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Cagliari, la personalità unica chiave per uscire dalla crisi

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Quasi diciotto mesi, cinquantatre partite, quattro allenatori, tre direttori sportivi. In questo lasso di tempo e nonostante i diversi protagonisti il totale parla di trentuno sconfitte, quattordici pareggi, otto vittorie. È il ruolino di marcia del Cagliari dal 16 dicembre 2019, giorno della sconfitta contro la Lazio in casa in pieno recupero, all’11 aprile 2021, ultima gara giocata e persa a San Siro contro l’Inter.

Attori protagonisti
Servirebbe una delle famose ricerche che iniziano con “secondo uno studio che arriva dall’università di Oxford” e via con l’elenco delle possibili cause di una crisi lunga 482 giorni and counting, direbbero gli inglesi. Ci ha provato Maran a invertire la rotta dopo che lui stesso aveva, assieme alla sua truppa, alimentato un sogno europeo presto diventato disillusione. Dopo zero vittorie, tre pareggi e sette sconfitte è arrivato il turno di Walter Zenga, ma nemmeno l’Uomo Ragno è riuscito a cambiare il trend con decisione. Salutato dopo tre vittorie, quattro pareggi e sei sconfitte, ecco il nuovo scintillante progetto targato Di Francesco. Tre vittorie, sei pareggi, quattordici sconfitte, in pratica due punti in più del predecessore con poco meno del doppio delle partite giocate. Infine Leonardo Semplici che, come Zenga, ha raccolto a oggi un punto a partita di media grazie a due vittorie, un pareggio e quattro sconfitte. Nel frattempo a fare compagnia ai quattro tecnici ci sono stati Marcello Carli, Pierluigi Carta e ora Stefano Capozucca come direttori sportivi. I giocatori? I più diversi, qualche elemento comune, ma tra infortuni, covid, entrate ed uscite difficilmente la formazione messa in campo è sempre stata la stessa.

Domande senza risposta
Qual è dunque il problema atavico del Cagliari che ha attraversato il proprio centenario con davvero poco da festeggiare? Una domanda da un milione di dollari, le risposte molteplici ma nessuna davvero soddisfacente. Perché per quanto la rosa abbia sempre avuto delle pecche, diventa difficile considerarla inferiore a quella di almeno cinque concorrenti, per essere riduttivi. Così come l’allenatore di turno sembra il classico falso problema. Il direttore sportivo? Non scende in campo e per quanto importante non può essere la causa dei risultati, nel bene e nel male. La dirigenza? Con tutte le responsabilità che si possono attribuire, assolutamente inattaccabili, il diciottesimo posto e l’odore di Serie B non si giustificano con la gestione, pur approsimativa, di un gruppo decisionale che ha sbagliato e tanto, ma non a tal punto da raccogliere così pochi risultati in campo.

Parola di Ninja
“Secondo me manca personalità”. Ecco, forse proprio chi è stato chiamato al capezzale del Cagliari a gennaio per risollevarne le sorti ha la giusta risposta. Radja Nainggolan dopo la sconfitta contro il Verona ha usato un concetto chiaro. L’assenza di personalità, che unita al fatto che lui da solo non possa vincere le partite potrebbe essere la vera natura della crisi. L’uomo risolutore solitario è un concetto che può andar bene per una partita singola, ma nel lungo termine di un campionato è l’ossatura a fare la differenza. Al Cagliari, in sostanza, sembra mancare un DNA. La spina dorsale. Il carattere. Non che i singoli non abbiano nelle corde, in diversi casi, la grinta, la garra. Termine non usato a caso, perché Nández, Godín, lo stesso Simeone non mancano d’impegno e voglia di spendersi al massimo. Quello di cui difetta il gruppo rossoblù è la mentalità collettiva, l’aiuto reciproco, il cercare di rendere al massimo per far rendere al massimo chi sta di fianco. I leader non hanno bisogno di alzare la voce. I leader lo sono di natura e il gruppo li riconosce. I leader, al plurale non per caso. Al Cagliari non mancano le qualità tecniche dei singoli che, per quanto a volte deficitari, giocherebbero titolari in squadre che sono davanti ai rossoblù in classifica.

Oltre la tecnica
Lopez, Conti, Agostini, Cossu, Pisano, Abeijón. Non parliamo di giocatori dalla classe assoluta, alcuni sicuramente di buon livello tecnico se non ottimo, ma non campionissimi in senso lato. A volte però nel calcio a fare la differenza sono le motivazioni, il carattere, l’ascendente che si ha sui compagni dentro lo spogliatoio e in campo. Al Cagliari di oggi, come ha detto Nainggolan, manca la personalità e la personalità la danno i leader. Non che i rossoblù citati non abbiano sofferto stagioni difficili, anzi, basta ricordare l’ultima retrocessione. Però quella era la fine di un ciclo, mentre oggi il ciclo sarebbe dovuto iniziare da tempo. La differenza, forse, era nel non sentirsi di passaggio, nel vivere il Cagliari come un punto di arrivo e non di partenza, nell’incarnare lo spirito che la retorica parlata non trova nei fatti. Una terra, un popolo, una squadra, ma anche parlare poco, lavorare tanto. Mancano otto partite, la personalità non si può inventare dall’oggi al domani, ma cercare di trovare la spinta in se stessi dev’essere l’obiettivo principale da qui a fine stagione. Non è nemmeno una questione di età e di esperienza, basti pensare al Carboni di San Siro che di personalità ne ha mostrata in abbondanza, così come Vicario al suo esordio. Ecco, la soluzione, forse, è affidarsi a chi ha l’essere leader nel DNA senza guardare alla carta d’identità. Gli altri, chissà, seguiranno a ruota.

Matteo Zizola

 
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