In vista della sfida del 27 dicembre tra Torino e Cagliari, in programma alle 15:00, abbiamo intervistato Rolando Bianchi, ex centravanti di entrambe le squadre e ex capitano del Torino. Nella sua parentesi al Cagliari ha collezionato 46 presenze, segnando 6 gol e fornendo 4 assist, lasciando un ricordo importante tra i tifosi rossoblù. Bianchi ha condiviso le sue impressioni sul match, evidenziando punti di forza e criticità di entrambe le squadre, ripercorrendo i suoi ricordi sull’isola e raccontando il percorso intrapreso dopo il ritiro dal calcio giocato.
Rolando, iniziamo questa intervista parlando della sfida del 27 dicembre tra Torino e Cagliari. Che tipo di partita si aspetta e quali sensazioni le trasmette questo match?
“È sicuramente una partita determinante per entrambe le squadre, perché il Cagliari ha la possibilità di staccarsi un po’ dalla zona bassa della classifica, mentre il Torino deve cercare di fare quel passo in più per dare continuità ai risultati. Altrimenti rischia di entrare nel solito loop di due partite discrete seguite da una negativa. Serve invece dare continuità a quello che è un percorso di crescita che la squadra sta cercando di portare avanti. Per quanto riguarda le sensazioni, sono ovviamente molto positive. Ho vissuto queste due realtà in momenti diversi della mia carriera. A Cagliari ero un ragazzo giovane, di belle speranze, e ho avuto la possibilità di giocare con grandi giocatori che mi hanno aiutato a crescere sotto tutti i punti di vista. A Torino, invece, ero già un giocatore maturo: sono diventato capitano dei granata e quindi ho un’esperienza profonda dal punto di vista emotivo e soprattutto per quanto riguarda il legame con l’ambiente. Ho avuto due legami bellissimi: Cagliari è stata una terra fantastica, dove ho vissuto splendidamente la mia giovinezza; Torino è stata una città altrettanto fantastica, che ho vissuto in maniera molto positiva dal punto di vista della carriera”.
Guardando alle due squadre, quali giocatori potrebbero risultare decisivi per il Torino e per il Cagliari?
“Per quanto riguarda il Torino, dico che Zapata, anche quando non segna, è fondamentale perché è un attaccante con caratteristiche uniche all’interno della rosa granata. Poi ci sono Adams e Simeone, che sono giocatori di ottimo spessore, con qualità diverse. Secondo me sono compatibili con Zapata e possono esprimere al meglio le loro caratteristiche negli spazi che lui riesce a creare. Nel Cagliari, l’altro giorno ho visto Kılıçsoy, un giocatore che mi ha impressionato davvero tanto, ha fatto due o tre giocate da attaccante vero: un profilo interessante sia dal punto di vista tecnico che fisico, un ragazzo da tenere d’occhio insomma. Poi ho un debole per Palestra, perché ho avuto la fortuna di far parte dello staff dell’Under 23 dell’Atalanta e di vederlo crescere in maniera esponenziale. È un giocatore che sta facendo molto parlare di sé e, se mantiene questo ritmo, può entrare presto anche nell’orbita della Nazionale. Sono due rose di discreto valore. Secondo me sono due squadre che possono giocarsi la partita a viso aperto e alcuni elementi individuali saranno determinanti nello scardinare le difese”.
Che impressione le sta facendo il Cagliari guidato da Fabio Pisacane? Le piace l’identità che sta dando alla squadra?
“Fabio sta facendo un ottimo lavoro. Il campionato del Cagliari è questo: la rosa può forse dare qualcosa in più, ma l’obiettivo resta una salvezza tranquilla e, in questo senso, il percorso è coerente. La partita di Torino può essere determinante per dare una piccola svolta a livello di classifica. Per l’allenatore si tratta della prima vera esperienza tra i grandi. In precedenza ha maturato esperienza nel settore giovanile, vincendo anche con la Primavera del Cagliari (Coppa Italia Primavera, n.d.r), e oggi si sta confrontando con una realtà completamente diversa. Non è mai semplice gestire un gruppo di Serie A, soprattutto dopo aver perso per infortunio un giocatore importante come Belotti a inizio stagione (lesione del legamento crociato anteriore, n.d.r) e dopo la cessione di Piccoli nelle ultime fasi del mercato. Sono tante le variabili che sono cambiate, ma lui sta rispondendo con equilibrio, portando avanti il proprio percorso di crescita e dimostrando di saper reggere l’impatto con la categoria”.
