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Cagliari confuso e stanco: lo 0-1 contro la Juventus lascia l’amaro in bocca

Florinel Coman durante Cagliari-Juventus | Foto Luigi Canu
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Una sconfitta di misura contro una delle big del calcio italiano, reduce da tre vittorie di fila in campionato e avversario tradizionalmente ostico da affrontare anche tra le mura di casa. Ma pure un ko che alimenta rimpianti e delusione, perché arrivato a causa di un episodio evitabile e con un secondo tempo di lotta e grinta in cui è mancato però, ancora una volta, l’acuto giusto. La gara tra Cagliari e Juventus, vinta dai bianconeri di Thiago Motta per 0-1 grazie al solito Dusan Vlahovic – uno di quelli che segna sul calendario gli appuntamenti contro i rossoblù per lasciare impresso il proprio marchio sul match – si può leggere in tanti e diversi modi. E, per una volta, tutti complementari tra loro.

Poca lucidità
Perché è difficile dopo quanto visto nella serata di ieri, domenica 23 febbraio, all’Unipol Domus dare un giudizio netto. Una gara dai due volti, come spesso si dice: nel primo tempo un dominio abbastanza netto della Juventus per oltre mezz’ora, con Caprile decisivo nel tenere in equilibrio il match con almeno quattro parate decisive e un Cagliari in confusione pressoché totale, senza sapere effettivamente cosa fare per provare a mettere in difficoltà gli ospiti. Una gestione di frazione che ha visto Deiola e compagni rincorrere costantemente l’avversario, spesso a vuoto, con il risultato di stancarsi più del dovuto e ritrovandosi senza le giuste energie nella ripresa quando era invece la squadra di Motta in difetto di condizione, complice anche la fatica accumulata in Champions League contro il Psv Eindhoven. Lo ha candidamente ammesso Tommaso Augello, uno dei migliori contro la Juve, nel post-partita: “Potevamo fare qualcosa in più, ma abbiamo speso tante energie nel primo tempo e siamo arrivati stanchi alla fine”, ha detto il terzino milanese che ha limitato un rivale scomodo come Conceicao, spesso più in terra che in piedi. Perché il Cagliari è arrivato “cotto” nel momento decisivo della gara? Secondo chi scrive le responsabilità maggiori sono imputabili a Davide Nicola, che (a posteriori, ça va sans dire) non ha saputo leggere bene i movimenti del centrocampo juventino. La libertà concessa a Locatelli, faro della mediana bianconera, dice tutto: 114 tocchi in 72 minuti per il numero 5 ospite, con 95 passaggi completati (su 106 tentati). Un abisso tra lui e il suo omologo nel Cagliari, ovvero Makoumbou (51 tocchi, 38 passaggi completati su 44 tentati), a dimostrare quanto l’ex Milan e Sassuolo abbia potuto serenamente condurre il gioco senza che nessuno riuscisse a limitarne l’azione.

