Quell’esame difficile, la prima, la seconda, la terza domanda passate in carrozza, senza balbettare, deciso e a testa alta. Ormai è fatta, ti dici, e proprio quando abbassi la guardia ecco l’ultimo tranello, la distrazione fatale, la bocciatura, la prova da ripetere.
Loop pericoloso – La testa non è libera, l’incantesimo non è stato spezzato. Anzi. Eppure a guardare le ultime prestazioni il Cagliari ha più da recriminare che da giustificare. Genoa, Perin che alza il muro, la palla che non entra, l’errore difensivo punito subito senza pietà. Zero punti. Sassuolo, la squadra soffre ma tiene, Joao Pedro la porta su, sembra finalmente arrivata la vittoria finché Boga toglie i tre punti dalle mani del Cagliari. Lazio, accorti e attenti, quasi si compie il delitto perfetto, la palla di Marin alta, il gol di Immobile, il pareggio mancato. Un punto in tre partite, arriva l’Atalanta e quasi il secondo punto del 2021, poco ma comunque tanto vista la situazione e l’avversario. Gara giocata come si sarebbe dovuta giocare, viso aperto ma non troppo. Poi, ormai ai titoli di coda, ecco Muriel, la premiata ditta Walukiewicz – Zappa, di nuovo zero punti.
Finalissima – Tutte le avversarie scappano, meno una. Quell’una è il Torino che di pareggio in pareggio è due lunghezze più su, virtualmente salvo. Venerdì 19 febbraio, Sardegna Arena, riflettori accesi proprio sui granata che arrivano a Cagliari per la prima, la più importante, di tante finali. Di Francesco deve vincere, per sé e per quel noi che ripete da settimane. La squadra sembra seguirlo, la dea bendata un po’ meno anche se la strada appare finalmente quella giusta. Non nei punti, non nel gioco effervescente, ma sicuramente nell’atteggiamento. E contro chi dell’atteggiamento ne ha fatto una bandiera, il Toro, servirà una gara da corrida. Non c’è il pubblico, ma metaforicamente matare gli avversari nell’Arena sarà obbligatorio.
Poche risorse – Piangere sul latte versato serve a poco, ma se fosse servita una conferma la partita contro l’Atalanta è stata una sentenza. C’è chi inserisce Muriel – e non solo – e chi ha come armi un Duncan in ritardo evidente di condizione e i vari Pavoletti, Cerri e Deiola che fanno il massimo ma non spostano chissà quali equilibri. Surrealmente chi sembrava servire meno a Di Francesco a gennaio, Rugani, è stato uno dei migliori. Al contrario ancora non si sa che giocatore possa essere Calabresi, Duncan patisce, Deiola scarica la patata bollente di un tiro dai 20 metri sinonimo di poca personalità, Asamoah mette sorrisi e professionalità ma per il campo ripassare più avanti. È tutto qui il limite del Cagliari, quando la benzina finisce quella per rifornire il serbatoio non ha la stessa qualità e il motore perde giri.
Leader – C’è però un aspetto che la sconfitta contro l’Atalanta ha detto e per certi versi confermato. Il Cagliari sta ritrovando la spina dorsale, quella del carattere e degli elementi chiamati a trascinare la squadra fuori dalle sabbie mobili. Diego Godín è tornato faraonico, una certezza chiamata a risollevare un Walukiewicz in netta difficoltà. Nahitan Nández ha mostrato il vecchio smalto, tanta corsa ma anche tanta lucidità e chissà che con un Duncan più in forma non possa prendere possesso della fascia destra. Radja Nainggolan ha tirato fuori nuovamente la spada da Ninja, anche se la condizione non è ancora al 100% e in fase offensiva non si vede come in passato. Joao Pedro canta, quando può, e porta la croce, sempre. Marin si è tolto ruggine e timidezza. Manca il cecchino e senza gol è difficile se non impossibile salvarsi. Manca Simeone, che c’è come sacrificio ma latita come finalizzazione. Un gol per lui, un gol per la squadra, un gol per Di Francesco. A Torino iniziò l’illusione di un campionato tranquillo, contro il Torino l’ultimo appello.
Matteo Zizola