Uno dei temi più dibattuti degli ultimi giorni è stata l’accesa discussione fra Massimiliano Allegri e Daniele Adani nel post partita di Inter-Juventus.
Il calcio non è una scienza esatta, può essere approcciato e discusso scientificamente, ma non sono di certo i titoli vinti a determinare chi ne può parlare e chi no. D’altro canto non deve mai mancare il rispetto verso il lavoro di chi tutti i giorni osserva sul campo i propri giocatori e non può determinare lo svolgimento di una gara con il senno del poi seduto comodamente dietro una scrivania. In merito ai due protagonisti si sono formate due correnti di pensiero, i pro Allegri contro i pro Adani, ma come spesso accade la verità sta nel mezzo.
Il calcio più che alla scienza sembra simile all’arte ed è qui che risiede anche la sua bellezza e la sua popolarità: non è necessario aver dipinto un quadro per poter apprezzare o criticare Picasso, così come non è necessario aver vinto trofei per poter discutere di quanto accaduto sul terreno di gioco. L’aspetto fondamentale è il rispetto per le diverse posizioni: è vero che, come ha detto Allegri, sono i campioni a decidere spesso le partite con le loro giocate individuali, ma è altrettanto vero che sono spesso le idee di chi li mette in campo a farli esprimere al meglio o meno.
Il calcio di Sarri è diverso da quello di Ancelotti (stessi uomini, diverse soluzioni e risultati), quello di Maran da quello di Lopez, le prestazioni ne sono una conseguenza e spiegare le differenze non è lesa maestà. La sensazione è che Allegri e Adani abbiano voluto risolvere vecchie ruggini partendo da posizioni preconcette: d’altronde gli allenatori chiedono spesso durante le interviste che si parli di calcio, ma altrettanto spesso quando ciò accade vanno al contrattacco sentendo quasi delegittimato il loro potere.
Il lavoro di Adani come divulgatore è importante nel dare ai tifosi i mezzi tecnici per poter discutere nel merito, ma il confine fra divulgare e voler insegnare dal pulpito è labile. Adani corre troppo spesso il rischio di mettere davanti sé stesso e la sua dialettica alle idee che vuole spiegare e diffondere. Accettare entrambe le posizioni non può che essere la soluzione per riportare il tema a toni più pacati e accessibili al pubblico. Declassare il tutto a discorsi da teorici o fare della teoria l’unica chiave di lettura del gioco non fa altro che ridurre al tifo anche temi che dovrebbero alzare il livello e non abbassarlo. Non tutto è bianco o nero, non tutto si può ridurre a due correnti contrastanti come quelle del “risultatismo” e del “situazionismo”. Accade anche quando si parla del Cagliari: l’eterna lotta fra punti e gioco. I punti sono importanti, ma discutere del come li si ottiene non può essere criminalizzato.
Matteo Zizola