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Fabio Aru al Tour de Colombia

Aru: “Mi farò trovare pronto quando ricorreremo”

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Il ciclista della UAE Team Emirates Fabio Aru è stato nostro ospite a Linea 131 nella serata di venerdì 17 aprile: ecco alcune risposte alle nostre domande che gli abbiamo posto durante la diretta.

Fabio, come stai passando il periodo lontano dalle corse?

“Mi sto attivando per alcune campagne, una delle quali la farò insieme a Leonardo Pavoletti per la costruzione di giocattoli con cose molto semplici. Non ho molto tempo a disposizione, mi alleno almeno una volta al giorno tra casa, palestra e rulli. Abito in Svizzera e qua è consentito uscire in bici per allenarsi, ma non mi sento di uscire tutti i giorni: esco tre volte alla settimana, da solo e con tutte le precauzioni”.

L’ultima trasferta in Sud America con 26 giorni trascorsi tra allenamenti e il Tour of Colombia.

“Non è facile stare via un mese lontano da casa, la trasferta in Colombia è stata molto positiva: là il ciclismo è molto popolare e la gente ti dà molto calore, un po’ come in Sardegna su quest’ultimo punto dell’affetto. Lì l’ho ritrovato in un clima bellissimo e con percorsi molto belli”.

Sullo sport ai tempi del covid-19.  

“Vedo un po’ stress e malcontento in gruppo, così come in tutto lo sport: io per un senso di rispetto non esco nemmeno tutti i giorni trovandomi in Svizzera dove ci si può allenare. Stiamo vivendo un problema grande, dobbiamo aspettare affinché tutto si risolva per riprendere: avrei avuto tanta voglia di gareggiare soprattutto dopo gli anni difficili dal punto di vista sportivo. Mi sto mantenendo in forma in modo che quando ci sarà un calendario, forse a luglio, più definito programmeremo. Ora mi mantengo sul 70-80% della forma in modo che posso andare al top in poco tempo”.

Il Tour si è collocato dal 29 agosto in poi, rimane un obiettivo?

“A inizio anno era uno degli obiettivi, non so adesso la squadra cosa deciderà ma penso che il programma verrà mantenuto. In questo momento non sappiamo con certezza tutto il calendario, lo decideremo insieme con la squadra: il Tour sarebbe un bell’obiettivo, anche perché ci sarebbero i Mondiali forse subito dopo”.

Tanti i colleghi che si cimentano nelle gare virtuali sui rulli

“Ne ho fatte con la squadra, tutti e 30 i corridori: non mi fa impazzire pedalare sui rulli perché non puoi muovere la bici per esempio, è diverso dalla realtà, ma in questo momento è giusto organizzare queste cose anche per chi è a casa e vuole unirsi ai professionisti”.

Quali sono state le gare più sentite? 

“I Campionati Italiani a Ivrea li ho sentiti particolarmente, sentivo la gara e tornavo da un infortunio. Poi mi ha lasciato bei ricordi la tappa del Sestriere, un po’ la mia seconda casa ormai dal 2014”.

Hai mai pensato chi me l’ha fatto fare? 

“Ci ho pensato tante volte, ho passato tanti momenti negativi: lo sport e il ciclismo ti offrono una vita di sacrifici e particolare. Allenamenti, alimentazione, trasferte ti mettono alla dura prova: in certi momenti pensi di mollare, ma non l’ho mai fatto. Non so dirti se augurerei a un mio figlio una vita del genere, la gente a volte vede solo l’esterno ma sono tante le rinunce che facciamo”.

Le Olimpiadi sono slittate al 2021 con una corsa in linea molto appetibile per le tue caratteristiche: come convincerai Cassani a portarti in Giappone? 

“Per convincere Cassani devi solo andare forte (ride ndr): ci sentiamo spesso con Davide, sa quanto sia importante la Nazionale per me e della mia correttezza quando mi sono tirato fuori (Mondiali di Innsbruck nel 2018 ndr). A Tokyo ci sarà un percorso molto duro, l’unica cosa da fare è andare forte per poter essere presenti”.