Da attaccante ad attaccante, come valuta il reparto offensivo del Cagliari? Che giudizio dà su Kiliçsoy e Borrelli?
“Borrelli è un attaccante che mi piace molto, ha caratteristiche fisiche importanti. L’ho visto contro l’Atalanta e, in una partita complessa per entrambe le squadre, ha fatto esattamente quello che doveva fare, reggendo l’urto contro difensori molto strutturati come quelli degli orobici. È un giocatore cresciuto tanto: lo seguivo già ai tempi di Brescia e il suo è un percorso di crescita continuo. È chiaro che da un attaccante ci si aspetta sempre che vada in doppia cifra, e mi auguro che possa arrivarci. Secondo me una coppia con Kılıçsoy, credo possa essere ben assortita: li ho visti soprattutto separatamente e poco insieme, ma sulla carta hanno caratteristiche complementari e potrebbero integrarsi molto bene”.
Come lei, anche Giovanni Simeone ha vestito sia la maglia del Cagliari che quella del Torino. Che tipo di centravanti è oggi e che opinione ha della sua crescita?
“È un giocatore generoso, che dà sempre tutto in campo. Dal punto di vista realizzativo non è un bomber puro: la sua qualità principale resta la disponibilità al sacrificio. Non è una prima punta classica, lo vedo più come una seconda punta. In coppia con un altro attaccante può diventare più incisivo anche sotto porta, mentre da solo, spalle alla porta, può andare in difficoltà in alcune situazioni. Resta comunque un attaccante di buon valore”.
Guardando la classifica, la lotta salvezza si preannuncia molto combattuta. Che tipo di campionato si aspetta da qui alla fine e quali fattori possono fare la differenza per restare in Serie A?
“I fattori principali per raggiungere la salvezza, secondo me, sono la consapevolezza dei risultati e la capacità di mantenere equilibrio nella gestione dei momenti e delle situazioni. Poi c’è anche il coraggio: alcune squadre tendono a difendersi più che ad attaccare, mentre chi ha il coraggio di mettere in difficoltà l’avversario ha maggiori possibilità di centrare l’obiettivo. Al momento, tutto è ancora aperto. Nei prossimi giorni ci sarà una partita fondamentale: Fiorentina-Parma servirà a capire come la Fiorentina potrà affrontare le prossime gare. Se dovesse vincere, aprirebbe un discorso molto importante per il campionato. Il Verona è una squadra coraggiosa che gioca a calcio, mentre il Pisa può fare qualcosa in più, anche se talvolta mostra qualche difficoltà nella fase conclusiva dell’azione. In generale, tutte queste squadre non sono facili da affrontare, e molto dipende anche dall’andamento della singola partita. Ad esempio, se il Parma dovesse battere la Fiorentina, per la squadra di casa la corsa alla salvezza diventerebbe più difficile; se invece vincesse la Fiorentina, il campionato si aprirebbe a scenari più complessi. A gennaio, con il mercato, la Fiorentina avrà la possibilità di rinforzarsi ulteriormente. Il mercato invernale è sempre delicato: si possono trovare giocatori che danno un contributo importante, ma non è detto che riescano ad ambientarsi subito. Diventa quindi un altro campionato a partire da gennaio, dove le squadre possono cambiare sensibilmente il proprio equilibrio”.
Ha appena parlato del mercato di riparazione di gennaio, secondo lei di cosa ha maggiormente bisogno il Cagliari? Considerando anche l’infortunio di Belotti, pensa che serva un rinforzo in attacco?
“Secondo me, davanti, se si può intervenire, è importante avere attaccanti che abbiano il senso del gol e la capacità di incidere nelle partite. A gennaio, però, trovare giocatori con queste caratteristiche non è semplice, a meno che non si tratti di un giovane su cui puntare, una scommessa. Io stesso, quando sono arrivato a Cagliari dall’Atalanta, ero molto giovane e rappresentavo una scommessa: ho fatto il mio percorso e realizzato gol determinanti per la promozione in Serie A. La situazione è diversa in Serie A, dove serve un attaccante già pronto e decisivo. Altrimenti, gli interventi possono riguardare altre aree del campo, come un difensore o un centrocampista, a seconda delle esigenze dell’allenatore. Credo sia fondamentale intervenire seguendo un filo logico, rispettando le indicazioni dell’allenatore, che sa meglio dove e come intervenire per rafforzare la squadra nel modo più efficace”.
Facendo un salto nel passato, quali ricordi conserva della sua esperienza al Cagliari, dentro e fuori dal campo?
