Tre indizi fanno una prova e se gli indizi sono ancora di più diventa difficile nascondersi dietro un dito o frasi di facciata. Tutto può essere cancellato a breve, basta una prestazione, una vittoria convincente e nell’altalena delle emozioni e dei giudizi tornerebbe il sereno. Cosa accadrebbe però se fatto otto si facesse nove? Otto, come le partite senza vittoria in campionato, due mesi che i tre punti non arrivano e con essi nemmeno le prestazioni.
Nessun rischio? – No, la panchina di Di Francesco non è apparentemente a rischio e non dovrebbe esserlo nemmeno in caso di sconfitta contro il Benevento. L’allenatore abruzzese appare saldo alla guida dei rossoblù, se vogliamo anche giustamente. La certezza assoluta non c’è, ma sarebbe una sorpresa il contrario. Un progetto che si vuole definire tale non può, e non deve, essere stracciato alle prime difficoltà e nemmeno alle seconde e forse nemmeno alle terze. Attenzione, non che Di Francesco non abbia le sua colpe, ma ha anche alibi infiniti e condivisibili che lo mettono al riparo da rischi. Non solo, ma ci sono tanti altri buoni motivi come un contratto e uno staff importanti, in una situazione come quella attuale un esonero sarebbe quasi un suicidio economico dopo tanto parlare da parte della società riguardo il calcio formato Covid. Ecco, la società, ed è qui che si può aprire un dibattito su diversi punti.
Il silenzio (non) è d’oro – Dicevamo che tre indizi fanno una prova, più di tre è quasi inutile sottolineare che formino una certezza aldilà di ogni ragionevole dubbio. Se fossimo in un telefilm americano stile Law and Order alla sbarra verrebbe chiamata la società come prima e forse unica colpevole dei misfatti sportivi. Perché se è vero che Di Francesco ha le sue colpe è anche vero che Zeman, Zola, Festa, Rastelli, Lopez, Maran, Zenga e appunto Di Francesco sono un elenco fin troppo lungo perché l’allenatore di turno possa essere sempre e solo l’unico responsabile dei tracolli annuali. Si dirà, e con ragione se si vuole, che lo scudetto del Cagliari è la salvezza, che il bilancio è la cosa più importante e che ci sono squadre più attrezzate, con il Napoli perdere è nell’ordine delle cose e così via. Difficile controbattere a queste che sono delle ovvietà, ma se il bilancio non è più roseo come un tempo, se il monte ingaggi è tra i primi dieci della Serie A e se la salvezza non arriva tranquillamente, ma a costo di ribaltoni a ogni primavera allora qualcosa non torna.
E ciò che non torna e che si ripete sistematicamente è il silenzio della società quando le cose non vanno per il verso giusto. Un tempo non lontano c’era Marcello Carli, toscanaccio senza peli sulla lingua mandato all’attacco per compattare gruppo e ambiente e mettere la faccia di fronte alle intemperie. I risultati non vanno? Ecco Carli. La squadra stenta? Ecco Carli. Al contrario quando tutto fila liscio più volte le alte gerarchie del Cagliari non sono mancate davanti alle telecamere e ai microfoni. Con una squadra che difetta di mentalità, con otto partite di fila e una classifica che piange sarebbe normale, o almeno così avviene spesso altrove, che la società si presentasse davanti ai microfoni in primis a sostenere il proprio tecnico e in second’ordine a serrare le fila e mettere in riga il gruppo. Di Francesco rischia? No, ci mancherebbe, ma la società dovrebbe dimostrare forza, vicinanza e supporto al tecnico. E invece silenzio. C’è bisogno di correttivi oltre Nainggolan? Bene, si agisca il prima possibile. Si deve prima cedere i giocatori in esubero? Si lavori con velocità per farlo, senza tirare troppo la corda, senza voler sempre comprare a prezzo di saldo ma vendere a prezzo più che pieno.
Ora il mantra è diventato proprio Radja Nainggolan, colui che con la sola presenza sarebbe capace di risolvere tutti i problemi del Cagliari in un batter d’occhio. Un Ninja di soprannome e di fatto, un supereroe in grado di cambiare volto alla squadra in tutto e per tutto, di infondere fiducia e mentalità in un gruppo altalenante e che soffre le difficoltà senza reagire. Nainggolan è un fuoriclasse, è sicuramente fondamentale e altrettanto sicuramente potrà risultare decisivo, ma mettere sulle sue spalle un carico di responsabilità così pesante appare davvero troppo. Di Francesco, lo si è detto, ha le sue colpe, ma non può essere lasciato solo a fare da piromane e pompiere, accendere il fuoco ai giocatori e spegnere quello delle polemiche frutto della carenza di risultati. La società dovrebbe battere un colpo, la sensazione invece è che si aspetti tempi migliori – e una vittoria magari con il Benevento – e nel frattempo lasciare che il tecnico gestisca la patata bollente.
Matteo Zizola