Il 28 aprile è Sa Die de sa Sardigna. Una data che evoca celebrazioni, giorni di lotta e passione. Ma il 28 aprile riporta anche all’arresto di Doddore Meloni.
Il 28 aprile è per tutti i sardi Sa Die de sa Sardigna. Una data che evoca celebrazioni, giorni di lotta e passione identitaria. Una giornata pregna di significato, in cui puntualmente riaffiorano il desiderio e la rivendicazione dell’autodeterminazione di un popolo, quello sardo, abituato a sentirsi tutto il resto dell’anno parte integrante di quello stato italiano le cui radici affondano nelle vicende coloniali dell’isola, che pochi sardi conoscono e, di conseguenza, poco approfondiscono. Un giorno della memoria e del ricordo di parentesi che sanciscono un dato di fatto: l’unità dei sardi come nazione, oggi seriamente messa in discussione e a tratti relegata nell’inconscio collettivo come un mito, un sogno, un abbaglio, esiste in quanto fenomeno storico.
Ma il 28 aprile riporta anche alla mente un altro giorno a suo modo storico per la Sardegna, ossia l’arresto di Doddore Meloni, indipendentista eterodosso, fragoroso ma convinto. Il 28 aprile di due anni fa i carabinieri lo inseguirono a sirene spiegate sulla strada che porta al carcere di Massama, dove Meloni voleva farsi rinchiudere (da prigioniero politico) per scontare la pena dopo le condanne per reati prevalentemente fiscali. Doddore entrò in carcere vivo, per uscirne cadavere due mesi dopo, nella freddezza e nello sgomento generali, nulla di più. E pensare che fu proprio lui, quando ancora militava nel Partito Sardo d’Azione, a riuscire nell’impresa di far approvare un emendamento storico allo statuto del partito, con l’accenno esplicito all’indipendenza della Sardegna (all’articolo 1, lo statuto recita testualmente Il “Partidu Sardu – Partito Sardo d’Azione” è la libera associazione di coloro che si propongono, attraverso l’azione politica, di affermare la sovranità del popolo sardo sul proprio territorio, e di condurre la Nazione Sarda all’indipendenza). Una novità importantissima, vista la forte vocazione autonomista (ma non ancora indipendentista) propugnata fino ad allora dal Psd’Az.
Il 28 Aprile sarà anche il giorno della celebrazione istituzionale in quel consiglio regionale presieduto da un presidente algherese e leghista, espressione finale della deriva presa dal partito fondato da Lussu nell’ultimo anno: ossia l’alleanza con la Lega di Matteo Salvini, ufficializzata dalle scorse elezioni Politiche e confermata alle ultime Regionali. Un paradosso, visto che il partito di cui il ministro dell’Interno è leader assoluto propugna idee centraliste (il famoso “Prima gli italiani”) in Italia e all’estero, dopo aver di fatto strategicamente abbandonato la retorica separatista in stile Padania tanto cara a Umberto Bossi. La palese vicinanza della Lega a partiti di estrema destra ultranazionalista italiana e internazionale non fa che confermare la strategia politica salviniana.
Gli esempi di peso sono tanti, tra cui spicca la reciproca simpatia manifestata con Netanyahu, premier israeliano, e dominus del partito di estrema destra Likud, che in circa quindici anni si è battuto in maniera manifesta (e non) contro il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, osteggiandolo con tutti i mezzi a disposizione, anche manu militari. E ancora la stima verso Bolsonaro, neoeletto presidente del Brasile, famoso per aver paragonato le “riserve indigene”, che ospitano più di trecento popoli diversi e da sempre tutelati come patrimonio umano e culturale del Brasile, a dei giardini zoologici e reo di voler privare questi popoli dei loro diritti fondamentali.
Non si può infine tralasciare l’ultimo endorsement, in ordine cronologico, a Santiago Abascal, leader di Vox, altro partito ultranazionalista e di estrema destra spagnolo che si è detto fiero oppositore della rivendicazione indipendentista catalana, minacciando punizioni e repressione esemplari in nome dell’unità nazionale spagnola. Così Salvini ha twittato: “Un augurio di cuore a Santiago Abascal e a tutti gli amici di Vox España, affinché possano portare in Spagna lo stesso cambiamento che la Lega ha portato in Italia col nostro governo”.
Se il cambiamento della Sardegna a trazione leghista passa per il colonialismo e la repressione del diritto dei sardi ad autodeterminarsi e autogovernarsi, visti gli esempi e le ispirazioni non proprio incoraggianti, allora ripartire da sa Die de sa Sardigna è ancora più urgente. Ancora una volta, però, lo si dovrà fare contestando apertamente ogni “vicerè” dell’era contemporanea che illude, umilia e infine tradisce il popolo sardo. Girarsi indietro e guardare agli esempi del passato, rivedendoli nei giorni nostri, è l’unica possibilità di emanciparsi dal rumore di fondo colonialista che di volta in volta i sardi sono in qualche modo costretti, consciamente o inconsciamente, a sopportare.
Stefano Lecca