Durante il ritiro di Ponte di Legno, immerso tra le montagne dell’Alta Val Camonica, abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Riyad Idrissi, tornato al Cagliari dopo l’esperienza in Serie B con la maglia del Modena. Con lui abbiamo parlato delle emozioni legate al ritorno in rossoblù e del ritrovato rapporto con Fabio Pisacane, che già lo aveva allenato nella Primavera.
Riyad, iniziamo questa intervista partendo dal cuore. Raccontaci le emozioni di tornare a Cagliari, la società dove sei cresciuto calcisticamente, per giocarti le tue carte e provare a essere protagonista anche in Serie A.
“Le emozioni sono davvero tantissime. Ho un sorriso a 32 denti, forse non basta nemmeno per descriverle davvero. Fin da quando mi sono svegliato la mattina della partenza per il ritiro – anzi, già da prima, nel momento in cui ho saputo che avrei iniziato la preparazione con la prima squadra – ho provato un’emozione enorme. Tornare in un club che senti tuo, dove sei cresciuto fin da bambino, è qualcosa di speciale. Ricordo ancora quando guardavo le partite del Cagliari nel bar del mio paesino: oggi ritrovarmi qui, con questa maglia addosso, rende tutto ancora più significativo. E poi lo sappiamo bene: vestire questa maglia significa rappresentare un’intera Isola, un popolo intero. Le emozioni, davvero, sono indescrivibili. Come hai detto tu, questo momento è il frutto di un lungo percorso iniziato tanto tempo fa, quando sono entrato nel settore giovanile del Cagliari, all’Under 13. Avevo 13 anni e oggi sono qui con la speranza di restarci a lungo, e, perché no, da protagonista”.
Dopo un lungo percorso con il Cagliari, tornare con Pisacane e un progetto che punta sui giovani: l’hai sentita come l’occasione giusta per crescere ancora?
“Sicuramente, con tutto quello che ho vissuto, tornare qui a Cagliari dopo aver già fatto un’esperienza tra i grandi lo scorso anno rappresenta un momento davvero importante per me. Il fatto di ritrovarmi ora in questa squadra, con un allenatore che conosco bene – avendolo avuto per un anno e mezzo – mi fa pensare che questo sia davvero il momento giusto. Mi sento più maturo, più pronto, anche grazie all’esperienza tra i professionisti che ho accumulato. In più, avere in rosa compagni con cui ho già giocato e lavorare con un mister che conosco, con cui ho condiviso un percorso significativo, mi fa sentire più sicuro e sereno. Tutto questo però non significa abbassare la guardia, anzi: mi dà ancora più consapevolezza di quanto dovrò dare, ogni giorno. So che devo mettere tutte le mie carte sul tavolo, giocarmi ogni occasione al massimo per cercare di rimanere qui e, come ho già detto, provare a essere un protagonista. Voglio diventare un punto di riferimento per questa squadra”.
Hai nominato più volte mister Pisacane, che conosci molto bene fin dai tempi della Primavera. Ora l’hai ritrovato in prima squadra: ti chiedo, lo hai trovato cambiato?
“No, devo dire che il mister, a livello umano, è rimasto esattamente la stessa persona. Un grandissimo esempio, con un grande cuore e una forte personalità . Non l’ho trovato cambiato: quello che era in Primavera, lo è anche oggi. È sempre stato serio, preparato, e anche se nella mia carriera non ho ancora avuto tantissimi allenatori, secondo me lui ha davvero una grande preparazione. In campo trasmette tanta sicurezza e grande consapevolezza ai giocatori, fa capire subito cosa vuole e qual è la sua idea di gioco. E questo, secondo me, è fondamentale, perché dà immediatamente un’identità forte alla squadra. Quindi no, non l’ho visto diverso. È sempre la stessa persona di valore, sia dentro che – e forse soprattutto – fuori dal campo”.
In questo Cagliari come ti vedi, quale può essere anche il tuo apporto di maturità in più che hai raccolto con la prima esperienza a Modena?
“Quando ho iniziato la trafila nel settore giovanile del Cagliari, non giocavo in questo ruolo. È ormai il quarto anno da terzino: il primo è stato proprio quello in cui ho iniziato ad adattarmi al ruolo, ma poi purtroppo ho avuto la rottura del crociato. Ero un giocatore più portato per la fase offensiva, quindi sapevo che dovevo migliorare molto sul piano difensivo. Questo percorso è stato possibile grazie al lavoro con diversi allenatori, ma soprattutto con mister Pisacane: con lui ho fatto tanti lavori individuali che mi hanno aiutato tantissimo. Essendo stato anche lui un difensore, è riuscito a trasmettermi qualcosa in più, quel dettaglio in più che fa la differenza. Poi, come hai detto anche tu, l’esperienza dell’anno scorso tra i grandi mi ha aiutato moltissimo, soprattutto nel capire l’importanza dei duelli individuali. A volte una partita si decide in un uno contro uno, e lì ogni dettaglio conta: la posizione corretta, il movimento giusto, la lettura dell’azione. La Serie B è un campionato tosto, competitivo, e ti fa crescere tanto: ti insegna che nessuno ti perdona nulla. Ogni errore può costare caro, e questo ti porta ad acquisire maggiore attenzione, consapevolezza e maturità , soprattutto nella fase difensiva”.
