati, ovvero la capacità di attrarre a sé la buona sorte: dote che lo ha accomunato a Carlo Ancelotti e, per tornare ancora più al passato, al ct azzurro Ferruccio Valcareggi. Ranieri è tranquillo? Lo sia tutta la piazza, perché lui è l’unico in grado di condurre in porto una nave traballante, con qualche falla di troppo e le vele rattoppate. “I ragazzi sono stati aggressivi, hanno corso e speso tantissimo dietro la squadra seconda in classifica. Chi dice il contrario è evidente che non ha mai giocato a calcio, o sicuramente a questi livelli”, ha detto ancora Sir Claudio, lasciando aleggiare nella fantasia di chi ha fatto la domanda un sentore di pura romanità alla Alberto Sordi nel “Marchese del Grillo”. Perché la storia recente dimostra che è impossibile cogliere in fallo colui che ha reso immortale il Leicester, che, tolto il Milan, ha allenato tutte le altre big in Serie A e ha fatto bene in Inghilterra, Spagna e Francia. Troppo superiore a livello dialettico rispetto agli interlocutori, cui se vuole non fa toccare palla a prescindere da domande e osservazioni. Ha ragione lui, punto e basta. E quindi non esistono alternative all’atto di fede, profondo e totale, nei suoi confronti. Tertium non datur, ma neppure secundum.

“Lo ha detto Claudio Ranieri”

“Risorgeremo, lo ha detto Claudio Ranieri”, cantava la Curva Nord. Ranieri sa come si risorge, la sua storia parla per lui e quindi bisogna fidarsi di lui. E dovrà dimostrarlo ancora una volta. La sua tranquillità deve essere un modello da seguire, anche dai suoi peggiori detrattori. Cagliari e il Cagliari si aggrappino con tutto il proprio peso alle sue spalle esperte e pronte a sopportare la pressione della salvezza “di un’isola intera” (cit.), per guardare al domani con un occhio positivo. Lo faccia il suo spogliatoio, che ha dimostrato con un rendimento ondivago di non saper provvedere a se stesso senza l’aiuto del proprio comandante. Lo facciano tifoseria e società. E, se vuole, anche la stampa, inadeguata per esperienza per mettere in discussione le decisioni sue e del suo corposo e competente staff. Perché è forte la convinzione che con un altro al suo posto ormai la situazione sarebbe già scritta e non certo con fuochi d’artificio allegati. Tutte le scelte di Ranieri sono dettate da una precisa logica: lui ha in mano il timone e sa che rotta seguire, gli altri si adeguino. Sassuolo e Fiorentina sono le ultime due spiagge di una stagione difficile. Il Cagliari è capace di salvarsi per propri meriti? O dovrà farlo grazie agli inciampi delle altre? Nessuno lo sa, tranne forse Ranieri: tutti noi altri sapremo solo tra due settimane se tutta la sofferenza di quest’annata avrà avuto un senso. Ed è questo il solo auspicio: la permanenza in Serie A. L’unica cosa che conta, per salvare una stagione in cui è importante soltanto l’obiettivo finale, a prescindere dal modo – tutt’altro che divertente – in cui può essere conseguito. Perché alla fine è il risultato “è l’unica cosa che conta”, come insegna lo storico pragmatismo di Ranieri che sul portare a casa l’obiettivo ci ha costruito una carriera a ogni latitudine. Per poter poi guardare al futuro con occhi diversi, cercando di mettere una pietra sopra un passato recente e un presente con pochi alti e troppi bassi. Se poi con o senza Claudio Ranieri, come detto dallo stesso tecnico romano, lo si vedrà a momento debito. Con la speranza di riuscire a esaltarsi di nuovo e, possibilmente, con maggiore frequenza.

Francesco Aresu

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