Anche i campionati italiani in Veneto saranno molto attraenti con la salita della Rosina che farà da trampolino…

“Potrebbe essere un obiettivo e mi piacerebbe pensare che possa essere un obiettivo appena torneremo alle corse. Il Colombia per me rappresentava l’inizio della stagione, ma non avevo pensato di essere competitivo; a Larciano e alla Tirreno-Adriatico sarei arrivato con una buona condizione, ma purtroppo sono state annullate. Sono convinto però che il lavoro fatto a inizio anno servirà dopo, ora dovrò solo farmi trovare pronto”.

Una volta smesso tornerai in Sardegna? 

“Sono ormai dal 2009 lontano dalla Sardegna, sicuramente una volta smesso ci tornerei molto più spesso perché mi manca veramente tanto. Mi piacerebbe avere una casa a Villacidro, ma non so se tornerei a vivere tutto l’anno perché non so cosa farò in futuro se rimanere nel ciclismo o altre attività al Nord”.

Potrai lavorare solo sulle corse di un giorno in carriera? 

“Non mi vedo come un corridore da corse di un giorno, a meno di campionati italiani, mondiali o Olimpiadi. Non è una cosa che valuto di fare, ma gare coma Lombardia o Liegi, sono gare in cui mi piacerebbe fare bene: le corse a tappe brevi o lunghe però sono nelle mie caratteristiche. Però mi piacerebbe vincere anche un giorno la Milano-Torino, mi piace molto come gara e il Piemonte è un po’ un’altra seconda casa per me. Sono arrivato 5 o 6 volte nei primi 10”.

 

Tre anni fa l’ultima vittoria di Michele Scarponi in carriera prima della sua scomparsa: che rapporto avevi con lui?

“Eravamo insieme fino a una settimana prima dell’incidente. Avevamo trascorso un periodo di altura alla Sierra Nevada dopo la Tirreno-Adriatico; Michele mi chiamò per stare insieme a me, una settimana tra l’altro da soli. Era molto altruista e solare, è stato un periodo ricco di emozioni quello trascorso con lui. Ci divertivamo parecchio”

Qual è il tuo rapporto con la fatica? 

“Parlo degli ultimi due anni, ma è come se vorrei cancellarli dalla mia carriera: non sentendoti bene la fatica diventa brutta, ma quando si tratta di vedere numeri buoni e risultati, la fatica piace e la faccio volentieri. La carriera di uno sportivo ha sempre un limite, non puoi fare tanti sforzi per tanti anni”.

Hai affrontato macchine perfette come Froome e uno istintivo come Contador: il ciclismo è in evoluzione? 

“Indubbiamente stimo Froome, grande lavoratore e professionisti, ma Alberto è più vicino a me in quanto a sensazioni. Ultimamente i ragazzini a 16-17 anni hanno tutti gli strumenti che io ho avuto a 22-23 anni: l’età media si è abbassata e quindi ci sono ragazzi che vanno forte, perché sono dei talenti ma anche perché hanno strumenti che io non usavo, come il cardiofrequenzimetro. Ora nelle squadre Juniroes tutti hanno misuratori di potenza, nutrizionisti e preparatori; negli anni che ho vissuto era tutto un po’ più easy, ora è tutto un po’ più stressante e per me le carriere si accorceranno. Secondo me si arriva a un concetto di sport vicino all’atletica o il nuoto dove le carriere sono più brevi”.

Cosa pensi di chi accusa i ciclisti col pregiudizio del doping?

Dà fastidio. Ci sono tantissimi haters che certe volte fanno insinuazioni senza fondamento. Il ciclismo è stato colpito dal doping con casi che l’hanno macchiato, così come un po’ tutti gli altri sport: ci sono delle persone con dubbi e pregiudizi sul ciclismo perché magari si chiedono come facciamo a fare tante salite o tenere medie elevate. La nostra vita è fatta di applicazione, allenamenti anche di 7 ore oltre a mantenere un’alimentazione rigorosa. Dietro al ciclismo c’è una preparazione tanto grande, quando d’inverno mi concedo qualcosa in quelle tre settimane di riposo risalendo in bici mi sento completamente un altro. I cretini ci saranno sempre e parlo di quelli che cercano di barare, ma nel mondo del ciclismo siamo costantemente controllati”.

Un giudizio su Vincenzo Nibali?

“Vincenzo mi ha inserito nel suo gruppo e devono ringraziarlo tanto: per me è stato come fare l’università in pochi mesi, ho imparato tanto da lui. Mi ha insegnato come gestire le corse a tappe”.

TAG:  Fabio Aru
 
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