“Ho avuto la fortuna di giocare a Cagliari per un anno e mezzo e abbiamo vinto il campionato di Serie B. È stata un’esperienza bellissima, soprattutto perché ero molto giovane. All’inizio la situazione era complessa: ero il quinto attaccante, con davanti giocatori del calibro di Zola, Suazo, Langella ed Esposito. Cinque attaccanti con caratteristiche diverse ma complementari. In alcune situazioni il tifoso cagliaritano mi ha “pizzicato”, e questo mi ha aiutato nel percorso di crescita, dando stimoli e motivazione per migliorarmi ogni giorno. Ho ricordi splendidi: svegliarsi al mattino e vedere il mare era impagabile. Sia dentro che fuori dal campo, quell’anno e mezzo è stato straordinario. Era la mia prima esperienza lontano da casa, una realtà totalmente nuova, vissuta con grande intensità. Il periodo a Cagliari ha segnato anche il mio percorso in Nazionale Under 21: ero l’attaccante titolare dell’Italia di Claudio Gentile con cui sono diventato capocannoniere del biennio (7 gol in 13 partite, n.d.r). Nell’isola ho incontrato persone e compagni straordinari: Maltagliati e Iezzo sono stati come fratelli maggiori, Rocco Sabato, Mauro Esposito e Abeijon facevano parte di un gruppo di giocatori con grande personalità. Ovviamente ho legato molto con Maltagliati e Iezzo, perché eravamo sempre insieme a pranzo e a cena: mi davano consigli come se fossi davvero il loro fratellino. Ancora oggi, con Roberto, mi sento quotidianamente: è stata una persona molto importante nel mio percorso calcistico, ma soprattutto un amico a cui voglio bene come se fosse davvero mio fratello”.
Quali sono stati i cinque giocatori che l’hanno impressionata maggiormente durante la sua carriera?
“Gianfranco Zola, con cui ho avuto il piacere e la fortuna di giocare a Cagliari; Suazo, perché era un giocatore straordinario: durante la settimana lo vedevi in un modo, la domenica ne vedevi un altro, impressionante per qualità e velocità. Nicola Amoruso, con cui ho giocato in coppia a Reggio, un attaccante eccezionale per qualità e intensità. Micah Richards, nel periodo al Manchester City. Alla Lazio ho avuto la possibilità di giocare con Ledesma e Rocchi. Ho avuto anche la fortuna di confrontarmi con tanti altri ottimi giocatori, come Antenucci a Torino. Sono molti i giocatori che ho incontrato nel mio percorso e che si sono distinti non solo per la loro carriera, ma anche come persone”.
Per concludere, cosa c’è nel presente e nel futuro di Rolando Bianchi?
“Il mio percorso è stato un po’ diverso da quello della maggior parte dei giocatori. Ho completato tutti i corsi per diventare allenatore: UEFA B, UEFA A e UEFA Pro. Oltre a questo, sono direttore sportivo, match analyst e ho maturato esperienze importanti all’Atalanta, sia come allenatore degli attaccanti, sia come secondo nell’Under 18 e come collaboratore nell’Under 23. Successivamente sono diventato vice di Paolo Cannavaro a Vercelli. Oggi, oltre a tutto questo, faccio anche il commentatore televisivo per Radio TV Serie A della Lega. Ho voluto completare la mia formazione anche sul piano societario: la mia prima esperienza è stata come direttore generale dell’Aldin Società a Milano, occupandomi della gestione completa di una società di calcio. Ritengo infatti che un giocatore, anche con tanti anni di carriera in Italia e all’estero ad alto livello, debba continuare a formarsi. La mia idea di allenatore è molto manageriale: ho voluto costruire un percorso completo per avere solide basi e sviluppare la mia filosofia. Mi piace molto lavorare con i ragazzi, farli crescere, con un’attenzione particolare alla specificità dei ruoli. Ho anche approfondito questo aspetto nella mia tesi per il corso UEFA Pro, sostenendo l’importanza di avere all’interno di uno staff tecnico allenatori per reparto – attaccanti, centrocampisti, difensori – per aumentare la qualità del lavoro e dare formazione mirata. Oggi, considerando che molti giovani hanno perso tempo prezioso negli anni formativi perché non giocano più all’oratorio o in contesti simili, ritengo fondamentale lavorare in modo più intenso e preciso. Anche se il tempo a disposizione è limitato, è importante che gli allenatori sappiano trasmettere contenuti specifici, far crescere il singolo e, di conseguenza, elevare il livello dell’intero gruppo. Perché se cresce il singolo, cresce anche la squadra nel suo insieme”.