Fatica
Nicola ha giustificato la scelta “non scoprire di più i corridoi e mettere la linea difensiva in condizioni di subire parecchio”. Una motivazione che ci starebbe anche, considerando le difficoltà di condizione di alcuni elementi fin qui spremuti all’eccesso, data l’assenza di alternative: Zappa, Zortea, per certi versi anche Piccoli. Visto che gli esterni non sono al massimo della forma, meglio evitare di offrirli in pasto alle ripartenze bianconere di Yildiz e Conceicao, supportati dai terzini Cambiaso e Weah. Il problema, però, è sempre il solito. Ovvero la coperta corta, che impone al tecnico rossoblù scelte che poi causano effetti a breve o medio termine: non aver mai potuto far riposare gli interpreti della catena di destra ha prodotto un surplus di fatica in Zappa e Zortea, che ora si sta rivelando un problema per una squadra che ha sempre fatto dell’intensità uno dei suoi cardini. Contro la Juventus è successo che per gran parte del primo tempo il centrocampo a tre, scelto per dare continuità tattica allo 0-0 di Bergamo, non abbia funzionato a dovere: Deiola e Adopo nella ricerca di spazi da chiudere agli avversari spesso hanno vagato nelle loro rispettive zone di azione senza riuscire a essere incisivi, in una sorta di ibrido tra marcatura a uomo e a zona in fase di contenimento che però è stata facilmente elusa dai bianconeri. Risultato? Energie sprecate nella corsa a vuoto, spazi occupati “a metà” e imbucate costanti della Juve, che si è trovata davanti il solito Caprile in serata di grazia. In una parola: confusione, a tutti i livelli e da parte di tutti gli interpreti. Nella ripresa l’ingresso di Zito Luvumbo e il conseguente cambio tattico da 4-5-1 a 4-4-2 ha prodotto la scossa tanto attesa. Il ritorno dell’angolano ha ridato energia e strappo alle offensive rossoblù, ma la verve del numero 77 non è stata accompagnata dalla giusta efficacia dell’attacco. Neanche Coman, Marin e Viola, buttati dentro per aumentare la qualità della manovra, sono riusciti a dare al Cagliari la capacità di strappo negli ultimi venti metri. L’ex Al-Gharrafa non ha mai trovato lo spazio per concludere da fuori, andando vicino alla porta di Di Gregorio con un mancino potente calciato dentro l’area finito a lato. Contro la muraglia eretta da Motta nell’ultima mezz’ora la squadra di Nicola ha mostrato, ancora una volta, le proprie difficoltà nel trovare con continuità la via della rete: problema ormai atavico, come noto poi non corretto sul mercato invernale.

(Poco) Coraggio
“Noi la partita l’abbiamo preparata per costruirla e rimanere dentro fino alla fine, così abbiamo fatto. Credo che di più non si potesse fare”, ha detto Nicola a fine partita. Una difesa delle proprie idee che sfocia, volendo guardare l’altra faccia della medaglia, in un’ammissione di responsabilità: questo Cagliari, al momento attuale, probabilmente non è in grado di affrontare una squadra come la Juventus a viso aperto. Per vari motivi, tra cui la già citata stanchezza di alcuni elementi cardine dell’undici rossoblù. Però di fronte a una Unipol Domus al completo, contro una Vecchia Signora così come quella vista all’Unipol Domus era lecito aspettarsi più coraggio da una squadra che davanti ai propri tifosi ha dimostrato di potersela giocare quasi alla pari anche contro alcune big come Milan, Atalanta e Lazio, almeno a livello di prestazione. Certo, l’erroraccio sul gol decisivo di Vlahovic, con Mina beffato dal centravanti serbo dopo un retropassaggio molto scomodo di Adopo, pesa come un macigno sul risultato. Perché quella è stata l’unica occasione in cui Caprile – esente da colpe, sia chiaro – non è riuscito a evitare che il pallone rotolasse alle sue spalle, a fronte di almeno quattro parate decisive. Chissà, magari con un po’ più di lucidità anche contro la Juventus il Cagliari avrebbe potuto uscire indenne dal match, ma ormai non c’è tempo per ulteriori rimpianti. Anche perché domenica 2 marzo Pavoletti e compagni saranno ospiti del Bologna: al Dall’Ara la vittoria manca da ormai 15 anni, quando Alessandro Matri griffò lo 0-1 per i rossoblù allora allenati da Massimiliano Allegri. Era un altro calcio, era un altro Cagliari. Da allora solo 3 pareggi e ben 9 sconfitte, Coppa Italia compresa. Sarà con tutta probabilità una “partitaccia”, ma Nicola e i suoi ragazzi dovranno trarre insegnamento dalla gara d’andata, in cui i felsinei portarono a casa i tre punti con uno 0-2 in cui i padroni di casa sbagliarono tanto, mettendo in campo tanta confusione. La stessa vista per lunghi tratti contro la Juventus. Sarà servita la lezione?

Francesco Aresu

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