Gastón Pereiro è una delle delusioni del Cagliari post Covid, prestazioni che non hanno risposto alle attese dopo il suo arrivo lo scorso gennaio dal PSV Eindhoven.
Due gare partendo dall’inizio, la prima a Verona e la seconda contro il Sassuolo, due sostituzioni all’intervallo a seguito di presenze impalpabili e prive di acuti: poca attitudine al sacrificio, difficoltà tattiche, Pereiro ha caracollato tra le linee senza mai dare l’impressione di essere dentro la partita né contro i gialloblù di Juric né contro gli uomini di De Zerbi.
Se da una parte è legittimo criticare le singole apparizioni, dall’altro non bisogna correre il rischio di buttare il bambino con tutta l’acqua sporca e bocciare in toto il fantasista uruguaiano che dal canto suo ha alcuni alibi non da poco. Innanzitutto l’atterraggio in un nuovo pianeta calcistico completamente diverso da quello a cui era abituato, la Serie A non è l’Eredivisie e per restare in Italia anche un certo De Ligt ha faticato nei primi mesi dopo il passaggio dall’Ajax alla Juventus: ruoli diversi, certo, ma stesso campionato in cui sono cresciuti calcisticamente fatto di meno attenzioni tattiche, meno pressioni mediatiche, più libertà di sbagliare e maggiore pazienza con i giovani.
Non può non essere considerato inoltre l’infortunio muscolare patito proprio al suo esordio dal primo minuto al Bentegodi che, in un contesto di partite ravvicinate, ha privato Pereiro di gare importanti per continuare il processo di adattamento attraverso spezzoni in corso d’opera: poter essere inserito con calma è sicuramente un vantaggio rispetto all’essere buttato nella mischia fin dalle battute iniziali più per necessità che per volontà. Infine il lutto familiare che lo ha colpito proprio mentre il ritorno in campo dopo l’infortunio di Verona era vicino, perdere il proprio punto di riferimento affettivo mentre si attraversa una fase di ambientamento in un nuovo Paese è un aspetto che non può non incidere per un ragazzo conosciuto come particolarmente sensibile e che ha vissuto il momento a migliaia di chilometri da casa.
Pereiro ha mostrato lampi della sua classe quando chiamato in causa a partita in corso, contro la Roma il primo gol italiano e contro la Sampdoria giocate che hanno creato gli unici pericoli alla porta di Audero: non è un caso che in entrambe le occasioni la sua posizione in campo sia stata quella più vicina al suo ruolo ideale, trequartista libero di svariare con pochi compiti difensivi e la libertà di partire palla al piede dall’esterno per poi accentrarsi e scaricare il suo sinistro.
Utilizzato da seconda punta contro Verona e Sassuolo non è stato capace di garantire il raccordo tra i reparti e la profondità in ripartenza richiesta dai momenti delle partite, enfatizzando così i suoi limiti tattici e caratteriali senza che ne venissero esaltate le doti tecniche e la fantasia: certo, Pereiro ci ha messo anche del suo non scrollandosi di dosso una certa indolenza resa ancora più visibile dalla tipologia di corsa che lo caratterizza, ma in una fase di adattamento al calcio italiano forse sarebbe stato doveroso limitarne i compiti tattici per non metterlo in difficoltà. Per vedere il vero Tonga in rossoblù ci vorrà pazienza, non è né il primo né sarà l’ultimo straniero a richiedere tempo per ambientarsi in Serie A e bocciarlo dopo poche occasioni e in un contesto unico come quello del campionato post Covid sarebbe ingeneroso, a maggior ragione considerando gli alibi descritti in precedenza.
D’altronde, fatte le dovute proporzioni, anche un certo Enzo Francescoli non ebbe un impatto devastante al suo arrivo a Cagliari, così come sono tanti i casi più o meno recenti di stranieri che hanno avuto bisogno di più o meno tempo per mostrare le proprie qualità come ad esempio il Calhanoglu del Milan, passato in pochi mesi da bidone a punto fermo dei rossoneri.
Ripartire da quanto di buono mostrato seppur solo a sprazzi e metterlo nelle condizioni di incidere esaltandone le qualità dovrà essere uno dei compiti dell’allenatore che siederà sulla panchina del Cagliari la prossima stagione, Zenga o non Zenga: se poi sarà comunque un fallimento almeno non ci si guarderà indietro con la sensazione di aver perso un’occasione.
Matteo Zizola