Lunga intervista sulle colonne del Corriere dello Sport per il tecnico del Cagliari Claudio Ranieri. Diversi i punti toccati dall’allenatore dei rossoblù nella chiacchierata con il direttore del quotidiano Ivan Zazzaroni, dagli aneddoti sulla propria carriera da calciatore alla scelta di tornare in Sardegna. Di seguito un estratto.
Sul momento in cui ha capito di poter diventare un allenatore
“Il momento in cui mi sono sentito realizzato è quando ho capito che potevo fare l’allenatore. Il periodo? I miei tre anni a Cagliari. Avevo vinto un campionato di Serie C e la Coppa Italia di categoria, ero stato promosso con il Cagliari in Serie A e l’avevo salvato. Il massimo per un giovane allenatore che non sapeva cosa avrebbe fatto da grande…capiamo tutti di calcio, a parole, ma pochi lo masticano realmente. In quel periodo mi resi conto che sapevo parlare con la stampa, e prima di tutto con i miei giocatori, i dirigenti, i tifosi, avevo delle idee ero in grado di trasmetterle. Provenivo dall’Interregionale e dalla C a Pozzuoli. Tutta la gavetta mi sono fatto, non sono stato un campione al quale hanno dato la Serie A, sono partito da zero. Ecco, quello è stato il momento più bello. Per questo, Cagliari, l’Isola, la Sardegna è il mio scoglio duro, nei momenti difficili – ne ho avuto come tutti gli allenatori – il ricordo di Cagliari diventa importantissimo. E sempre per questo, quando sono stato chiamato, ho riflettuto a lungo, avevo paura di perdere la considerazione e l’amore che m’ero guadagnato”.
Sulla possibilità di capire ancora su di lui
“Avete capito tutto, sono un libro aperto. Non credo che ci sia altro. Così come mi vedi, lo sai benissimo, così sono io. Un uomo tenace, uno che non molla mai, un uomo che dice ai suoi giocatori che se nel calcio e nello sport sappiamo reagire nei momenti difficili, quando sarà la vita vera a riservarceli ci troverà pronti. Sono una persona che ama il suo lavoro, che si incavola tantissimo se qualcuno fa di tutto per distruggere l’amore per il calcio”.
Sulla scelta di tornare in Sardegna
“Ci sono state tante telefonate interlocutorie prima che il presidente…Nessuna questione di A, B o C. Si trattava di tornare da dove ero partito, da dove avevo e ho un rapporto fuori dal normale con la gente. Pensai, e se va male? Se finisce come a Valencia? So di poterli aiutare, ma se non funziona? Ero cosciente del fatto che rappresentasse uno degli ultimi ingaggi. Decisivi gli attestati di stima degli amici di Cagliari, il figlio di Riva che spingeva, “anche papà ti vuole, è contento”. Un giorno Gigi pronunciò queste parole: “Claudio è uno di noi”. Sto pensando a me stesso, il Cagliari è in difficoltà , perché devo essere egoista? È andata così”.
Sul rapporto con i presidenti e su quello con Giulini
“Tante volte servirebbe un po’ di…non dico di mestiere, di diplomazia. Cosa ho detto a Giulini dopo la promozione? Gli ho detto: “Presidente, non c’è una persona che mi parla bene di lei, com’è possibile?”. Lui è un tipo a modo. Uno che ci sta con il cuore, sempre vicino alla squadra anche se non lo vedo spesso, ma abbiamo un rapporto franco, leale, con lui mi trovo bene”.
La Redazione














