L’assassino torna sempre sul luogo del delitto. Quello che sembrava il punto più basso, l’omicidio perfetto di una squadra costantemente sull’orlo del precipizio, è tornato alla ribalta contro gli stessi avversari del primo caso di cronaca nera sportiva. L’Udinese ha sollevato il tappeto e come a dicembre ha mostrato al mondo la polvere chiamata Cagliari con un 5 a 1 senza appello.
Capri espiatori cercasi
I colpevoli del primo atto sono stati messi alla sbarra e poi salutati senza troppi convenevoli. Subito, davanti alle telecamere, caso chiuso e pagina voltata. Godín e Caceres gli assassini perfetti, perché d’altronde è sempre colpa di qualcun altro. Di giocatori che non onorano la maglia, della pandemia che mette in crisi i conti, degli arbitri che non rispettano la piccola di turno qual è il Cagliari. Poi, dopo oltre tre mesi e l’illusione di aver risolto il caso, ecco che l’Udinese prende nuovamente per il collo i rossoblù di Mazzarri, li solleva e li scaraventa a terra senza troppi convenevoli. Da quattro a cinque gol, il ritorno alla rete di Joao Pedro chiave non di una reazione alle tre sconfitte consecutive, ma del ritorno inaspettato al dramma. Una squadra che paradossalmente ha preso paura dopo essere passata in vantaggio, sciolta, persa, senza spina dorsale. E senza uruguaiani da accusare alla bisogna per nascondere le proprie colpe.
Tutti colpevoli, nessuno colpevole
La fila per salire sul banco degli imputati è lunga. Partendo da Walter Mazzarri, cura e malattia. Sembrava aver preso per mano il Cagliari, ma è stata solo un’illusione invernale. Con l’arrivo della primavera sono sbocciati i problemi, di nuovo. Cambiano gli interpreti ma l’aprile rossoblù è sempre uguale a se stesso. Alti e bassi, giocatori involuti dal giorno alla notte, con in testa un allenatore che prova così tante soluzioni da aggiungere confusione a confusione. Le sparizioni di Carboni e Lykogiannis, il rilancio di uno Zappa lontano anni luce dalla sufficienza, Bellanova trasferito a sinistra a perdere le proprie qualità, Keita che non parte dall’inizio ormai da tempo immemore. Gli uno contro uno a tutto campo che diventano l’arma degli avversari per sovrastare fisicamente, tatticamente e tecnicamente ogni giocatore del Cagliari. Le colpe di Mazzarri sono tante, nonostante quel filotto che aveva ridato speranza. Ma se anno dopo anno è il tecnico di turno a finire sulla graticola allora i problemi vanno al di là dell’allenatore toscano. E il tutti colpevoli utile a nascondere i veri responsabili, ché d’altronde nel mucchio è difficile trovarli.
Resa dei conti
Il silenzio è d’oro, si dice, ed è stato bravo Mazzarri a scegliere la via delle poche parole dopo la gara contro i friulani. C’è però una società che delle bocche cucite nei periodi di magra ha fatto il proprio segno distintivo. Sempre che non ci sia da puntare il dito verso qualcun altro, chiunque sia. Le parole invece non mancano quando arrivano risultati e punti. In quel caso si è sempre pronti a mostrarsi. Il passato dovrebbe insegnare – sia nella buona che nella cattiva sorte – a gestire il presente e a programmare il futuro. Ma quando ogni problema viene messo sotto il tappeto e il passato per giunta dimenticato, come per esempio il lutto al braccio per l’ex rossoblù Longobucco scomparso in settimana, la strada che si percorre è sempre la stessa. Quella del dramma, del non capire perché si arriva al punto di non ritorno, del guardarsi allo specchio e non riuscire ad affrontare le proprie debolezze.
Il rientro di Rog è stata l’unica gioia di un pomeriggio che ha sancito una verità difficilmente contestabile. Il Cagliari del presidente Giulini meriterebbe la retrocessione in Serie B. Per aver giocato con il fuoco in tutti questi anni, nella speranza che ci siano sempre tre avversarie inferiori. Lo Spezia ha fatto saltare il banco, il Genoa sta provando a fare altrettanto, il Venezia nonostante tutto è ancora lì. Mancano sette partite, la retorica delle sette finali accompegnerà la settimana prima della sfida contro la Juventus di sabato 9 aprile alla Unipol Domus. La speranza è l’ultima a morire, ma non sempre può bastare da sola.
Matteo Zizola