Il modello della comunicazione di Jakobson ha come elementi principali il mittente, il messaggio e il destinatario. La comunicazione, verbale o meno, diventa difficile se non impossibile qualora il messaggio non abbia un codice comune. In sostanza, se le due parti non hanno un linguaggio che entrambi possano capire. Non una semplice questione di idioma, ma anche di volontà di intendersi.
L’esempio perfetto di una comunicazione che non porta a comprensione è ciò che sta accadendo in queste settimane tra Godín e il Cagliari. Si parlano a distanza, ma non si capiscono. Entrambi fermi nelle proprie posizioni: da un lato la società rossoblù che chiede un addio per questioni economiche e dall’altra il Faraone che resta fermo su quel contratto in essere firmato nell’estate del 2020. Se da una parte è chiaro il messaggio che il Cagliari, per bocca del direttore sportivo Capozucca, ha voluto far passare all’esterno, allo stesso tempo risulta difficile comprenderlo o condividerlo. Le difficoltà economiche come causa dello scontro verbale con Godín: tre milioni e mezzo di motivi per cercare di forzare l’addio. Motivo? La pandemia con i suoi mancati introiti. Eppure quando il Faraone è arrivato in Sardegna il Covid era ancora presente, la speranza di una riapertura degli stadi esisteva, ma era appunto una speranza e non una certezza. Nonostante ciò il Cagliari portò in rossoblù il capitano della nazionale uruguaiana, strappandolo al Rennes e garantendogli un ingaggio senza precedenti nella storia del club.
Godín non è un giocatore qualunque, ma è il capitano della Nazionale uruguaiana, un’icona in patria e non solo. I gol con la Celeste, quelli con l’Atletico Madrid, i successi sia internazionali che in Spagna. Andare allo scontro comunicativo con un giocatore della sua caratura può diventare un pericoloso boomerang. Anche se ci fosse dietro una tattica consapevole. Il Cagliari è di fatto su tutti i media sportivi, dal Sud America alla penisola iberica fino alla Russia. Forse non proprio una bella pubblicità, nonostante la professione di onestà relativa ai conti. Perché, in fondo, il contratto firmato è lì, nessuno ha costretto il patron Giulini a sottoscriverlo e Godín ha tutto il diritto di guardare al proprio futuro con la maglia rossoblù addosso. E il peso di scommettere su un ipotetico futuro che poi, nella realtà dei fatti, non si è avverato non può ricadere su chi, tra le due parti, non ha corso il rischio con una puntata simile a un all-in pokeristico.
Una scommessa con l’idea di raggiungere una posizione in classifica da parte sinistra e, perché no, con la riapertura degli stadi nel futuro. Questa, forse, la ragione dell’assalto a Diego Godín la scorsa estate. Una scommessa però persa su tutti i fronti e che ora diventa una battaglia mediatica che non fa bene a nessuno, soprattutto al Cagliari. La tradizione dell’arrivo estivo di grido, a volte l’allenatore – Zeman – altre il giocatore di esperienza – Storari, Borriello, Padoin – altre ancora il profilo internazionale – Bruno Alves, Srna, Van der Wiel – tutti rigorosamente a zero o quasi. Per poi, immancabilmente, salutarsi dopo un anno nel caso dei giocatori dall’ingaggio più pesante. E chissà che non fosse questa anche l’idea di fondo nell’acquisto di Godín, anche se il contratto da due anni più uno è lì a dire il contrario e il Faraone ha tutto il diritto di esprimere il desiderio di restare in Sardegna.
Nel ping pong che dall’isola arriva in Uruguay per poi fare il percorso inverso le certezze sembrano due. Il Cagliari e la sua prova di forza per spingere il giocatore ad accettare altre destinazioni e Godín con la sua voglia di rispettare l’accordo sottoscritto. Voglia che manca alla società rossoblù, almeno secondo le dichiarazioni del suo direttore sportivo che non possono essere solo farina del suo sacco. Ed è qui che fa rumore il silenzio di Tommaso Giulini, dopo la presentazione in pompa magna del capitano della Celeste nemmeno un anno fa. In una situazione come questa ci si aspetterebbe una presa di posizione in un senso o nell’altro visto il peso mediatico di Godín e non lasciare la patata bollente al pur vecchio lupo di mare come Capozucca. Ora la Copa America rimanderà la battaglia comunicativa, nella speranza che la società rossoblù nelle prossime settimane riesca a cambiare il codice del proprio messaggio e trovi così il modo di portare avanti una comunicazione efficace. Al contrario se proseguisse il braccio di ferro sarebbe difficile ipotizzare una pubblicità positiva in vista del mercato e della volontà di attrarre giocatori importanti.
Matteo Zizola