Sacrificare tutto, ogni affetto, e cambiare vita per inseguire un sogno chiamato Muay Thai ed essere ricordato nella terra dove quest’arte marziale è nata nel XIII secolo: è questa la storia di Francesco Porcu, fighter cagliaritano, che nel 2024 ha scelto di lasciare la Sardegna e trasferirsi in Thailandia per allenarsi e combattere con i migliori atleti della disciplina. In una lunga intervista ai nostri microfoni, il classe 1998 ci ha raccontato la sua vita, cosa lo ha spinto a un cambiamento così radicale e il duro lavoro dietro a un mondo spesso dimenticato. Di seguito le sue dichiarazioni.
L’approccio con la Muay Thai
“Quello che mi ha colpito subito è stata l’immagine del mio allenatore, vedere il suo stile e come approcciava quotidianamente alla vita. Era un combattente, non solo sul ring. Questo è ciò che mi ha affascinato. Poi, praticare sport a un determinato livello ti porta ad avere uno stile di vita sano, lontano dalle tentazioni adolescenziali. Con il tempo, tutto ciò mi ha portato ad avere uno scopo”.
L’arrivo in Thailandia nella patria del Muay Thai
“Sono in Thailandia da gennaio 2024. Cosa mi ha spinto a venire qui? Negli anni ho capito che, in Italia e in Europa, il livello non è agli standard a cui ambisco. Volevo confrontarmi con i migliori, competere nella lega che conta. Questo mi ha portato a lasciare tutto e pensare: ‘se voglio fare questo, devo farlo in questo modo’. Per me non c’era una via di mezzo. La scelta era tra smettere o continuare, perché in Italia per me era ormai difficile trovare match e perché venivo da due anni di inattività a causa della rottura del crociato. Non avevo un manager, e tutt’ora non ho nessuno che mi promuove tranne la palestra in cui sto ora e la mia famiglia, che mi ha sempre supportato, insieme ai miei amici. Ho lasciato tutto perché nel nostro Paese non c’è un livello alto e poi perché, appunto, dopo la rottura al crociato non avevo più niente. La decisione di trasferirmi in Thailandia è stata presa anche per questo. Ma la ragione principale è stata quella di voler competere ad alti livelli, con i migliori”.
Nuove sfide
“La sfida più importante è stata il cambiamento dello stile di vita. In Italia decidi tutto tu, anche gli orari in base ai tuoi impegni. In Thailandia diventa il tuo lavoro: devi essere puntuale agli allenamenti, svegliarti molto presto al mattino, andare a letto alle 21:00 se vuoi riposare per bene. Le abitudini sono cambiate radicalmente: in Italia c’era molto più comfort, mentre qua se ti comunicano che il giorno dopo devi combattere non puoi rifiutare. Vivi delle situazioni che ti portano a fare delle esperienze che ti permettono di combattere con un’altra confidenza”.
Un bilancio dopo quasi due anni
“In poco meno di due anni ho ottenuto nove vittorie e una sconfitta. Direi un bilancio più che positivo, soprattutto considerando i due anni di inattività per la rottura del crociato e il fatto che circa il 70% degli atleti non torna allo stesso livello dopo il recupero. Io, grazie al mio preparatore, sono arrivato a un livello superiore: non avevo mai lottato così bene e ho avuto solo risposte positive. L’unica sconfitta è stata ai punti, con una costola rotta dal terzo round, contro un grande campione, una leggenda, di uno degli stadi più importanti e prestigiosi della Thailandia. È stata una guerra e competere a quel livello per me è stato un punto d’arrivo: c’è ancora tanto lavoro da fare, ma ho capito che io posso stare in questo palcoscenico. Ora non penso più all’Italia o all’Europa, penso a tutt’altro”.
Preparazione a un match
“Quando vengo a sapere della data di un match, io devo obbligatoriamente andare a dormire in palestra: lì c’è un dormitorio per i fighter. Ci svegliamo alle 05:15, alle 05:30 iniziamo a correre e facciamo 10-11km. Poi torniamo in palestra, ci alleniamo al sacco e chi sta preparando un match lavora sulla tecnica con l’allenatore. Terminiamo con addominali e stretching prima di mangiare verso le 08:30. Riposiamo fino alle 14:00 e, dopo uno spuntino, alle 15:30 ripartiamo con la seconda sessione d’allenamento, la più dura: venti minuti di corsa come riscaldamento, poi ci alleniamo ai colpitori, facciamo scambi tra di noi, corpo a corpo. Terminiamo alle 18:30. Ceniamo alle 20:00, alle 21:30 c’è il coprifuoco e dobbiamo essere tutti in palestra: il guardiano sequestra i telefoni, non ci sono svaghi. Lo stile di vita è simile a quello di una caserma, ma è ciò che serve per avere una determinata disciplina”.
Differenze tra la Muay Thai in Italia e Sardegna e quella praticata in Thailandia
“Le differenze principali le vedi soprattutto nell’atmosfera: qua in Thailandia si respira Muay Thai, il combattimento è visto maggiormente come un lavoro rispetto all’Italia. È il tuo mestiere, devi essere sempre pronto a combattere. In Italia c’è tanta, troppa preparazione, anche psicologica, con alcuni fighter che vanno anche dallo psicologo: non li giudico per questo, ma quando fai il fighter devi essere sempre pronto, è un mestiere che hai scelto tu. Qua si vince e si perde, è sport, mentre in Italia ci si fa molti più pensieri. E poi nel nostro Paese puoi organizzare i match, puoi scegliere contro chi combattere e chi non sfidare, mentre in Thailandia questa cosa non esiste. Non vuoi combattere? Bene, ci sono altri migliaia di atleti al tuo posto. Se non hai voglia, sei fuori. Sardegna? Secondo me il livello è molto alto per i mezzi che abbiamo. Ma la cosa brutta che sta rovinando lo sport è che ci sono tante persone che vogliono monetizzare, sacrificando la tradizione: si pensa prima ai soldi e al fatto che tutto, obbligatoriamente, debba andare per il verso giusto, ma se tutto è costruito la disciplina perde credibilità. Un’altra cosa che non mi piace è che non è possibile fare match titolati tra atleti sardi: sembra che non sia concepibile che nella stessa categoria i due atleti migliori siano in Sardegna. Secondo me c’è più possibilità di corrompere il sistema, e questo poi lo si riscontra nel livello, anche se gli atleti, presi singolarmente, hanno un grande potenziale. Molti però abbandonano quel mondo e non tutti sono pronti a mettere un determinato stile di vita sopra ogni cosa. Io ho sacrificato tutto per essere qua: ho perso la fidanzata, non vedo i miei genitori, anche a Natale ci alleneremo come animali. Devi essere fiducioso, però, che tutto ciò un domani ti darà ragione, anche se c’è poco riconoscimento dei successi che ho ottenuto”.
Obiettivi per il 2026 e sogni per il futuro
“Nel 2026 voglio salire nuovamente sui ring più importanti, sfidare un campione di questi stadi e vincere. Non voglio perdere dopo aver fatto un grande match, come è successo nel 2025: voglio dimostrare a me stesso che sono maturato e nel 2026 voglio rimanere a determinati livelli. Futuro? Vincere, contro i migliori. Vorrei essere ricordato, i titoli e i soldi saranno una conseguenza. Voglio sfidare i migliori, altrimenti non sarei così lontano da casa. Voglio confermarmi nella Champions League, vincerla dopo averla già vissuta”.