Ti abbiamo rivisto a Milano alla finale di Coppa Italia Primavera, a festeggiare con i tuoi ex compagni e con Pisacane, pur essendo al Modena. Cosa ha significato per te essere lì?
“Sì, sicuramente ho seguito ogni partita finché ho potuto. A volte capitava che noi a Modena giocassimo nel pomeriggio e loro alla stessa ora o poco prima. Fino all’ultima mezz’ora prima della partenza in pullman, ero lì davanti alla TV a guardare le loro partite. Poi, ovviamente, una volta salito sul pullman, staccavo e mi concentravo sulla nostra gara. Sono andato di persona sia alla finale di Coppa Italia a Milano sia all’ultima partita in casa contro l’Udinese. Ma li ho seguiti tutti, sempre, perché era un gruppo davvero speciale. Con molti di quei ragazzi ho condiviso anni di settore giovanile al Cagliari. Ora ritrovo in prima squadra Pintus e Vinciguerra: li conosco da quando avevamo 13 anni, sono passati otto anni ormai. Con Vinciguerra, tra l’altro, ho condiviso 5-6 anni di camera in Foresteria, un legame forte, quasi fraterno. Tornare lì a Milano, vederli così felici e raggiungere un traguardo storico – perché se non sbaglio è la prima Coppa Italia Primavera vinta dal Cagliari – è stato emozionante. Ero davvero troppo, troppo felice per loro. Se lo meritano tutti: dal primo all’ultimo. Ragazzi come Vinciguerra, Nico Pintus, Arba e tanti altri, che adesso magari non mi vengono in mente, ma che dopo tanti anni di duro lavoro si sono presi una grande soddisfazione sul campo. Per quanto riguarda le parole di mister Pisacane, è vero: noi l’anno prima avevamo dato tutto per portare il Cagliari in una buona posizione, che permettesse a chi sarebbe venuto dopo di avere le condizioni per fare un grande percorso”.Â
Ti aspettavi davvero che un gruppo come quello del Cagliari, senza grandi nomi o stelle, potesse mettere sotto scacco tutte le big del campionato Primavera?
“Sì, a livello di nomi può sembrare difficile. Guardi le rose di certi club e pensi subito che sia dura. Ma chi, come me, ha vissuto dentro quel gruppo e conosce il 95% dei ragazzi che componevano quella rosa, sa perfettamente il valore umano e tecnico che c’era. Sono tutti ragazzi affamati, abituati a dare tutto per il Cagliari. Gente che vive il campo con intensità e voglia di vincere. Durante l’anno ci siamo sentiti spesso, e percepivo forte il desiderio di riscatto, la fame di dimostrare qualcosa. Il bello è che quella fame si è trasformata in identità : il Cagliari era diventata una squadra che nessuno voleva affrontare”.
Tra i tuoi sogni hai sempre citato la maglia azzurra. Ora il Mondiale Under 20 in Cile dopo lo slittamento è sempre più vicino — voi quella qualificazione l’avete conquistata sul campo. Quanto sarebbe importante per te partecipare al mondiale?
“Quest’anno è il primo in cui sono diventato una presenza stabile nella Nazionale Under 20. Nell’ultimo anno in Primavera, infatti, ero stato convocato solo 3-4 volte, quindi non troppe. Nell’ultima stagione, con tutte le soste nazionali, ho partecipato a tutte le convocazioni e giocato tutte le partite. Il Mondiale era previsto per fine maggio, ma poi è stato posticipato a settembre. Partecipare sarebbe un grande sogno e un obiettivo per cui lavoro costantemente ogni giorno. Sarebbe una soddisfazione enorme e un’emozione indimenticabile, ancora di più se riuscissimo ad arrivare fino in fondo con l’Italia”.
Qual è l’impatto e cosa si prova a ricevere per la prima volta la convocazione in Nazionale, dopo aver fatto tutta la trafila nel settore giovanile?
“La prima volta che sono stato convocato non è stato l’anno scorso a Modena, ma due anni fa a Cagliari, nell’Under 19. Entrare a Coverciano è stata un’emozione unica: appena varchi la soglia, vedi le quattro stelle, il corridoio con i quadri dei grandi giocatori, e soprattutto entrando nella palestra ho avuto i brividi, vedendo l’immagine del grande Gigi Riva. In quel momento capisci davvero quanto sia importante questa Nazionale e quanto significhi indossare quella maglia, che rappresenta un’intera nazione di 50-60 milioni di persone. È un onore enorme. Quando lavori duramente ogni giorno e ti sacrifichi per questo sport, ricevere una chiamata del genere è la più bella ricompensa che si possa avere”.
Il tuo percorso, nonostante la giovane età , è segnato da grandi sacrifici, come la rottura del crociato e i tanti viaggi da Sadali a Cagliari con tuo padre. Quanto hai imparato presto il vero valore del sacrificio?
“Sì, sicuramente. Sono nato e cresciuto in una famiglia molto umile, dove ci arrangiavamo con quello che avevamo. Però devo ringraziare tanto i miei genitori, perché non ci hanno mai fatto mancare nulla, a me e ai miei fratelli. Si sono sempre fatti in quattro per darci tutto ciò di cui avevamo bisogno, senza farci mai sentire inferiori a nessuno. Ho imparato il valore del sacrificio osservando loro, soprattutto mio padre, che faceva enormi sforzi. Quando giocavo nelle giovanili del Cagliari — dall’Under 13 all’Under 15 — viaggiavo quattro o cinque volte a settimana: in una settimana facevo circa 800 chilometri, in un mese 3.000, e in un anno tantissimi di più. Ho imparato davvero tanto dalla mia famiglia, dal sacrificio e dall’impegno di mio padre e mia madre, che non ci hanno mai fatto mancare niente. Ora che con il calcio iniziano ad arrivare le prime soddisfazioni, vedo i frutti di tutti quei sacrifici, ma so che devono essere solo i primi”.
Nel tuo ruolo, il Cagliari ha puntato su una linea giovane con te e Adam Obert, che ha un percorso simile ma più esperienza. Come vi completate sulla sinistra, considerando anche i vostri diversi approcci?
“Sì, a livello di caratteristiche siamo diversi. Ho conosciuto Adam l’anno in cui mi sono rotto il ginocchio, quando c’era una Primavera molto forte con ragazzi come Zito, Kourfalidis e tanti altri. Abbiamo un bel rapporto anche fuori dal campo. Lui è più grande e ha più esperienza, quindi in allenamento cerco di osservarlo attentamente per imparare il più possibile, soprattutto nella gestione della palla. Adam è sicuramente più bravo tecnicamente, con giocate che possono tagliare in mezzo tanti avversari”.
Hai parlato della tua famiglia e delle tue origini marocchine: ti è mai passato per la mente di poter giocare per il Marocco? Dentro di te scorre sangue sardo, si sente anche dal tuo accento completamente sardo, ma hai mai pensato di tornare in Marocco o di fare un’esperienza lì?
“Ormai non torno spesso come facevo un tempo. Con la crescita e gli impegni nel calcio, le pause si sono ridotte sempre di più. Per ora, come ho già detto in altre occasioni, mi sento a casa nella nazionale italiana, che mi ha accolto a braccia aperte facendomi sentire un giocatore importante. Sto bene così, anche se nel calcio e nella vita “mai dire mai” e sono pronto a tutto”.
Sei il primo giocatore di Sadali ad arrivare in Serie A e a vestire la maglia della nazionale. Ci hai mai pensato? E da bambino, mentre giocavi per le vie del paese, immaginavi che un giorno saresti arrivato a questo traguardo?
“Sin da piccolo sono sempre stato un ragazzo determinato, che sapeva quello che voleva. Non mi sono mai accontentato di sognare in piccolo: i sogni li ho sempre accompagnati con duro lavoro, costanza e la voglia di crederci sempre. Gli abitanti di Sadali mi dimostrano tanto affetto e gratitudine; sono contenti per me, così come i miei amici e anche le persone più grandi che seguono il calcio. Mi seguono, mi vogliono bene, e io li ricambio con lo stesso affetto. Sono davvero fiero di portare il nome di Sadali il più in alto possibile”.
Qual è l’obiettivo principale che ti sei prefissato per questa stagione?
“L’obiettivo principale di questa stagione è sicuramente restare a Cagliari e affermarmi come un giocatore importante. Voglio che, quando si tratta di scegliere chi far giocare, il nome di Idrissi venga considerato tra i protagonisti. Sta a me dimostrare il mio valore durante gli allenamenti, il ritiro e nelle amichevoli che affronteremo. L’obiettivo è fare un campionato da protagonista, avere un ruolo rilevante nel club e nella squadra, e soprattutto rendere orgogliosi i nostri tifosi”.
dagli inviati a Temù, Francesco Aresu e Roberto Pinna















